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Seduta dell'1/12/2010


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Audizione di rappresentanti della Confederazione italiana proprietà edilizia (Confedilizia), della Federazione italiana per la casa (Federcasa), dell'Associazione sindacale piccoli proprietari immobiliari (ASPPI), della Federabitazione-Confcooperative e della Legacoop-Abitanti (A.N.C.Ab.), nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale (Atto n. 292).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale (Atto n. 292), l'audizione di rappresentanti della Confederazione italiana proprietà edilizia (Confedilizia), della Federazione italiana per la casa (Federcasa), dell'Associazione sindacale piccoli proprietari immobiliari (ASPPI), della Federabitazione-Confcooperative e della Legacoop-Abitanti (A.N.C.Ab.).
Avverto che la Legacoop-Abitanti, impossibilitata a partecipare all'audizione, ha predisposto insieme a Confcooperative un testo unitario presentato dal dottor Perruzza e dall'avvocato Belli, i quali interverranno, quindi, anche a nome della Legacoop-Abitanti.
Do la parola ai nostri ospiti per lo svolgimento della relazione.

CORRADO SFORZA FOGLIANI, Presidente di Confedilizia. Ringrazio il presidente e tutta la Commissione dell'invito rivoltoci a presenziare a questa audizione. Abbiamo presentato una memoria scritta, che abbiamo già consegnato agli uffici. Mi limiterò, quindi, a una breve illustrazione.
Come Confedilizia abbiamo sempre creduto e crediamo in un federalismo competitivo. Chiediamo che, sotto questo aspetto, il principio dell'invarianza della pressione fiscale, già introdotto nel provvedimento sul federalismo regionale e provinciale, debba traslarsi anche al federalismo comunale, non essendovi, a nostro giudizio, ragione per cui tale principio debba essere introdotto solo nella parte di federalismo relativa alle regioni e alle province e non anche ai comuni.
Mi limito a richiamare una dichiarazione del Presidente del Consiglio, che credo vada a favore dell'inserimento del limite dell'invarianza fiscale anche in questo provvedimento, come noi auspichiamo. «Il federalismo fiscale - ha affermato il presidente - non dovrà comportare maggiori costi per lo Stato e dovrà essere attuato senza alcun aggravio della pressione fiscale complessiva, che sarà anzi destinata a diminuire progressivamente in ragione sia della diminuzione degli sprechi, sia del restringersi dell'area dell'evasione fiscale.»
Da un punto di vista generale, noi manifestiamo naturalmente tutto il nostro apprezzamento per l'introduzione in questo


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provvedimento della cedolare secca sugli affitti, che ci pare l'unica strada per ridare un minimo di redditività alla locazione e per rendere nuovamente appetibile l'investimento in immobili da locare.
Apprezziamo anche il fatto che il Governo, avvalendosi della facoltà prevista dalla norma di delega, abbia deciso di far proseguire l'iter del provvedimento, indipendentemente dalla mancata intesa con la Conferenza unificata, che ha già ritardato fin troppo, a nostro avviso, la trattazione di questo provvedimento.
A tal proposito dobbiamo segnalare che il problema dei tempi non è, tuttavia, superato, perché la cedolare secca, come sappiamo, dovrebbe entrare in vigore il 1o gennaio del 2011 e i tempi sono molto ristretti. Ci chiediamo, quindi, alla luce di queste considerazioni e delle esigenze di urgenza che il Governo ha rappresentato nello stesso momento in cui ha superato la mancata intesa con la Conferenza unificata, se non possa essere esaminata la possibilità che la Commissione provveda allo stralcio della parte dello schema di decreto relativo alla cedolare secca, esprimendo subito il proprio parere in materia al Governo, in modo tale che questa parte del provvedimento possa tornare a breve in Consiglio dei ministri in seconda lettura per il varo definitivo.
Dal punto di vista di merito, consideriamo opportuno che la Commissione possa valutare la questione dell'eventuale estensione della cedolare ai contratti di locazione a uso diverso dall'abitativo, possibilità attualmente esclusa, e ai contratti di locazione stipulati da persone giuridiche.
A nostro avviso, forse ottimisticamente, si dovrebbe poter prevedere anche che quella del 20 per cento sia la misura massima dell'imposta, dando comunque la possibilità ai comuni di fissare differenti aliquote in misura ridotta.
Per quanto concerne le altre imposte comunali previste dal provvedimento sul federalismo, è difficile esprimere un giudizio in mancanza delle aliquote, che devono essere stabilite, come è noto, con un decreto del Presidente del Consiglio.
Siamo preoccupati che gli immobili siano visti come l'unica forma di tassazione prevista per i provvedimenti comunali e crediamo che il tributo comunale non possa che essere a carico degli utilizzatori, proprio perché questi possono spostarsi e, quindi, attuare nei fatti il federalismo competitivo, che si concretizza se vi è la possibilità di trasferirsi, attraverso confronti di dati omogenei, da un comune all'altro, da un sito all'altro e da una regione all'altra.
Nei Paesi anglosassoni si afferma che ove c'è federalismo si vota coi piedi, cioè spostandosi. In altre nazioni si vota coi piedi, ma il concetto è diverso.
Da ultimo vorremmo richiamare l'attenzione del Governo e del Parlamento sulla necessità di esplicitare meglio quanto risulta nella relazione di accompagnamento allo schema di decreto legislativo, laddove si afferma che la base imponibile dell'imposta municipale propria è costituita dal valore dell'immobile rilevante ai fini ICI.
Abbiamo allegato anche una tavola di confronto per gli effetti sulla cedolare secca, ma ci interessa in particolare approfondire questo aspetto. Se il presidente della Commissione lo consente, pregherei l'avvocato Bracci di illustrarlo.

LUCIANO FILIPPO BRACCI, Rappresentante di Confedilizia. Rappresento Confedilizia, ma sono qui anche in veste di vicepresidente dell'Associazione dimore storiche italiane, che sono un po' i «panda» degli immobili.
Volevo rilevare brevemente due questioni. In linea generale - non parliamo della cedolare secca, perché in questo momento per noi va benissimo e siamo perfettamente d'accordo - a proposito della base imponibile sull'imposta municipale propria, richiamando quanto asserito dall'avvocato Sforza Fogliani, nella relazione era specificato che essa equivale al valore dell'immobile rilevante ai fini ICI. Nella stesura della norma viene richiamato in modo secco l'articolo.
Ci sono, però, situazioni particolari come la nostra, per cui la manutenzione


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dei nostri immobili presenta costi maggiori e numerosi vincoli. La stessa Corte costituzionale in due sentenze ha riconosciuto la legittimità di un'imposizione fiscale differenziata, perché un conto è un immobile soggetto a vincolo storico-artistico, un altro un immobile non soggetto a tale vincolo. Sono due realtà diverse.
Si nota che in tutto il decreto delegato scompaiono le differenze. Anche se, alla fine, eseguendo il calcolo delle imposte, probabilmente andremo a pagare di meno di quanto paghiamo adesso, è molto importante che, invece, tali differenze vengano riportate alla luce, perché la stessa Costituzione lo dispone. Infatti, il rinvio puntuale all'articolo 5 della legge dell'ICI non differenzia tali situazioni, mentre noi da anni paghiamo l'aliquota sulla categoria catastale più bassa. Con un'interpretazione strettamente letterale, questo nostro vantaggio non è conservato, in quanto esso è contenuto in un'altra norma, facente parte anch'essa del calcolo della base imponibile ICI, e non nel citato articolo,
Riterremo più utile, più chiaro, nonché costituzionalmente più corretto che fosse operato un rinvio, così come lo è nella relazione al provvedimento, alla base imponibile definita in generale dalla legge ICI e non a un determinato articolo della medesima legge. Si andrebbe, in tal modo a colpire - elemento che in questo momento a noi non interessa - le aree cosiddette edificabili, che in realtà poi non lo sono, dal momento che ormai viene tassata anche un'area per il solo fatto di essere ricompresa nel Piano regolatore e magari edificabile soltanto da parte di un operatore pubblico, e non dai privati. Secondo la normativa vigente, se tale area è in possesso di un coltivatore diretto o di un imprenditore agricolo, egli paga l'imposta sul valore del terreno agricolo se la coltiva direttamente, ma con le nuove regole, sulla base di un'interpretazione restrittiva di questa norma, l'imposta dovrebbe essere commisurata al valore del terreno edificabile. Per la tutela di queste situazioni costituzionalmente protette, riterrei opportuno, dunque, un richiamo più generale alla base normativa dell'ICI.
Anche parlando di imposta sul trasferimento, osservo che essa è destinata ad assorbire sia l'imposta di successione, sia quella di donazione. Per la prima volta vi è un regime differenziato tra successione e donazione, in quanto la successione viene assoggettata a un'aliquota del 2 per cento, tranne che nei casi a imposta fissa, mentre la donazione viene equiparata agli altri trasferimenti non a titolo gratuito.
Nella situazione delineata dal provvedimento, i nostri immobili, che da ormai trent'anni godono dell'esenzione da entrambe le imposte e di un regime differenziato, vengono trattati allo stesso modo. Pensavamo di proporre, pertanto, che i trasferimenti di immobili soggetti a vincolo storico-artistico ben conservati e dotati di una dichiarazione della competente soprintendenza, che affermi che sono stati assolti tutti gli obblighi di manutenzione, potessero essere assoggettati alla tassazione fissa di 1.000 euro.
Probabilmente come tassazione, rispetto a queste aliquote, andremmo a pagare di più, però verrebbe salvaguardato il principio di una differenziazione tra l'immobile storico e quello non storico. Anche in caso di futuri aumenti di aliquota permarrebbe questo principio, che noi riteniamo particolarmente importante e che, peraltro, in passato ci è stato riconosciuto.
Non ci sembra giusto neanche che siano equiparati agli altri gli immobili in A/9, cioè i castelli e gli immobili di particolare pregio storico-artistico, come per esempio la casa di Rossini a Pesaro, quattro stanze che non hanno particolare valore, o un castello in mezzo ai monti, che rappresenta più una condanna che non un pregio.
Proprio in questi giorni, per esempio, devo ristrutturare il Castello di Sorbello, che presenta 10 mila metri quadri di tetto e si trova tra Umbertide e Città di Castello, in mezzo a un bosco. Non è un lusso, anzi, chi ci abita dovrebbe essere meritevole di aiuto e gli si dovrebbe dedicare un monumento, visto lo stato dei nostri beni


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storici-artistici. Più riusciamo a mantenerli e meglio è. Queste sono le mie osservazioni.

ERMANNO BELLI, Capo del servizio legislativo e legale di Confcooperative. Signor presidente e signori della Commissione, innanzitutto vi rivolgo un ringraziamento sostanziale per il vostro invito. Rappresento le Confcooperative, ma sono qui anche a nome anche di Legacoop-Abitanti.
Rivolgo, dunque, un ringraziamento sostanziale e non solo formale, perché la nostra presenza qui ci consente di esprimere alcuni plausi e alcune perplessità.
Il plauso è per il federalismo in generale e anche per le imposte locali, perché crediamo che sia giusto ripartire anche il potere tributario nel territorio dello Stato. Non vorremmo, però, che il federalismo fiscale si tramutasse in una surrettizia redistribuzione del carico fiscale.
Siamo rimasti tutti scottati nel 1997 con l'introduzione dell'IRAP, quando, a fronte di una promessa semplificazione, che poi effettivamente si è verificata, si è arrivati a una redistribuzione del carico fiscale delle sei imposte abolite, ma senza un criterio condiviso e condivisibile, per cui chi si trovava a pagare uno ha pagato cinque e viceversa.
Finalmente, da due o tre anni a questa parte, anche chi ha proposto quel tipo di imposta fa un mea culpa, ma con molti anni di ritardo. Conseguentemente, il danno è stato creato.
Vorremmo che nell'attuazione del federalismo fiscale si tenesse conto delle diverse situazioni già presenti affinché non ci sia spostamento o redistribuzione, ma solo una migliore tassazione rispetto a quella attuale.
In particolare bisogna tener conto, secondo noi, anche dei soggetti che operano nel settore edilizio e nel mercato immobiliare perché, se il legislatore per tanti anni ha tenuto conto dei soggetti e degli scopi che tali soggetti si sono prefissi, essendo oggi i soggetti gli stessi, se la permanenza degli scopi sussiste ancora, il trattamento differenziato andrebbe mantenuto.
L'imposta municipale unica si pone in rapporto di simmetria con l'ICI sul possesso degli immobili e sui trasferimenti. In merito al possesso degli immobili, non esiste nello schema di decreto una definizione specifica di immobile, così come invece esisteva per l'ICI. L'articolo 2 dell'ICI parla, infatti, di fabbricato, di area edificabile e di terreno agricolo. La nuova imposta non fa riferimento all'articolo 2, bensì a un articolo diverso per quanto riguarda le sanzioni e gli accertamenti, ma non richiama assolutamente l'articolo 2.
Secondo noi sarebbe importante, invece, un riferimento specifico, perché ci darebbe modo di avere un concetto più definito di immobile il cui possessore è chiamato a pagare questa imposta. L'immobile è tutto: specificare se si tratta di fabbricato, di area edificabile o di terreno agricolo ha la sua importanza. Su queste tre classificazioni la giurisprudenza, la legislazione e le interpretazioni hanno creato una casistica che non credo possa essere persa sic et simpliciter.
Riguardo il caso specifico delle cooperative a proprietà indivisa, per esempio, manca un riferimento all'articolo 8 dell'ICI, che prevede la non tassazione degli immobili delle cooperative edilizie a proprietà indivisa, in quanto detti immobili vengono utilizzati come prima casa dai soci delle cooperative. In base alla normativa vigente, quindi, se una cooperativa edilizia a proprietà indivisa ha venti alloggi abitati dai soci che la utilizzano come prima casa, tali soci godono dell'esenzione dall'ICI, così come il proprietario di qualsiasi abitazione. In assenza di un esplicito rinvio, si potrebbero generare dubbi interpretativi circa il sorgere dell'obbligazione tributaria in capo alla cooperativa per il pagamento dell'ICI sul fabbricato nel suo complesso, che si riverserebbe quindi sui soci. Secondo noi questo rischio andrebbe evitato e vi si potrebbe ovviare con un semplice riferimento all'articolo 8 attualmente vigente.


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Riguardo ai trasferimenti svolgo tre piccolissime annotazioni.
In merito alle cooperative edilizie di abitazione dal 1993 in poi, quindi dalla legge Formica a oggi, c'è stata la possibilità di acquisto da soggetti non IVA di fabbricati e di terreni, che vengono utilizzati per la costruzione, a tassa fissa di registro e con imposte ipotecarie e catastali proporzionali. Diminuendo il costo di acquisizione, diminuisce anche quello dell'alloggio, a vantaggio dei soci. Non essendoci alcuna specificazione nella nuova legge, la tassa di trasferimento dovrebbe ammontare all'8 per cento come per tutti gli altri e verrebbe, quindi, a cadere questa particolarità.
Un'altra questione riguarda l'IVA relativa alle imprese edilizie in generale, comprese le cooperative, e l'imposta di registro per i trasferimenti tra privati. Mentre l'aliquota IVA che le imprese edilizie applicano nel caso di vendita al soggetto prima casa, che presenta cioè i requisiti della nota tabella, sarebbe del 4 per cento, l'imposta di registro per il soggetto che acquista da privato scenderebbe al 2 per cento. Questo fatto pone le cooperative, come tutte le altre imprese edilizie, in una condizione di sfavore, perché chi costruisce il nuovo, essendo un'impresa, è tenuta ad applicare un'aliquota del 4 per cento sul prezzo di vendita, mentre chi acquista da un privato pagherebbe un'imposta di registro pari al 2 per cento.
Le cooperative sociali ONLUS, che oggi acquisiscono i beni che servono per svolgere la propria attività a tassa fissa, per quanto riguarda sia l'imposta di registro, sia le imposte ipotecarie e catastali, senza alcun richiamo vedrebbero le loro imposte proporzionali attestate all'8 per cento. Soggetti che, come sappiamo tutti, sono meritori perché svolgono anche una funzione di supplenza riguardo al Servizio sanitario nazionale, si troverebbero, dunque, ad affrontare costi maggiori.
Un altro punto riguarda le cooperative agricole. Nel momento in cui esse acquistano terreni per aumentare la superficie dell'azienda e, quindi, quella che viene chiamata piccola proprietà contadina, mentre oggi lo fanno con imposte di registro, ipotecarie e catastali fisse, senza alcuna specificazione verrebbero, invece, a pagare l'8 per cento.
Va bene tutto, però, se alcune particolarità sono state concesse dal legislatore e per tanti anni sono state mantenute, un motivo esisterà. Se si ritiene che tale motivo non venga meno, ne andrebbe tenuto conto per differenziare le situazioni.

ALFREDO ZAGATTI, Presidente nazionale dell'ASPPI. Avendo consegnato del materiale scritto, posso concentrarmi su alcune questioni che ritengo prioritarie.
Non c'è dubbio che uno degli aspetti più innovativi di questo schema di decreto sia costituito dall'introduzione della cedolare secca. Si tratta di un provvedimento largamente atteso, ampiamente auspicato e indispensabile per conferire appetibilità all'investimento volto all'affitto, che oggi è sicuramente in una situazione di grande sofferenza.
Da questo punto di vista, quindi, noi riteniamo del tutto apprezzabile questa previsione, ma esprimiamo comunque alcune preoccupazioni sui tempi. Tenuto conto che questo nuovo regime fiscale dovrebbe entrare in vigore dal 1o gennaio del prossimo anno, si pone la necessità di accelerare il più possibile l'iter di questo decreto.
Sul punto della cedolare secca mi interessa insistere, in particolare, su due questioni. La prima è la consapevolezza che credo noi tutti, nonché il Governo e il Parlamento per primi, dobbiamo avere dell'incompletezza della norma per come si presenta al momento.
Non c'è alcun dubbio che sia molto difficile trovare una qualsiasi giustificazione in base alla quale si sottopone a un regime fiscale diverso l'abitativo rispetto agli usi diversi da esso. Non si capisce, cioè, perché l'opportunità offerta ai locatori di abitazione di aderire a una tassazione fondata sulla cedolare secca non debba essere offerta anche ad altri soggetti locatori che investono per l'affitto con le medesime motivazioni e che sopportano


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l'onere di contratti per alcuni aspetti anche più onerosi rispetto a quelli previsti per l'abitativo.
Mi rendo conto che si pongono questioni di compatibilità finanziaria e che probabilmente non si può rimediare a tutto in un solo colpo, ma è importante che in tutti noi, come nel Parlamento e nel Governo, sia ben presente il fatto che la suddetta questione dovrà essere affrontata e sanata, dal momento che si crea un elemento di sperequazione che non ha alcuna giustificazione logica.
La seconda questione sulla quale voglio insistere e che, secondo il nostro parere, è anche più preoccupante della prima è relativa al destino di uno degli aspetti qualificanti della legge di riforma degli affitti, la n. 431 del 1998, che governa oggi il mercato delle locazioni abitative.
Sappiamo tutti che in quella legge sono previste alcune fattispecie di contratti locativi diverse: una tipologia contrattuale del tutto libera per quanto riguarda la determinazione del canone d'affitto e un'altra tipologia contrattuale in particolare, che prevede la necessità di accordarsi su canoni agevolati, mediamente ridotti, sulla base degli accordi che venivano stabiliti territorialmente dalle parti, di un 25-30 per cento rispetto ai canoni di mercato.
La scelta di questa seconda tipologia di canoni, molto apprezzata ovviamente da quella parte di inquilini che ha bisogno di entrare in un mercato della locazione calmierato, soprattutto nelle grandi città, visto che questa norma riguarda esclusivamente i comuni ad alta tensione abitativa, consente un abbassamento significativo dei canoni stessi.
L'appetibilità di questo tipo di contratti riposa sul fatto di godere di un regime fiscale diverso, della possibilità di avere una detrazione, un bonus fiscale, una riduzione dell'imponibile significativa.
Oggi con l'introduzione della cedolare secca, così come contenuta nello schema di decreto, che non distingue fra diverse tipologie contrattuali, ci troviamo in una situazione in cui gran parte dell'appetibilità finora conferita a questi contratti a canone agevolato verrebbe meno. Credo che questo sia un fatto negativo e molto rilevante da un punto di vista sociale.
Seppure non siamo in presenza di una massa di contratti particolarmente cospicua, non c'è dubbio che il segmento di conduttori che gode oggi di un contratto a canone anche significativamente agevolato probabilmente nel prossimo futuro non avrà più questa opportunità e, uscendo dal mercato della locazione, andrà verosimilmente a ingrossare la parte consistente di inquilini che non trova nell'attuale mercato della locazione una possibilità di soddisfare il proprio bisogno, né risposte pubbliche sufficientemente adeguate alle questioni e alle esigenze che pone.
Inviterei molto caldamente le Commissioni parlamentari, che devono esprimere un parere, a far sì che questo tema venga preso in considerazione e che si tenga presente la possibilità di mantenere una riduzione dell'imponibile per quanto riguarda i canoni dei contratti concordati.
Oggi si paga l'IRPEF sul 59,5 per cento dell'ammontare del canone. Naturalmente, se tale previsione fosse mantenuta anche in regime di cedolare secca, i suddetti contratti manterrebbero una forte appetibilità. Se non fosse possibile farlo in questa misura, ritengo quanto meno che una differenziazione significativa, almeno del 30 per cento dell'imponibile, tra i contratti a canone concordato e quelli a canone libero debba essere mantenuta per consentire la sopravvivenza di questa tipologia contrattuale.
Penso che questo tema possa essere corretto. Siamo convinti che si tratti di una questione di buonsenso, che anche dal punto di vista dell'aggravio finanziario non comporterebbe conseguenze particolarmente significative. Vi ringrazio.

LUCIANO CECCHI, Presidente di Federcasa. Federcasa associa tutti i gestori dell'edilizia sociale pubblica. Abbiamo presentato le nostre osservazioni in un documento scritto, ragion per cui sarò molto sintetico. Voglio, però, richiamare l'attenzione


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di tutti voi sul fatto che il nostro settore, dal punto di vista fiscale, gode di trattamenti perlomeno anomali.
Abbiamo già mosso questa osservazione in occasione di un incontro con la Conferenza delle regioni in materia di federalismo fiscale regionale, dove si era trascurato che gli enti gestori titolari di patrimonio versano l'IRES, mentre gli enti gestori non titolari di patrimonio non la versano, pur essendo sotto regime di entrata identico, perché disciplinato dalla legge regionale sulla determinazione dei canoni.
Per essere chiaro, questo discorso vale anche per le proposte inerenti l'ambito municipale. A parità di condizioni di entrata, un alloggio di pari dimensioni paga 222 euro ad Ancona, in quanto è un ente non economico, 507 euro a Bergamo, in quanto è un'azienda a carattere economico, e 41,31 a Ravenna, in quanto è una gestione in house per conto dei comuni, i quali incassano lo stesso canone, ma non hanno imposizione fiscale.
Non è una questione di poco conto quella che vi sto sottoponendo. Lo affermiamo alla luce della proposta che si avanza in merito alla cedolare secca. Potremmo sostenere che la questione non ci interessa, invece abbiamo sottoscritto un documento insieme a Confedilizia, agli amici dell'ASPPI e a molti altri soggetti, tra cui i sindacati, al tavolo di concertazione di cui all'articolo 4 della legge n. 9 del febbraio del 2007, nel quale favorivamo l'introduzione della cedolare secca. Siamo perfettamente coscienti dell'importanza di questa proposta.
Se, però, osserviamo il testo, al di là delle osservazioni che chi è più interessato ha svolto prima di me, vediamo che esso fa riferimento anche all'assorbimento da parte della cedolare secca dell'imposta di registro nell'imposta di bollo a partire dal 2014 per coloro che accetteranno di scegliere questa modalità.
La domanda che mi pongo è se l'imposta di registro e di bollo verrà pagata solo dalle case popolari e, quindi, dall'inquilino delle case popolari nella misura del 50 per cento dell'imposta di registro. È una questione che vi chiedo di considerare con la dovuta attenzione.
Vengo a un'altra sollecitazione. Al di là dell'autonomia di scelta del proprietario di casa nel mettere in affitto, in un modo o nell'altro - auspico che la cedolare secca porti davvero a risultati positivi - sono convinto di un'osservazione già svolta in precedenza: la questione della non immissione sul mercato è dovuta al fatto che lo stato di fatiscenza di alcuni patrimoni richiede molti capitali da investire, al punto che la proprietà, se è una proprietà diffusa, non ne dispone. Questo è il vero problema. Bisognerebbe trovare forme per incentivare la ristrutturazione di questo patrimonio.
Nel momento in cui la cedolare secca viene lanciata come incentivo alla proprietà privata perché metta sul mercato dell'affitto alloggi di cui si avverte la necessità, mi domando se l'edilizia sociale pubblica debba continuare a pagare il 41 per cento di imposte, come sta facendo oggi, sui 78 euro di canone mensile che incassa. Credo che bisogna applicare il 20 per cento anche all'edilizia sociale pubblica.
Non è più consentito - mi permetto di usare questo termine - che su 78 euro mensili venga prelevato il 41 per cento in materia di imposta e che si pretenda con ciò che rimane di dare all'inquilino un alloggio decoroso, salubre e sicuro. Credo che la percentuale del 20 per cento - non chiamatelo cedolare secca, ma imposta globale per l'edilizia sociale pubblica - sia identica a quella proposta per il settore privato.

PRESIDENTE. Si tratta di una considerazione da tenere in conto, come di tutte le altre che abbiamo sentito questa sera.
Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

GIULIANO BARBOLINI. Vi ringrazio. Indubbiamente i documenti che ci avete fornito andranno valutati con scrupolo e


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con attenzione. Sono diversi i profili di taglio fiscale che forse non sono entrati nella prima valutazione del provvedimento e che, in vista del nostro parere e poi della definitiva adozione, hanno bisogno di essere messi a fuoco. Analogamente, alcuni elementi di ricadute sociali e di implicazioni su fasce deboli sono altrettanto meritevoli di attenzione.
Pongo tre domande, se posso, molto rapidamente.
In primo luogo ho colto una preoccupazione sul tipo di imposizione - parliamo dell'IMU - che potrebbe andare a gravare sulle case diverse dalla prima. Vi siete fatti un'idea in merito? La norma dispone che debba essere fissata l'aliquota di riferimento, ma ancora non la conosciamo. È presumibile, però, se è questa l'unica componente che concorre a definire il cespite, che tale aliquota sia consistente. Vi siete formati un'opinione e avete un'elaborazione da sottoporre alla nostra attenzione?
La seconda questione è una mia curiosità, su cui gradirei, se è possibile, una puntualizzazione o un chiarimento, perché potrei aver inteso male. L'avvocato Sforza Fogliani ha fatto riferimento, come figura nel vostro documento a pagina 5, al principio del beneficio e al fatto che il tributo comunale non possa che essere, come voi affermate, a carico degli utilizzatori.
Chiedo un'interpretazione autentica. Ovviamente ciò si applica anche nel caso del proprietario che abita la sua unica e prima abitazione ed è utilizzatore del sistema dell'offerta e del servizio. Volevo capire questo aspetto.
Infine, al presidente Zagatti chiedo se può fornirci schematicamente alcuni dati sulla mappatura dell'attuazione dei contratti a canone concordato nelle più significative realtà in sofferenza abitativa.

PRESIDENTE. Do la parola ai nostri auditi per la replica.

CORRADO SFORZA FOGLIANI, Presidente di Confedilizia. Ringrazio della domanda. In effetti, il tributo comunale in Francia è corrisposto dagli utilizzatori in relazione al beneficio che dalle opere pubbliche costruite dal comune viene attribuito al determinato immobile. Esiste, pertanto, un parametro obiettivo.
D'altra parte anche l'ICI, come lei sa, nacque a suo tempo con questa impostazione, che fu poi capovolta da un voto parlamentare molto variegato. Essa nacque, comunque, con questa logica, perché, essendo il tributo comunale sempre correlato ai servizi comunali e trovando una ragion d'essere proprio in questi, evidentemente è di per sé concepibile che esso sia a carico degli utilizzatori, come in Francia e anche negli Stati Uniti.

ALFREDO ZAGATTI, Presidente nazionale dell'ASPPI. Svolgo solo una considerazione sul tema proposto dal senatore Barbolini in merito alla dimensione e all'utilizzo dei contratti a canone agevolato.
Purtroppo non è possibile disporre di dati ufficiali - lo lamento anche pubblicamente - perché c'è un'inadempienza anche del Governo rispetto a quanto disposto dalla legge n. 431 del 1998, la quale prevede la necessità di un monitoraggio di questo aspetto e dell'applicazione e dell'utilizzazione della legge, che è largamente disatteso.
Una delle questioni più volte poste sia dalle organizzazioni, sia dalla proprietà edilizia, sia dall'inquilinato è proprio quella di riprendere un confronto a livello nazionale con l'amministrazione centrale e col Governo per riavviare il meccanismo di funzionamento della legge n. 431.
Dal punto di vista di un'organizzazione - altre potranno poi confortare questa analisi - siamo di fronte a elementi molto eterogenei. Complessivamente stiamo parlando, infatti, di una dimensione attorno al 15-17-20 per cento al massimo della tipologia contrattuale rispetto all'insieme dei contratti.
Ci sono situazioni che pesano significativamente anche dal punto di vista sociale. Io e lei proveniamo entrambi da una regione che credo sia una di quelle in cui l'applicazione di questi contratti è più alta. Essa ha un significato anche in alcune


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grandi città, come Roma, in modo particolare, mentre in altre città ha un peso molto inferiore, come a Torino.
La situazione è, pertanto, assolutamente differenziata e variegata. Da tempo, però, tutte le organizzazioni propongono da un lato una dismissione di questa tipologia contrattuale e, dall'altro, come la stessa ANCI in documenti impegnativi, una sua maggiore diffusione, prevedendo il superamento della limitazione che oggi esclude i comuni non cosiddetti ad alta tensione abitativa dalle previsioni di questa normativa. Sarebbe importante imboccare questa strada.

PRESIDENTE. Vi ringraziamo per il vostro contributo, nonché per i documenti che ci avete fornito, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegati).
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 20,50.

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