BOZZA NON CORRETTA (Il resoconto in bozza non corretta è disponibile sul sito Internet della
Camera dei deputati e, in forma cartacea, presso la Commissione competente e l’Archivio; trascorsi
trenta giorni dalla seduta, è quindi pubblicato in edizione definitiva, con le medesime modalità).

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Seduta del 28/7/2010


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Audizione del Comitato di rappresentanti delle autonomie territoriali di cui all'articolo 3, comma 4, della legge n. 42 del 2009, nell'ambito dell'esame della Relazione concernente il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali e ipotesi di definizione su base quantitativa della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra lo Stato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali, con l'indicazione delle possibili distribuzioni delle risorse (articolo 2, comma 6, della legge 5 maggio 2009, n. 42) (Doc. XXVII, n. 22).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 5 del regolamento della Commissione, l'audizione del Comitato di rappresentanti delle autonomie territoriali di cui all'articolo 3, comma 4, della legge n. 42 del 2009, nell'ambito dell'esame della Relazione concernente il quadro generale di finanziamento degli enti territoriali e ipotesi di definizione su base quantitativa della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra lo Stato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali, con l'indicazione delle possibili distribuzioni delle risorse (Doc. XXVII n. 22).
Do la parola al presidente Errani per lo svolgimento della relazione.

VASCO ERRANI, Presidente della regione Emilia-Romagna e presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome. Devo fare una premessa, per la verità scontata, ma soprattutto per le cose che devo dire dopo vorrei che fosse chiaro: le regioni vogliono partecipare a pieno titolo alla costruzione del federalismo fiscale, ne chiediamo l'anticipo e chiediamo la piena applicazione della legge n. 42.
Dico questo perché vi sono alcuni elementi che ci preoccupano. Il primo è legato al fatto che tutto l'impianto concettuale della legge n. 42 si fonda su un'idea di cooperazione tra i diversi livelli istituzionali e di costruzione insieme del percorso. Del resto, se così non fosse, io troverei abbastanza complicata la realizzazione del federalismo fiscale. Purtroppo, così non è stato fino a oggi. L'unico punto che abbiamo condiviso è l'Allegato 2 della Commissione, tutti gli altri documenti non sono stati condivisi, almeno dal sistema regionale, e abbiamo appreso del testo della Relazione alla pubblicazione.
Il nostro giudizio complessivo è stato espresso sinteticamente in un documento condiviso all'unanimità della Conferenza delle regioni: vi sono giudizi ingenerosi e non condivisibili nei confronti delle regioni e delle autonomie locali, e vi è un quadro generico che non ci consente di cogliere gli elementi di impianto che ci sembrano fondamentali per costruire il percorso del federalismo fiscale.
Vado ad alcuni punti precisi e che rappresentano anche elementi critici. Ho


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detto che abbiamo condiviso nella Commissione ciò che è scritto nell'Allegato 2 in relazione al federalismo fiscale. Colpisce e suscita molte perplessità il fatto che nella Relazione sia scritto che quell'Allegato 2 approvato all'unanimità è considerato dal Governo non impegnativo né per il Governo né per il Parlamento, mettendo così in discussione una previsione della legge n. 42.
Io cercherò di fare un ragionamento legato alla lettura coerente della legge n. 42 e della Relazione perché ci sono delle contraddizioni.
La legge n. 42, come sapete, individua la COPAFF, la Commissione paritetica, come sede di condivisione dei dati. Se questi dati non sono poi gli unici che abbiamo condiviso, non sono poi condivisi dal Governo, allora stiamo realizzando una ginnastica che un imprenditore importante, produttore di macchine importantissime come Tecnogym considererebbe lui stesso un inutile esercizio. Questo è un punto importante perché se disperdiamo la condivisione dei numeri e dei riferimenti complessivi, francamente non riesco a capire come riusciremo a realizzare il federalismo fiscale.
Cercherò poi di fare una lettura dei diversi paragrafi. A proposito dell'«albero storto», c'è un punto cardine per noi: l'albero è storto per noi anche per il fatto che i numeri non corrispondono. Non riteniamo corretto, infatti, il dato quantificato dalla Relazione per la spesa discrezionale dello Stato di 84 miliardi di euro. Per noi non è così: la cifra corretta è 195 miliardi di euro al netto della spesa per interessi, della spesa dei trasferimenti agli enti territoriali e della spesa di personale. Questo dato è molto importante.
D'altra parte, anche la Relazione ne fa un elemento basilare. È molto importante e, sarà una coincidenza astrale, tuttavia ciò si incrocia con la lettura della manovra e tende a determinare che la spesa degli enti territoriali è maggiore di quella dello Stato centrale. Così per noi non è.
Ora, non vogliamo fare polemiche, ciò che ci interessa è avere chiarezza e condivisione sui numeri perché questo è un elemento fondamentale. Del resto, la Relazione correttamente qualifica i trasferimenti ai governi territoriali come spesa non discrezionale. Per questo si arriva agli 84 miliardi di euro di spesa discrezionale dello Stato; tuttavia c'è un piccolo problema: il decreto-legge n. 78 taglia i trasferimenti, e quindi li considera discrezionali.
Sto parlando, naturalmente, solo per la parte che mi compete, anche perché avrei dovuto fare un'altra premessa ancora se avessi dovuto parlare più estesamente del decreto-legge n. 78.
È, però, una contraddizione radicale considerare le spese obbligatorie e poi tagliarle. Capite che è un problema.
Ora, questo elemento porta un dato di non chiarezza sull'impianto che a noi crea più di un elemento di preoccupazione. Ricordo, come sapete, che l'articolo 119 ci spiega in modo preciso che non è possibile contrarre mutui per la spesa corrente e, nello stesso tempo, precisa che alle competenze trasferite devono corrispondere le risorse.
Qui introduco il secondo elemento, che attiene al decentramento amministrativo e al rapporto col federalismo, la cosiddetta legge Bassanini n. 59 del 1997. La Relazione effettua una serie di giudizi ingenerosi rispetto a ciò che ha prodotto l'incremento di spesa. Basti dire che alle regioni sono state trasferite funzioni, risorse e personale, e praticamente l'ammontare delle risorse risulta bloccato a quello del 1999.
Se noi considerassimo la perdita di valore in relazione al tasso di crescita dei prezzi, parleremmo di un valore di circa il 12,7 per cento, quindi esattamente il contrario di ciò che sostiene la Relazione; se poi parlassimo invece - ma sono pronto a scegliere l'indicatore che si ritiene più opportuno - della perdita di valore in relazione all'inflazione, allora avremmo una perdita complessiva del 25,5 per cento.
Questi stessi trasferimenti, come dice la Relazione, valgono complessivamente 4,9 miliardi di euro del cosiddetto Fondo unico, e sono costretto ad effettuare di


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nuovo un incrocio con il decreto n. 78, che taglia 4 miliardi, a cui vanno aggiunti 3,10 miliardi, se i consigli e le assemblee non fanno i provvedimenti di riduzione che conoscete. Sostanzialmente, quindi, è un taglio che interviene totalmente sulle risorse per le competenze trasferite.
Ora, è vero che è stato fatto un emendamento nel famoso maxiemendamento Azzolini che non fa riferimento più ai trasferimenti ma alle risorse, ma il problema non cambia, perché - vorrei ricordarlo, anche se è chiarissimo a tutti voi - le regioni non hanno trasferimenti, ma hanno due fonti di finanziamento: quello del Fondo sanitario nazionale, via l'utilizzo dell'IVA e delle compartecipazioni, quindi all'interno di un meccanismo tutto centralizzato, e solo le risorse per le competenze. Comunque le vogliamo chiamare, sempre di quelle risorse parliamo.
È difficile, dunque, realizzare un meccanismo premiale dei comportamenti virtuosi con una riduzione del taglio di cui avete colto la dimensione. Questo mette in discussione una «gamba» della legge n. 42, quella che non è - per brevità vado per schemi - la lettera m) e che non è trasporto pubblico locale, cioè quella parte che, superando la spesa storica, deve essere distribuita attraverso il criterio della maggiore contribuzione territoriale. È la Relazione del Governo che parla di 4,9 miliardi di euro: in questo modo manca un paletto fondamentale della legge n. 42, a meno che la manovra non sia strutturale. Successivamente, però - qui ci sono altri esperti - si aprirebbero altri temi, a livello europeo e via dicendo. Si propone, dunque, il problema.
Definire le regioni delle holding non è un colpo di eleganza istituzionale, tuttavia voi sapete che noi abbiamo chiesto di fare una verifica, una commissione con tutti a zero euro di costo per mettere in linea la pubblica amministrazione. Noi non neghiamo che ci siano azioni e politiche di qualificazione dei costi gestionali, ma è bene che quando si cita la Corte dei conti si citino tutti i suoi aspetti. In questo modo, si definisce il quadro che ci consente di diventare un Paese federale. Per esempio la relazione, della Corte dei conti al decreto-legge n. 78 spiega come gli esiti dei tentativi di contenimento già presenti nelle manovre correttive precedenti fatte sui ministeri - cito testualmente dalla Corte - «sono stati spesso deludenti risolvendosi per lo più in meri slittamenti di pagamento con grave danno, peraltro aggiuntivi rispetto ai conti».
Ora, noi ribadiamo la richiesta della Commissione e insistiamo su altri due punti. Adesso si sta facendo la verifica sulla questione del Mezzogiorno e dei fondi comunitari 2000 e 2006. Anche in questo caso, occorrerebbe evitare di mettere le istituzioni contro le istituzioni o un'istituzione sul banco degli imputati, anche perché nessuno può scagliare la prima pietra. Molti dei progetti bloccati hanno enti dello Stato quali soggetti attuatori.
Riguardo alle pensioni di invalidità, siamo a una rappresentazione con qualche refuso e vorrei precisarlo: intanto, la spesa è cresciuta da 6 a 16 miliardi di euro in diciannove anni - non sono dati nostri, sono stati ufficiali dell'INPS; nel 2002 è stato fatto un passaggio di competenze, nel 2003 le regioni hanno cominciato a gestirlo. Le regioni hanno dovuto gestire e smaltire una grossa parte delle pratiche arretrate. Questo lavoro è durato fino al 2005 e, in ogni caso, le Commissioni fino al 2007 avevano tra i componenti anche un membro del Ministero dell'economia. Francamente non riesco a capire perché, dati alla mano, la colpa ricada sulle regioni.
È stata cambiata la legge, sono stati emessi altri decreti, a mio avviso equi, il tentativo di cambiare le percentuali di invalidità è rientrato - anche perché un bambino con una sindrome di Down non può essere considerato non invalido in un Paese civile - dopodiché abbiamo proposto e riproposto al ministero di fare le verifiche, invece di dare responsabilità.. Se ci sono, e ce ne saranno, situazioni nelle quali non è stato dato, come anche recenti indagini dimostrano in alcune regioni, l'assegno rispettando la legge, si intervenga; ma se voi analizzate i dati da quando


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l'INPS ha cominciato a fare i contenziosi, oltre il 70 per cento di questi è stato perso dall'INPS con un costo di gestione gigantesco.
La cosa che qui voglio dire è che non si può caricare sulle regioni questa responsabilità. In ogni caso, siamo pronti a realizzare qualsiasi verifica sul campo e ad assumerci le nostre responsabilità. Diversamente, se si ritiene che si debba gestire meglio sul piano centrale, siamo pronti a discutere, fermi restando i diritti dei cittadini.
In relazione alla irrazionalità della finanza derivata, debbo fare due precisazioni collegate al tema «anomalia sanità». Voglio ricordare che è dal 2001 che non si paga a piè di lista la sanità, anzi è da prima, ma dal 2001 se c'è chi non rispetta il patto, le regioni pagano. Voglio anche ricordare che, rispetto ai tendenziali, la sanità col precedente patto e con il patto attuale ha ridotto il tendenziale in modo significativo. La media di crescita della sanità dei Paesi OCSE è di circa 5 punti percentuali all'anno.
Con il patto che abbiamo siglato con il Governo, cresce nei tre anni del 2,5 per cento, dopodiché ci sono situazioni fuori controllo che vanno riportate a controllo, ma esiste il Patto per la salute. Io considero sia un errore nella Relazione il giudizio così tranchant sul Patto per la salute, perché non ho capito qual è l'alternativa e questa sarebbe una bella domanda, e sarebbe molto interessante la risposta. Non ho capito qual è l'alternativa se il Patto per la salute non funziona. Ricordo, infatti, che si tratta di un diritto costituzionale, non di un ufficio all'estero delle regioni. È dunque un problema rilevante.
Penso che ci sia bisogno di lavorare e che la prima cosa - ha una funzione importante anche questa Commissione - sia riuscire a rientrare pienamente nello spirito e nel percorso della legge n. 42, e realizzare quel faticoso lavoro di convergenza tra i diversi livelli istituzionali, il Parlamento e il Governo, senza il quale io non riesco a capire come possiamo andare avanti.
Voglio concludere solo con un ultimo esempio perché sia abbastanza chiaro quello che abbiamo in testa: quando parlo di applicare la legge n. 42 pienamente, mi riferisco, per esempio, a un punto cardine, e cioè che il paletto essenziale per stabilire i costi standard e alla fine il costo, cioè il finanziamento necessario, è legato a come si definiscono i costi standard, ai livelli essenziali di assistenza e ai LEP. Noi dobbiamo, cioè, dire, stabilito qual è il costo standard di un bambino mediamente negli asili nido - così non parlo delle regioni, ma parlo dei comuni per esempio - che cosa vogliamo fare. Il 9,7 per cento è la copertura che garantiamo oggi; l'Unione europea indica il 33 per cento, sottoscritto anche dal Governo italiano; ci sono regioni che hanno una percentuale attorno al 30 per cento. Il problema, infatti, non è secondario, ma fondamentale perché se si prende una percentuale del 10 per cento, per esempio, significa che quelle regioni che sono al 30 - casualmente la mia - oltre al 10, che viene fiscalizzato, per arrivare al 30 devono chiedere altre tasse ed è chiaro che questo discorso non regge.
Vorrei, quindi, capire come contemperiamo! Io capisco che ci sono i vincoli europei, i problemi della Grecia. Dunque, come contemperiamo la necessità di stare dentro i costi, l'impianto, i livelli essenziali di assistenza e i LEP? C'è bisogno di costruire un percorso. Bene, ragioniamo sul percorso, ma non si può togliere la gamba dall'impianto dei LEA e dei LEP perché a quel punto io, che sono un federalista convinto, vi dico con grande sincerità «no, grazie, troppo generosi».
Insomma, i cittadini di questo Paese con il federalismo debbono sapere a quali diritti e a quali servizi hanno diritto. Come dice giustamente il ministro Tremonti: prelievo, servizi e responsabilità. Non vorrei che ci trovassimo in un'altra situazione, ma credo che non sia intenzione di nessuno.
Tuttavia, dico così all'impronta che qualcuno sposta il paletto e chi deve mettere le tasse sono quelli che nel territorio debbono continuare a gestire i


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servizi. È chiaro che nessuno può avere questa idea perché è antifederalista, e dunque c'è bisogno davvero di fare un lavoro di verifica e di costruzione.
Noi su questo siamo assolutamente disponibili, impegnati e pronti anche ad avere la consapevolezza delle difficoltà finanziarie che stiamo vivendo, e quindi della necessità di costruire un percorso. Ci mancherebbe. Oltretutto, il federalismo non è un'«ora X», ma un processo che prevede anni e stabilità, ma prevede anche un impianto condiviso e serio che dia delle risposte.

PRESIDENTE. Ringraziamo molto il presidente Errani che ha fornito utilissimi spunti che forse potrebbero anche arricchire il lavoro che i nostri relatori stanno svolgendo sulla Relazione.
Do la parola al vicepresidente dell'ANCI Salvatore Perugini, sindaco di Cosenza.

SALVATORE PERUGINI, Sindaco di Cosenza e vicepresidente dell'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI). Come ANCI, abbiamo consegnato alla Commissione un documento di sintesi del pensiero unanimemente condiviso all'interno dell'Ufficio di presidenza dell'ANCI, quindi a quel documento ci riportiamo facendo qui una sintesi assai breve delle cose che riteniamo più interessanti.
Apprezziamo sicuramente il fatto che il Governo abbia rispettato il termine previsto dalla legge nel rassegnare e depositare la Relazione sul federalismo fiscale prevista dalla legge n. 42. Pur tuttavia, non possiamo non rilevare delle vistose lacune, probabilmente frutto della complessità dei temi che vengono trattati nella Relazione, e dei punti di criticità.
Io esprimo totale condivisione con la premessa fatta dal presidente Errani: da un lato, il sistema delle autonomie locali, che sono quelle che intercettano più direttamente i bisogni e le domande dei cittadini, sono concretamente impegnate perché il federalismo fiscale in maniera graduale e flessibile, in un contesto di unità di Paese di nuovo patto tra le istituzioni, si realizzi e si realizzi nel migliore dei modi; nel contempo, non riusciamo a condividere quella che definiamo anche noi la assolutamente ingenerosa, e per altro verso non corrispondente al vero, affermazione secondo cui molte responsabilità della crescita del debito pubblico siano addebitabili al sistema dei governi territoriali.
Potremmo ricordare come una delle tante cause la quantità di leggi approvate senza la necessaria copertura finanziaria e quando si trattava poi di finanziarle si è ricorso all'emissione del debito. Il fenomeno, quindi, non è di oggi, è datato, però sicuramente, se vogliamo discutere dell'albero storto, dobbiamo discuterne tenendo presente la complessiva situazione del Paese quanto meno nell'ultimo ventennio.
Ciò detto, noi ci siamo sempre battuti, sin dalla legge 23 ottobre 1992, n. 421, perché i comuni avessero autonomia di entrate e di spesa, commisurata ovviamente alla entità delle funzioni pubbliche assegnate.
Se questo è il quadro, possiamo tranquillamente affermare che, per quanto ci riguarda ad esempio, al decentramento delle competenze e delle spese non sono seguite alcune cose: non è seguito il decentramento del potere fiscale, anzi potremmo dire che negli ultimi anni sono aumentate le quote di risorse di finanza derivata; non è seguito un adeguato e congruo trasferimento di risorse finanziarie destinate ad assicurare i maggiori servizi demandati ai Comuni e comunque le domande provenienti dalla nostra comunità; non sono seguiti - e questo è un punto, a nostro avviso, fondamentale - né la riduzione né lo snellimento dell'amministrazione centrale proporzionale al complesso di competenze nel frattempo trasferite, e ciò è dimostrato dal fatto che ormai da decenni la spesa della pubblica amministrazione annualmente cresce mentre noi come sistema ci sforziamo di farla annualmente diminuire e i dati dicono che ci siamo anche riusciti.
Ci sono due o tre questioni rispetto alle quali la Relazione avrebbe dovuto dire di più, proprio perché siamo profondamente


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convinti che il processo del federalismo fiscale, ma io mi permetto di dire il processo più complessivo di attuazione del Titolo V, presuppone che la leale collaborazione tra le istituzioni si realizzi da tutti i punti di vista. Non c'è dubbio, dunque, che esista un tema della mancata riorganizzazione dell'amministrazione centrale. Questo è un tema di fondamentale importanza, rispetto al quale la posizione dell'ANCI è molto datata: noi abbiamo sempre sostenuto che sarebbe stato più complicato, e in realtà più complicato è, pensare di dare forti accelerazioni all'aspetto del federalismo fiscale senza che a questo fosse correlato un cammino quantomeno parallelo sulla questione che riguarda il federalismo istituzionale.
Ribadiamo, quindi, anche in questa sede la richiesta più volte avanzata di riaprire un dialogo urgente con il Governo e con il Parlamento sui contenuti della nuova Carta delle autonomie. So, onorevole Lanzillotta, che chiediamo una cosa difficile, però siccome la chiediamo da sempre, con forza in questa autorevolissima sede intendiamo ribadirlo.
Insieme a questo esiste anche il tema della razionalizzazione proprio della spesa centrale: non si può pensare di raggiungere un federalismo fiscale, per come ognuno di noi e tutti insieme lo vogliamo, senza porre concretamente il problema della riduzione e della razionalizzazione degli apparati centrali e dei relativi costi.
Noi abbiamo in sospeso da tempo - e questo è un esempio che può valere per tante altre cose - il tema della funzione catastale, che oggi diventa, anche alla luce delle evoluzioni attuative della legge n. 42, ancor più urgente, ma io mi permetto di dire ancor più cogente. Eppure anche qui siamo fermi e non ci sono indicazioni precise che ci possano comunque tranquillizzare.
Per queste ragioni e per questo obiettivo riteniamo che sia estremamente importante che venga riconosciuta al sistema dei comuni la quantità di risorse quantificate e individuate nella legge n. 42. Come le regioni, quindi, ma credo in assoluta condivisione anche con le province, chiediamo la piena e concreta applicazione della legge sul federalismo fiscale. È chiaro che altrimenti la manovra finanziaria attualmente al rush finale del Parlamento rischia di vanificare anche la concretizzazione del federalismo stesso avendo già decurtato circa 4 miliardi di euro di risorse trasferite.
A proposito della questione relativa alla clausola di invarianza finanziaria, non c'è dubbio che su questo principio c'è una condivisione totale, però questo non può significare che il federalismo fiscale non possa o non debba determinare, nel rispetto dei vincoli, una nuova ripartizione delle entrate tra lo Stato, le regioni, le province e i comuni conseguente a una effettiva razionalizzazione dell'amministrazione centrale e forse anche regionale a vantaggio del livello locale.
Noi crediamo che sia una lacuna significativa presente nella Relazione. Se questo non si fa non si dà una lettura compiuta di quel federalismo fiscale che serve concretamente al Paese.
Sul piano più particolare dello stato della nostra finanza locale, non possono non essere apprezzati il lavoro e l'impegno dei comuni, supportato anche dalle nostre associazioni, e che stiamo compiendo proprio per avviare la fase del superamento della spesa storica a favore della spesa standardizzata.
Su un punto crediamo che non ci possano essere né dubbi né obiezioni, ovvero che la completa e organica attuazione del federalismo fiscale per i comuni debba conoscere tre piani di intervento: un primo piano è quello dei fabbisogni standard; un secondo piano è quello che riguarda le forme delle entrate autonome dei comuni; un terzo intervento riguarda il tema della perequazione. Sono temi assolutamente interconnessi tra di loro. Si tratta di piani e interventi che, a nostro avviso, abbisognano di quella necessaria gradualità e flessibilità proprio per garantire una fase di accompagnamento per il superamento di quelle differenze che tra i territori ci sono e, da qui, richiamo un principio precedentemente espresso, ovvero la necessità di affidarci e lavorare


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tutti insieme per un nuovo patto istituzionale che si fondi sull'unità del Paese.
Noi, con riferimento alla manovra finanziaria e su come questa interferisca negativamente col federalismo, abbiamo già espresso il nostro parere nella Conferenza unificata. È stato un parere nettamente negativo, poi a latere abbiamo concluso col Governo un accordo che riguarda due o tre questioni essenziali per la vita degli enti locali: quello sullo schema di decreto legislativo per l'autonomia impositiva; la possibilità di discutere la necessaria, per noi, revisione delle regole sul Patto di stabilità; questa fase di monitoraggio per capire bene se i tempi sono quelli giusti o se sui tempi bisogna ancora lavorare.
Un dato è certo e lo porremo - lo abbiamo già posto nelle sedi tecniche e politiche nel rapporto col Governo - con forza nella Commissione bicamerale sul federalismo: il nuovo tributo non può, a nostro avviso, basarsi unicamente sul carattere immobiliare. Noi riteniamo che vada riferito anche a quel complesso paniere di entrate, quali possono essere sicuramente la compartecipazione IRPEF e la compartecipazione IVA.
Da ultimo, voglio richiamare altre due questioni. Il presidente Errani faceva riferimento al lavoro della COPAFF: non c'è dubbio che la COPAFF, nel cui ambito è rappresentato il Governo, proprio nella sua introduzione precisi espressamente che del taglio dei trasferimenti statali alle regioni, ai comuni e alle province non si debba tener conto in sede di attuazione della legge n. 42 ai fini della loro fiscalizzazione, ovviamente individuando adeguate soluzioni per garantirne la compatibilità. Tuttavia, nella Relazione è scritto - lo abbiamo letto - che i dati della COPAFF sono indicativi, non vincolanti, quindi c'è una possibilità di manovra configurata come se si potesse in sedi così importanti dire che esiste sì un convincimento, ma che si può anche aver scherzato. Questa è una cosa rispetto alla quale, a nostro avviso, deve avvenire una discussione molto più serrata.
Infine, c'è una lacuna nella Relazione ed è l'assenza di qualunque previsione con riferimento alle città metropolitane. Anche qui dobbiamo capire: o le città metropolitane esistono, hanno una loro specificità, una loro differenziazione, o tutto ciò non è vero. Siccome è sicuramente vera la prima affermazione, ovviamente nella Relazione sul federalismo fiscale qualche profilo o qualche previsione sulle città metropolitane andava fatta e invece è totalmente assente.
Detto questo e comprendendo la difficoltà e la complessità dei temi trattati, anche noi, come le regioni, siamo pronti ad affrontare in tutte le sedi, tecniche, politiche, nel rapporto col Governo, nel rapporto col Parlamento, tutte le questioni che a nostro avviso sono nodi che devono essere sciolti perché anche noi crediamo che sia estremamente importante che il processo federalista vada avanti; siamo convinti che sia straordinariamente necessario, per quanto riguarda i comuni, che all'autonomia e alla responsabilità ci sia anche una correlata assegnazione chiara di funzioni, quindi federalismo fiscale e federalismo istituzionale; siamo talmente protesi a raggiungere questo obiettivo che valutiamo che anche i tempi della discussione debbano essere quelli ragionevoli.
In questo quadro ovviamente noi ribadiamo la nostra più completa disponibilità, e con fiducia e un po' di speranza e ottimismo aspettiamo che tutti i nodi e tutte le criticità che abbiamo evidenziato possano essere quanto meno discusse e portate a soluzione.

PRESIDENTE. Saluto il presidente Errani che deve allontanarsi per concomitanti impegni istituzionali.
Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

WALTER VITALI. Ringrazio molto sia il presidente Errani sia il presidente Perugini per i loro interventi.
Condivido pienamente. Il nostro gruppo, peraltro, nelle diverse occasioni che abbiamo avuto di discussione sulla


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Relazione, ha mosso critiche ampiamente coincidenti con quelle qui sentite e ha avanzato proposte che vanno nella medesima direzione, e cioè quella di ritrovare la strada della legge n. 42, nella quale peraltro non ci siamo pienamente ritrovati nel dibattito parlamentare cercando anche di dare contributi per un impianto che, a nostro modo di vedere, è pienamente coerente con il dettato costituzionale ed è quello di cui il Paese ha bisogno.
Poiché il presidente Errani non è più presente, riduco all'essenziale le mie domande perché alcune erano rivolte anche lui.
Non vorrei fare torto all'amico Perugini, ma stralcio le domande che riguardano le regioni e vado direttamente solo a quelle che riguardano i comuni.
Voi avete parlato di una sorta di incrocio pericoloso - l'aggettivo ce lo metto io, ma ho capito che è così - tra legge n. 42 e manovra finanziaria. Nella manovra finanziaria vi è una norma che, se presa alla lettera, dovrebbe tranquillizzarvi perché sostanzialmente si dice che la riduzione di risorse attuata per gli anni 2011-2013 sarà neutralizzata ai fini dell'attuazione della legge n. 42. Noi abbiamo inteso questa norma in Parlamento nel senso che a quel punto si riparte dal livello originario per l'attuazione della legge n. 42; ma qual è il vostro punto di vista su questo?
Inoltre, se posso permettermi di aggiungere un'ulteriore domanda, vi chiederei come vi ha rassicurato il Governo nel corso delle relazioni dirette che avete avuto con esso. Lo chiedo perché il Ministro Tremonti, purtroppo, è stato bravissimo nella sua audizione a rispondere alle domande di carattere storico - noi abbiamo rivolto molte domande al Ministro Tremonti riferite alla sua Relazione - ma purtroppo ha eluso tutte quelle di attualità e una di queste riguardava proprio il modo attraverso il quale il Governo intende prestare fede a quella norma fondamentale.
Io non voglio che lei risponda per il Governo, ovviamente, ma vorrei sapere qual è il punto di vista dell'ANCI.
Passo direttamente ad altre due questioni in fieri, ma che riguardano direttamente proprio i comuni. A proposito della legge n. 42, trovo piuttosto incoerente, per non dire totalmente in contrasto, con la medesima ciò che è scritto all'articolo 5 della bozza di decreto legislativo che si riferisce ai fabbisogni di comuni e province. Stiamo parlando di un atto non ancora formalizzato, però esistente. L'articolo 5 recita che, dopo aver approvato il decreto legislativo, che dà mandato a SOSE e IFEL per definire i fabbisogni, questi vengono stabiliti attraverso DPCM. Ora, poiché questo non è contenuto nell'accordo, di cui abbiamo copia, siglato in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali, l'ANCI ha qualcosa in contrario se noi chiediamo una modifica radicale su questo punto, come ad esempio il fatto che ci sia un secondo decreto legislativo che il Parlamento possa esaminare?
L'ultima questione è sempre a proposito di questioni in fieri che riguardano l'ANCI e a proposito di legge n. 42: chi fa la perequazione per la legge n. 42? La fa lo Stato, che stabilisce le regole, le regioni distribuiscono il fondo e, qualora trovino un accordo in sede regionale col sistema delle autonomie locali, possono modificarle. Cosa c'entra la Conferenza Stato-città e autonomie locali con tutto questo?

PRESIDENTE. Prima di dare la parola all'onorevole Lanzillotta, avverto che il presidente Castiglione ci ha fatto sapere della sua impossibilità a essere presente e ha fatto pervenire un documento dell'UPI, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna, unitamente alla documentazione consegnata dai rappresentanti dell'ANCI (vedi allegati).

LINDA LANZILLOTTA. Intanto, vorrei porre una questione di ordine dei lavori e di metodo. Giustamente, il sistema delle autonomie ha molto voluto la previsione nell'ambito della legge che ci fosse un comitato che avesse una sua evidenza nel processo di elaborazione della fase attuativa della legge delega, evidentemente per


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interloquire con la Commissione, perché altrimenti ci sono le sedi e anche gli strumenti nell'ordinamento previgente la legge n. 42 per ascoltare il sistema delle autonomie. Allora, io comprendo che ci siano molti impegni, però quando la Commissione si incontra con il Comitato ci dovrebbero essere tempi, modi e interlocuzione. Se l'incontro avviene solo per ascoltare - molto interessante l'intervento di uno dei presidenti, un altro non può eccetera - io penso che non sia questo il senso di questa innovazione procedimentale.
Chiedo, quindi, al presidente di garantire che quando ci si incontra con il Comitato delle autonomie nell'ambito della Commissione, lo si faccia con le necessarie condizioni di tempo e di interlocuzione dialettica.
Comincio dal punto posto dal senatore Vitali, sul quale io ritengo che la norma che lui cita non sia nella disponibilità dell'ANCI, nel senso che è una norma che contrasta con la delega e che quindi il Parlamento, a prescindere dall'opinione dell'ANCI, deve pretendere che sia modificata riaffermando le proprie prerogative piuttosto che quelle dell'ANCI. Comunque condivido assolutamente l'opinione che quella norma non corrisponda all'impianto della legge.
Vorrei anche rivolgere due domande di carattere generale che partono un po' dalle questioni poste da Errani: lui giustamente sottolineava che nella Relazione si omette l'aggregato della spesa statale molto significativo della spesa previdenziale. Io credo che quello che finora è totalmente mancato nel processo federalista sia proprio un cambio di cultura, di punti di vista e ha prevalso una sorta di corporativizzazione delle relazioni istituzionali e anche la gestione degli aggregati della spesa. Credo che sia giusto - e non c'è nulla da scandalizzarsi di quello che la Relazione denuncia come un fatto paradossale - che ogni anno si negozino le aliquote del gettito fiscale che vanno destinate ai diversi livelli istituzionali. Questo corrisponde esattamente al processo di decisioni di finanza pubblica in un sistema federalista. Il punto è che non si negozia tra Stato e regioni secondo le modalità, appunto, di un confronto tra corporazioni.
Ritengo che i livelli istituzionali facciano una scelta di priorità sulle finalità sociali della spesa pubblica, per esempio tra previdenza e sanità, e una volta fatta questa scelta, insieme si confrontino con le parti sociali perché è chiaro che se si destinano più soldi alla sanità, bisognerà incidere sulle pensioni. Non ci sono infatti, aree di spesa intoccabili.
Noi siamo in una fase di rientro e di riduzione della spesa perché bisogna ridurre la pressione fiscale, quindi occorre che il sistema pubblico faccia delle scelte e delle gerarchie di finalità e non può farlo negoziando con comuni e regioni, come ha sempre fatto, come se fossero dei sindacati, ma insieme e poi insieme stare dalla stessa parte del tavolo e negoziare con i sindacati.
Avevo proposto che si procedesse così quando me ne occupavo come Ministro delle regioni, perché penso che sia un'assunzione di responsabilità collettiva delle istituzioni nella gestione di una decisione di finanza pubblica, e quindi di allocazione delle aliquote del gettito fiscale.
Bisogna, quindi, capire se il sistema delle autonomie è pronto a fare questo salto culturale perché questo vuol dire che, per esempio, se prevale a quel tavolo una scelta sulle pensioni, si comprime la spesa per il trasporto e per la sanità. Non c'è niente, infatti, di incomprimibile. È questo il punto di vista che bisogna assumere.
Mi spiace che il presidente Errani non ci sia, ma avrei voluto chiedergli in merito al decreto-legge n. 78, che praticamente azzera, come mi sembra che abbia accennato, le risorse per la perequazione tra territori con capacità fiscale superiore e quelli che devono alimentare il fondo perequativo, anche per capire cosa significa questo - la Relazione non lo dice - in termini di fabbisogno finanziario aggiuntivo.
Vorrei, inoltre, capire dal presidente Perugini, visto che sia dalla Relazione sia dalle audizioni che abbiamo fatto con la COPAFF ci è stato detto che il grado di comparabilità e standardizzazione dei


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conti delle amministrazioni locali, ma non solo, anche per quanto riguarda le regioni e, in particolare, le ASL, è a un livello medievale - queste sono le parole usate da uno degli esponenti della COPAFF - che cosa significa fare i costi standard in un sistema di questo genere.
Usare solo una metodologia di tipo statistico, che è l'esito che si prefigura utilizzando la SOSE, che prescinde dalla realtà e può quindi avere un impatto molto imprevedibile su di essa? O andare a quello che si era già cercato di fare nel 1995, ovvero fare dei pro capite standardizzati più o meno a spanne abbastanza larghe? In questo caso, in una fase di riduzione della spesa come è quella a cui andiamo incontro per i prossimi tre o quattro anni - non credo che finirà domani il rientro del deficit - come si fa quest'operazione di riallineamento a risorse calanti rispetto a pro capite standard, o comunque a un costo standard che evidentemente ha disallineamenti molto forti da realtà a realtà? Come si pensa di realizzare l'impatto dell'applicazione dello standard in una fase in cui non ci sono dei margini di spesa aggiuntiva da ridistribuire, ma solo riduzione di spesa netta da ripartire?
Infine, non ho che ovviamente da condividere quello che il presidente Perugini ha detto, e cioè che il limite di questa operazione - ma io credo il limite delle operazioni di finanza pubblica degli ultimi quindici anni - è stato quello di usare solo la leva finanziaria, che significa mettere la polvere sotto il tappeto, e non quello della riorganizzazione strutturale delle amministrazioni pubbliche, come si è cercato di fare col Codice delle autonomie.
Mi permetto di annunciare, tuttavia, al presidente Perugini che sul Codice delle autonomie abbiamo messo una pietra tombale, perché se ne parlerà tra sette o otto anni, forse, e comunque, anche quando se ne parlasse, non ha modificato nulla secondo quel principio della specializzazione funzionale che avrebbe dovuto consentire un alleggerimento dei costi.
In questo Paese, infatti, non si riesce a modificare nulla, ognuno difende quel che ha come se fosse la battaglia della vita come se uno dovesse fare l'assessore della bandiera per il resto della sua vita.
Io pongo queste domande perché stiamo andando avanti come se tutto questo non esistesse, però io non vedo, onestamente, come si faccia se non applicare una regola di buonsenso a cui mi rifiuto di ridurre il federalismo fiscale perché prendere il costo più efficiente di un medesimo servizio o prodotto - è però una visione molto minimalista - e adottarlo come best practice è una misura di buonsenso e di buona amministrazione per la quale ovviamente non era necessario modificare la Costituzione né mobilitare questo «ambaradan» che evidentemente ha invece una portata innovativa ben più cospicua e ben più profonda.

PRESIDENTE. Do la parola al sindaco Perugini per la replica.

SALVATORE PERUGINI, Sindaco di Cosenza e vicepresidente dell'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI). Ovviamente, io avevo concluso il mio intervento con una parola di speranza e di ottimismo che riguardava non solo il tema del federalismo fiscale, ma anche quello del federalismo istituzionale. L'onorevole Lanzillotta mi ha troncato questa speranza perché probabilmente sulla speranza prevale il senso del realismo e della conoscenza ancora più diretta rispetto al nostro sistema di come stanno le cose a livello governativo e parlamentare. Certo è che se così fosse ci sarebbe un forte arretramento di ciò che si era pensato complessivamente di fare.
Quanto alla prima questione, noi come Governo abbiamo avuto sin qui due o tre incontri tecnici sul tema dello schema di decreto legislativo sull'autonomia e un punto informativo alla parte politica sarà fatto oggi pomeriggio alle 18,30 perché è convocato un ufficio di presidenza dell'ANCI per conoscere l'esito degli incontri svolti sul piano tecnico. Potremo, quindi, essere più precisi dall'esito delle informazioni che riceveremo da chi ci ha rappresentato al tavolo tecnico.


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Sulla perequazione, non c'è dubbio - lo dice l'articolo 13 - che sia fatta dallo Stato. Poi c'è un problema sussidiario regione per regione, però lo schema è quello, quindi non c'è dubbio che sia così.
Sullo schema di decreto legislativo per i costi standard, riteniamo che rispetti i princìpi fissati dalla legge n. 42 e che non siano previsti dei decreti legislativi, quindi è evidente che c'è un processo disciplinato dalla legge. Per noi vale la legge, poi ovviamente il Parlamento ha tutte le facoltà di intervenire sull'impianto legislativo.
Quanto alla Conferenza Stato-città, noi rivendichiamo che questo sia il luogo. Abbiamo fatto addirittura una istanza specifica alla Conferenza Stato-città, poi accolta, di trattare in Conferenza Stato-città tutte le questioni che riguardano propriamente la vita degli enti locali non solo per la parte ordinamentale o per le competenze del Ministero degli interni, ma per tutto ciò che riguarda la vita degli enti locali, compreso il tema della finanza pubblica. Finché la Conferenza Stato-città ci sarà, noi crediamo che quella sia la sede istituzionale propria per discutere di tutte le questioni che riguardano la vita dei comuni, e quindi i problemi del momento e quelli in prospettiva.
Quanto alla domanda dell'onorevole Lanzillotta, mi ricordano che la scelta della SOSE è governativa e che quindi non l'abbiamo fatta noi. Certo, non vogliamo che si applichi la metodologia degli studi di settore, ma si troverà insieme una nuova metodologia che ci consenta funzione per funzione, servizio per servizio, di trovare la migliore soluzione possibile. Questo è lo sforzo che noi stiamo facendo.
Dimenticavo che avevo l'onere di giustificare l'assenza dei tre colleghi sindaci. Chiamparino è assente perché, come è noto, è a Torino per la questione FIAT; proprio oggi era fissato l'incontro che prevedeva la presenza anche del sindaco di Torino. Inoltre, Alemanno e il sindaco di Verona, Tosi, avevano concomitanti impegni.

PRESIDENTE. Peraltro, anche i rappresentanti dell'UPI hanno comunicato il loro impegno e hanno predisposto un documento, che naturalmente è a disposizione della Commissione.
Io do molta importanza a questi incontri tra la Commissione e il Comitato dei dodici, solo che debbo prendere atto che la seconda metà di luglio normalmente non è un periodo particolarmente felice per la programmazione di incontri cui tutti possano essere presenti. Condivido la critica dell'onorevole Lanzillotta in ordine al fatto che c'è una non completa presenza tanto dei componenti della Commissione quanto dei componenti del Comitato, ma mi rendo conto che il periodo è quello è.
Pur condividendo, quindi, in linea di principio, devo comunque prendere atto che è un periodo particolarmente complesso. È ovvio che il percorso sarà ancora molto lungo e auspico fortemente che ci sia invece una intensificazione di incontri, ma non solo su richiesta nostra. A me piacerebbe che avvenisse anche su richiesta vostra, già a partire dai prossimi decreti, quello sui costi standard dei comuni e quello sull'autonomia impositiva dei comuni, che forse sarà proprio in questi giorni varato come schema dal Governo.
Detto questo, ringrazio il presidente Errani, il sindaco Perugini e la presidente Polverini per la loro partecipazione e dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,25.

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