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Premessa
Questa Commissione dopo il Lazio, la Campania, la Calabria e la Sicilia, ha dato priorità ad un'inchiesta territoriale sulla regione Puglia, in quanto interessata da uno stato di emergenza sul ciclo dei rifiuti che dura da oltre un decennio.
Per fornire un quadro esauriente delle complesse e articolate situazioni che hanno generato numerose inchieste e procedimenti di natura penale sono state effettuate audizioni e sopralluoghi per verificare l'attuazione del piano regionale dei rifiuti e lo stato dell'impiantistica, l'attuale stato dei procedimenti penali pendenti, i comportamenti delle imprese impegnate nel settore, gli impatti sull'ambiente e sulla salute derivanti dalle politiche sui rifiuti, gli interessi di natura economica e le eventuali infiltrazioni nel settore della criminalità comune ed organizzata.
La Commissione ha effettuato due missioni in Puglia, una a Taranto, dal 14 al 16 settembre 2010 e l'altra a Bari dal 25 al 27 gennaio 2011.
Il 14 settembre 2010 è stato effettuato un sopralluogo presso il sito ex Enichem di Brindisi mentre il 15 settembre 2010 sono stati effettuati due sopralluoghi presso il termovalorizzatore di Massafra e lo stabilimento Ilva.
In occasione delle missioni, sono state sentite sessantasette persone, tra magistrati, ufficiali e autorità di polizia, prefetti e questori, amministratori locali e rappresentanti delle associazioni ambientaliste.
In particolare, presso la prefettura di Taranto (14-16 settembre 2010), nel corso della predetta missione, sono stati auditi:
Carmela Pagano, prefetto di Taranto;
Ennio Cillo, procuratore aggiunto presso il tribunale di Lecce;
Gino Palombella, rappresentante dell'associazione Taranto Libera;
Biagio De Marzo, rappresentante dell'associazione Altamarea;
Nicola Russo, rappresentante dell'associazione Taranto Futura;
Aldo D'ippolito, consigliere comunale di Statte;
Leonardo Corvace, Legambiente;
Aldo Visone, comandante legione Carabinieri Puglia;
Gennaro Badolati, comandante Noe di Bari;
Nicola Candido, comandante Noe di Lecce;
Francesco Patroni, comandante regionale della Guardia di finanza;
Nicola Altiero, comandante provinciale della Guardia di finanza;
Presso la prefettura di Bari (25-27 gennaio 2011), sono stati auditi:
Carlo Schilardi, prefetto di Bari;
Giorgio Manari, questore di Bari;
Antonio Pizzi, procuratore generale presso la corte d'appello di Bari;
Antonio Laudati, procuratore della Repubblica di Bari;
Carlo Maria Capristo, procuratore della Repubblica di Trani;
Antonio Savasta, sostituto procuratore della Repubblica di Trani;
La relazione è stata strutturata in quattro parti.
La prima e la seconda parte riguardano, rispettivamente, il territorio rientrante del distretto di corte d'appello di Bari e quello rientrante nel distretto di corte d'appello di Lecce.
Nell'ambito di ciascun distretto sono approfondite le situazioni relative a ciascuna provincia, sia con riferimento alla gestione del ciclo dei rifiuti ed alle connesse criticità, sia con riferimento agli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti, segnalati dalla magistratura e dalle forze dell'ordine.
La terza parte riguarda, specificatamente, la pianificazione regionale e il quadro relativo alle bonifiche dei siti contaminati.
La quarta parte, infine, è dedicata al tema dei rapporti tra la regione Campania e la regione Puglia per lo smaltimento dei rifiuti fuori regione, nonché, più in generale, al tema, particolarmente delicato e drammaticamente attuale, rappresentato dal traffico di rifiuti transregionale e transnazionale.
I - Territorio del distretto di Corte d'appello di Bari (province di Bari, Foggia e Barletta-Andria-Trani)
I.1 Provincia di Bari
Premessa
La situazione della provincia di Bari è stata approfondita nel corso della missione effettuata in Puglia nel mese di gennaio 2011. Dalle audizioni relative alla situazione esistente nella provincia di Bari in merito al ciclo dei rifiuti ed agli illeciti connessi, nonché dall'esame dei documenti acquisiti dalla Commissione, sono emerse alcune problematiche che possono in premessa essere sintetizzate come segue:
conferimento dei rifiuti prevalentemente in discariche, peraltro prossime alla saturazione;
mancanza di una adeguata programmazione concertata per la chiusura del ciclo dei rifiuti;
I livelli bassi di raccolta differenziata e la mancanza di adeguate risorse per incrementarla non fanno altro che consolidare le posizioni di alcuni gruppi imprenditoriali che, secondo quanto è stato riferito nel corso delle audizioni, gestiscono in regime di quasi monopolio il settore delle discariche e dei trasporti e che sono, conseguentemente, portatori di interessi opposti rispetto a quelli che vengono tutelati attraverso l'implementazione della raccolta differenziata.
Unitamente ai problemi di carattere strutturale, impiantistico e di progettazione, vi sono poi i problemi legati alla presenza di una criminalità organizzata endogena che opera anche attraverso il porto di Bari, dal quale partono containers carichi di rifiuti di varia natura - prevalentemente plastici ed elettronici - verso paesi esteri.
La provincia di Bari è commercialmente in evoluzione, sicché esiste il rischio concreto che prendano il sopravvento fenomeni criminali di condizionamento delle attività imprenditoriali e di inquinamento ambientale, tenuto conto della collocazione geografica, della realtà industriale ivi sviluppatasi, nonché degli stretti legami esistenti tra la criminalità pugliese e la criminalità organizzata delle regioni vicine.
I.1.1 Il ciclo dei rifiuti nella provincia di Bari
I.1.1.1 Le discariche e gli impianti. Problematiche
Il prefetto di Bari, nel corso dell'audizione del 26 gennaio 2011, ha evidenziato come lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani nella provincia avvenga essenzialmente attraverso il conferimento in discarica.
L'organizzazione dello smaltimento è stata realizzata mediante la suddivisione del territorio pugliese in quindici ambiti territoriali, dei quali quattro riguardano la provincia di Bari e la BAT, la nuova provincia di Barletta, Andria e Trani (1). I due ambiti territoriali BA/1 e BA/4 comprendono anche comuni della provincia di Barletta-Andria-Trani di recente istituzione.
Nella provincia di Bari, ha aggiunto il prefetto, sono in esercizio quattro discariche per rifiuti solidi urbani: una si trova a Giovinazzo,
I.1.1.2 Raccolta differenziata. Le problematiche che ostacolano un netto incremento dei livelli di raccolta differenziata
Con riferimento alla raccolta differenziata, importanti informazioni e spunti di riflessione sono stati forniti dal sindaco di Bari, Michele Emiliano, nel corso di una lunga audizione tenutasi presso la prefettura di Bari in data 27 gennaio 2011 (2).
Il sindaco Emiliano ha precisato come la raccolta differenziata nella città di Bari abbia registrato un notevolissimo incremento quantificabile, in termini percentuali, nel 23-24 per cento, pur precisando che il dato va preso non in termini assoluti, tenuto conto dei criteri non sempre chiarissimi con cui vengono quantificati i livelli di raccolta differenziata raggiunti in un determinato territorio. Quel che è importante, comunque, è il consistente margine di miglioramento registrato.
La questione evidenziata è che manca una programmazione di lungo periodo di concerto con la provincia e con la regione per il raggiungimento di un obiettivo comune ed elevato in tema di raccolta differenziata. Ha aggiunto: «Abbiamo l'impressione nella multilevel governance che questo processo della raccolta differenziata, da un lato, venga teoricamente incoraggiato, ma non abbia convinte politiche di supporto. Avremmo probabilmente la necessità di chiudere in pochi minuti - non credo occorrerebbe di più - con provincia e regione un accordo nel quale l'obiettivo del 50 per cento venisse individuato secondo un cronoprogramma che può anche essere rapidissimo, purché ovviamente il comune di Bari possa contare su questi finanziamenti in modo certo per almeno un triennio».
E allora ci si chiede: per quale motivo non viene avviata una pianificazione comune e concreta? Vi è una sorta di preoccupazione a tutti i livelli in quanto, laddove dovesse essere raggiunto il livello di raccolta differenziata del 50 per cento bisognerebbe, sempre secondo quanto dichiarato dal sindaco, rimettere in discussione l'intero sistema di smaltimento: «il piano delle certezze non esiste e sotto questo aspetto i nostri sforzi di ottenere dalla regione Puglia e dalla provincia di Bari un chiarimento su queste questioni sono ancora vani. Non arriviamo a sostenere che ci sia un blocco volontario, perché credo
I.1.2 Gli illeciti ambientali nella provincia di Bari
I.1.2.1 Le informazioni acquisite dal Noe di Bari e dal prefetto di Bari
Con riferimento ai reati ambientali connessi al ciclo dei rifiuti, nella nota del gruppo di Napoli del Comando tutela ambiente dei Carabinieri (3) si evidenzia come sia molto alta l'attenzione delle forze dell'ordine e della magistratura in questo settore; peraltro, l'attività di contrasto, secondo quanto si legge nella predetta nota, è stata resa ancora più efficace dai protocolli d'intesa siglati tra la regione Puglia e le forze di polizia che operano particolarmente nell'attività di contrasto al crimine ambientale (Noe, Guardia di finanza e Corpo forestale dello Stato).
A tal fine la regione ha messo a disposizione organismi tecnici qualificati quali il CNR-IRSA di Bari e l'Arpa Puglia e fondi specifici finalizzati ad incrementare le dotazioni tecnologiche e finanziare le attività investigative connesse al traffico illecito di rifiuti, nazionale e transfrontaliero.
Nel documento summenzionato viene sottolineata la presenza di due distinti fenomeni:
il «tombamento» dei rifiuti (sistema che ricomprende sia il riempimento di porzioni di territorio con i rifiuti per innalzamento della quota di calpestio rispetto al livello del mare, sia il livellamento
È evidente come l'impatto dell'illecita gestione di rifiuti solidi e liquidi sia particolarmente rilevante per le attività agricole, sia in termini di contaminazione di vaste aree coltivate che in termini di produzione ed illecito smaltimento di rifiuti derivanti dalle pratiche agricole stesse.
Il 26 gennaio 2011 sono stati auditi il comandante della legione Carabinieri Puglia, Aldo Visone, e il comandante del Noe di Bari, Gennaro Badolati.
Il comandante Badolati ha evidenziato come, nell'ambito dell'intera regione Puglia, sia in atto un dispositivo integrato di controllo del territorio nel quale sono confluite non solo le attività delle forze di polizia: «Sono state fatte delle convenzioni e sono state stipulate delle procedure in virtù delle quali si interconnettono delle banche dati affinché i dati che vengono da coloro che le devono alimentare - per queste banche dati intendo il catasto dei rifiuti, il catasto delle grotte, la banca dati sul monitoraggio dei siti inquinati - possono essere fruibili dalla struttura operativa più o meno subito, in maniera tale da poter incidere sul territorio e intervenire su quei fenomeni che nella relazione che vi è stata trasmessa dal Comando generale, risultano essere quelli che principalmente sembrano opprimere il territorio di questa regione. Mi riferisco a quelli di sommersione dei rifiuti e di tombamento e delle discariche equivalenti come le definiamo noi, nel senso che sono considerate discariche perché la giurisprudenza le definisce tali, ma che in realtà non equivalgono a una vera e propria discarica gestita in maniera non autorizzata e quindi incontrollata. Sono degli abbandoni che per essere stati ripetuti o per essere provenienti da diverse tipologie di rifiuti, vengono classificati come discarica. Questo sistema integrato consente di intervenire e monitorare l'intero territorio regionale non solamente con l'impiego degli elicotteri nostri, della Guardia di finanza e del Corpo forestale dello Stato, con l'impiego delle motovedette, delle nostre pattuglie a terra, con l'impiego delle stazioni territoriali, ma di alimentare questa banca dati e procedere agli interventi e successivamente seguire, anche sotto il profilo amministrativo, le pratiche relative alla bonifica, alla rimozione dei rifiuti, all'esecuzione dell'indagine preliminare sul sito che viene interessato da questo sversamento. Questa è una parte dell'attività che viene seguita. Un'altra parte che ha caratterizzato l'attività del Noe nell'ultimo anno e mezzo
Il prefetto di Bari ha fornito una serie di dati relativi agli anni 2008, 2009 e 2010 (4) da cui emerge che sostanzialmente i sequestri sono sensibilmente diminuiti, ma nel contempo sembrerebbero diminuite anche le attività di controllo. Nella nota suindicata, infatti, è stato precisato che gli interventi di controllo nel 2008 sono stati centootto, mentre nel 2010 gli interventi sono stati quarantacinque; sarebbe stato quindi ragionevole ritenere che l'inflessione delle violazioni accertate e dei sequestri effettuati fosse stata determinata anche dal minore impiego di risorse nelle attività di controllo del territorio, laddove invece, secondo quanto dichiarato dal comandante del Noe di Bari, si sono privilegiate attività di controllo e di indagine a più ampio raggio, con la conseguenza che i risultati statistici appaiono in numero minore rispetto alla reale attività svolta ed al livello qualitativo di tale attività.
Particolarmente interessanti sono poi le dichiarazioni del prefetto di Bari in merito alla società Tradeco di Altamura. Si tratta di una società oggi entrata in un'Ati con altre due aziende e diventata Cogeam e che ha avuto come amministratori delegati e come legali rappresentanti soprattutto esponenti della famiglia Columella. Ha aggiunto: «il capostipite della famiglia è Carlo Dante Columella che è stato più volte incriminato ma sempre per reati minori. Lo hanno incriminato per smaltimento illecito e altri piccoli reati ma se l'è sempre cavata. C'è poi Columella Michele, che è il presidente del consiglio di amministrazione della Viri, altra azienda collegata alla Tradeco, nel settore dei rifiuti, che è stato arrestato e posto ai domiciliari, insieme a due funzionari dell'Asl di Bari per lo smaltimento di rifiuti. Dalle mie risultanze, dal Noe di Bari è stata documentata la presunta esistenza di un traffico di rifiuti e reati ambientali compiuti dalla Tradeco, utilizzando la discarica di bacino di Altamura Le Lamie; risulta poi con altre quattordici persone una truffa aggravata - quindi parliamo soprattutto di illeciti di carattere patrimoniale, di reati contro la pubblica amministrazione - per il conseguimento di erogazioni pubbliche in quanto hanno risolto un contratto e anziché avere un milione e mezzo di euro avrebbero - mettiamo il condizionale - preteso sei milioni di euro nei confronti del comune di Altamura con cui avevano un contratto, ma ne hanno in tutta la Puglia; sono stati poi deferiti con altre settantadue persone sempre nell'ambito del bacino dell'Ato 4 per reati ambientali al fine di favorire illeciti guadagni».
Si tratta di inchieste che verranno approfondite nel prosieguo della relazione. Ulteriori dichiarazioni sono state rese dal prefetto con riferimento alla famiglia Columella, dichiarazioni che si riportano integralmente: «Il nome dei Columella è venuto fuori con una certa forza qualche mese fa quando in sede di audizione alla Commissione parlamentare antimafia, presieduta dal senatore Pisanu, furono di
I.1.2.2 Le attività svolte dal Corpo forestale dello Stato
In data 26 gennaio 2011 la Commissione ha sentito in sede di audizione il comandante regionale del Corpo forestale dello Stato, Giuseppe Silletti, il quale ha prodotto in tale occasione una relazione sull'attività di contrasto svolta dal Corpo forestale dello Stato in Puglia in materia di ciclo dei rifiuti e inquinamento ambientale (5). Il comandante Silletti ha evidenziato come uno dei problemi principali riscontrati dal Corpo forestale dello Stato nell'ambito dei controlli effettuati riguardi l'abbandono incontrollato di rifiuti, che avviene in modo talmente massivo da avere determinato, in alcuni casi, il cambiamento dell'aspetto del territorio interessato.
Per far fronte a questa situazione, nel territorio di Bari, è stata istituita una «volante verde», costituita da un gruppo di uomini dotati di attrezzatura idonea ad effettuare i controlli in materia ambientale. Come si potrà constatare dall'elenco sotto riportato, le indagini hanno riguardato numerosissime discariche abusive di pneumatici e di scarti dell'edilizia, nonché numerose cave abbandonate utilizzate come discariche di rifiuti.
Il fenomeno è così diffuso che non può escludersi, ha aggiunto il Comandante in sede di audizione, la presenza di una criminalità organizzata che gestisce in modo uniforme il settore dello smaltimento illecito dei rifiuti. Basti pensare che nell'Alta Murgia sono state sequestrate ben venti cave abbandonate nonostante si tratti di un'area particolarmente protetta, in quanto vi si trova il parco nazionale dell'Alta Murgia. Ebbene, l'utilizzo indiscriminato di vaste aree del territorio come discariche abusive di rifiuti è tale da potersi escludere l'occasionalità della condotta, sicché lo sforzo investigativo deve essere teso proprio a comprendere da dove provengano i rifiuti e se vi siano carenze nelle attività di controllo del territorio da parte degli organi deputati.
Di seguito si riportano i dati contenuti nella relazione, concernenti l'attività svolta dal Corpo forestale dello Stato nella provincia di Bari. L'elenco delle attività effettuate viene riportato integralmente perché fornisce l'esatta misura dell'intensità delle attività di controllo necessarie per far fronte ad una, purtroppo, altrettanto intensa e sistematica attività illecita in campo ambientale.
«In provincia di Bari si registra un diffuso mancato o incompleto uso dei formulari di identificazione dei rifiuti, soprattutto per i derivati dall'attività edilizia ed estrattiva, talora "camuffati" come materiali destinati a recupero. Diffuso è anche il fenomeno degli abbandoni di rifiuti nelle aree rurali e periurbane con particolare riferimento ad alcuni comuni in particolare. All'uopo il comando provinciale di Bari ha costituito un servizio dedicato, denominato "volante verde", avente la precipua finalità di reprimere tale fenomeno. Di recente si sono accertati nuovi furti di rame dalle linee elettriche e ferroviarie, già registrati negli scorsi anni, che si concentrano particolarmente in alcune aree (Acquaviva delle Fonti, Cassano, Altamura, Grumo Appula). In proposito è stata redatta una informativa
I.1.2.3 Le attività svolte dalla Guardia di finanza
La Guardia di finanza, rappresentata in sede di audizione dal comandante regionale, Franco Patroni, dal comandante provinciale di Bari, Vito Straziota, e dal comandante provinciale di Foggia, Riccardo Brandizzi, ha prestato la sua attenzione operativa al settore dei traffici transfrontalieri di rifiuti.
Il traffico transfrontaliero, infatti, riguarda non solo il porto di Taranto, ma anche il porto di Bari. È stata conclusa nel mese di maggio 2010 un'indagine relativa ad un illecito traffico di materiali pericolosi provenienti da autodemolizioni che venivano inviati in Ungheria.
I materiali provenivano da un'impresa bolognese e venivano fatti passare come materiale usato: in tal modo gli imputati riuscivano ad ottenere un duplice vantaggio anche a fini fiscali, sia perché potevano evadere l'ecotassa, sia perché riuscivano a scontare consistenti proventi a fini fiscali.
È stato audito anche il comandante provinciale di Foggia il quale ha descritto le principali attività d'indagine svolte dalla Guardia di finanza, indagini che verranno nel dettaglio esposte nella parte relativa alle indagini condotte dalla magistratura.
Non pare invece essere interessato dal traffico illecito transfrontaliero di rifiuti il porto di Manfredonia.
Conclusivamente, le indagini della Guardia di finanza hanno riguardato, in particolare, il traffico transfrontaliero dei rifiuti.
Sin d'ora si anticipa che i risultati raggiunti dalla Guardia di finanza in Puglia nel settore del traffico transfrontaliero dei rifiuti possono definirsi «eccezionali». Le indagini svolte in questo delicato settore sono state condotte in modo esteso e non parcellizzato, sicché è stato possibile effettuare importantissime operazioni, quali quella cosiddetta «Gold Plastic», nell'ambito della quale sono stati acquisiti gravi indizi di colpevolezza - si legge nell'ordinanza emessa dal Gip presso il tribunale di Lecce - a carico di numerosi soggetti in merito all'esistenza di associazioni a delinquere di carattere transnazionale aventi ad oggetto il traffico illecito di rifiuti (6).
I.1.2.4 Le dichiarazioni rese dal procuratore Generale presso la corte d'appello di Bari e dal procuratore della Repubblica di Bari
I.1.2.4.1 Le problematiche connesse alla carenza di organico nell'ambito della procura ed al sottodimensionamento della pianta organica rispetto ai carichi di lavoro
La Commissione ritiene importante sottolineare nel corpo della relazione le dichiarazioni rese dal procuratore Antonio Laudati, in data 26 gennaio 2011, in merito al riferito sottodimensionamento della pianta organica della procura di Bari rispetto ai fenomeni criminali che si manifestano nel territorio di competenza, il che comporta un carico di lavoro particolarmente gravoso per i singoli sostituti che devono quindi far fronte a numerose e impegnative indagini, comprese quelle in materia ambientale.
Il procuratore Laudati ha evidenziato come la procura della Repubblica di Bari, dal punto di vista dell'organico dei magistrati, sia assolutamente sottodimensionata rispetto ad un territorio che è sempre più interessato da un forte sviluppo della criminalità organizzata e che, quindi, richiederebbe maggiori forze in campo. A titolo esemplificativo, ha fornito una serie di dati comparativi che riguardano, rispettivamente, il distretto di Palermo e il distretto di Bari (si tratta di dati riferibili al mese di gennaio 2011):
durante lo scorso anno (2010) nel territorio del distretto di Palermo sono stati consumati otto omicidi, mentre nello stesso arco temporale nel distretto di Bari ne sono stati consumati cinquantacinque;
a Palermo vi sono sessantaquattro sostituti procuratori, mentre a Bari ventitre (di cui sette assegnati alla direzione distrettuale antimafia);
un sostituto procuratore a Palermo ha un carico medio di circa trecento fascicoli, mentre un sostituto procuratore di Bari ha in media un carico di 2200 fascicoli con punte di 4400.
A ciò deve aggiungersi la forte incidenza dei reati contro la pubblica amministrazione e dei reati di criminalità economica, che aumentano progressivamente anche in ragione della crescita importante in termini di sviluppo che molte attività economiche stanno progressivamente registrando, attirando quindi l'interesse della criminalità organizzata.
Ebbene, a fronte di questi dati, che in qualche modo esemplificano la situazione sul territorio e la necessità di contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata negli appalti e nei vari settori dell'economia, le risorse degli uffici giudiziari appaiono realmente sottodimensionate (si pensi che solo sette sostituti procuratori sono destinati alla Dda).
In sede di audizione, il procuratore Laudati ha anche precisato che l'allora Ministro della giustizia Alfano, cui è stata rappresentata la difficile situazione del distretto di Bari, aveva dato un segnale
I.1.2.4.2 Le principali indagini in materia ambientale condotte dalla procura di Bari
Nonostante l'obiettiva insufficienza delle risorse - tenuto conto dei dati forniti dal dottor Laudati - presso la procura di Bari risultano pendenti 246 procedimenti per reati ambientali e nel corso degli ultimi cinque anni ne sono stati definiti 495.
Per quanto riguarda i reati in materia ambientale di competenza della procura ordinaria, sono state approfondite varie tematiche che possono essere sintetizzate come segue:
diversi procedimenti, alcuni dei quali già conclusisi in primo grado, hanno riguardato le aree inquinate, prevalentemente da amianto, oggetto di precedenti insediamenti industriali ed in alcuni casi sono stati celebrati i processi per omicidio colposo in relazione ai decessi determinati, secondo quanto verificato nel corso delle indagini, dall'esposizione alle sostanze inquinanti presenti nei siti in considerazione. Come ha dichiarato il procuratore: «Abbiamo il caso della Fibronit, su cui ci sono stati già dei processi, anche delle condanne. C'è, dunque, un'attività di verifica delle bonifiche che sono state effettuate sul territorio. Quelli della Fibronit, del gasometro, della caserma Rossani sono casi che nel distretto di Bari hanno suscitato grande attenzione da parte della cittadinanza. Ci sono stati, infatti, anche dei processi per omicidio colposo per le lesioni e anche le morti che si sono verificate a causa dell'inquinamento, sia per asbestosi sia per mesotelioma»;
un filone d'indagine certamente molto importante e di grande interesse per la Commissione è quello che riguarda i depuratori. Il dottor Laudati ha precisato che la gestione dei fanghi di depurazione è un problema molto avvertito sul territorio pugliese e, nell'ambito delle rispettive indagini, sono stati sequestrati i depuratori di Conversano, Turi e Monopoli;
Sono stati segnalati poi alcuni procedimenti di particolare interesse concernenti il reato di cui all'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006 - rientrato nella competenza funzionale della direzione distrettuale antimafia - ed in particolare quello relativo alla Ecoagrimm, condotto dalla procura di Bari unitamente alla procura della Repubblica di Lucera. Il procedimento, aperto presso la procura di Lucera, è stato poi trasmesso per competenza alla procura distrettuale di Bari e verrà trattato nella parte della relazione concernente gli illeciti commessi nella provincia di Foggia. Alcuni dei procedimenti summenzionati verranno approfonditi nel prosieguo della relazione in ragione delle tematiche specifiche affrontate (traffico transregionale dei rifiuti, procedimenti relativi alle bonifiche, ecc.).
I.1.2.4.3 Procedimenti penali relativi allo smaltimento dei rifiuti ospedalieri dell'Asl di Bari
Si è avuto modo di constatare come i reati ambientali siano spesso connessi a reati contro la pubblica amministrazione.
A tal proposito, è stato segnalato il procedimento n. 4216/2010 R.G.NR. che ha visto come indagati una serie di soggetti, pubblici e privati, per i reati di cui agli articoli 353 (turbata libertà degli incanti), 326 (rivelazione ed utilizzazione di segreti d'ufficio), 640, comma 2, n. 1 (truffa ai danni dello stato), 319 e 321 del codice penale (corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio).
Secondo l'impostazione accusatoria, che peraltro ha avuto in gran parte un riscontro positivo da parte del Gip di Bari che ha emesso un'ordinanza applicativa di misure cautelari personali nei confronti di alcuni degli indagati, vi sarebbe stata una turbativa d'asta in relazione alla gara pubblica indetta dall'Asl di Bari per il servizio triennale di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti speciali prodotti nelle strutture sanitarie ed amministrative dell'ente.
Il procedimento è a carico dell'assessore regionale alla sanità della regione Puglia all'epoca dei fatti (Alberto Tedesco), di due componenti della commissione esaminatrice, dell'amministratore della società Viri Srl (società che illecitamente avrebbe vinto la gara) nonché di un altro soggetto che, pur non ricoprendo ruoli formali all'interno della società, di fatto comunque aveva compiti gestionali e/o di collaborazione.
L'accordo corruttivo, secondo quanto riportato nell'ordinanza del Gip di Bari, si sarebbe articolato sostanzialmente nei seguenti termini:
i due componenti della commissione di gara avrebbero riferito (violando il segreto d'ufficio cui erano tenuti in ragione della carica ricoperta) alla società Viri Srl le notizie rilevanti attinenti alle offerte, al fine di potere consentire alla predetta società di presentare
La società Viri peraltro aveva già affrontato un contenzioso con la Asl di Lecce ed era stata condannata dal tribunale civile di Lecce a pagare alla Asl la somma di 1,7 milioni di euro per una questione legata alla costruzione di un inceneritore all'interno dell'ospedale Vito Fazzi di Lecce: anche con riferimento a questa vicenda l'assessore Tedesco avrebbe svolto un'attività volta a favorire la società, dando alcune direttive al direttore amministrativo dell'Asl di Lecce (l'operazione di mediazione in quest'ultimo caso non si era concretizzata, in quanto la società Viri aveva interposto appello avverso la sentenza di primo grado, ottenendo dalla corte d'appello di Lecce la sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza impugnata).
Nell'ordinanza si fa inoltre riferimento ad alcune irregolarità riscontrate dal Noe nella gestione dei rifiuti speciali ospedalieri da parte della Viri.
Il Senato ha negato l'autorizzazione all'esecuzione della misura cautelare disposta dal Gip di Bari nei confronti del senatore Tedesco.
Si tratta di un filone di indagine che è stato poi approfondito da parte degli investigatori, al fine di accertare le modalità concrete con cui è stato gestito dalla Viri lo smaltimento dei rifiuti ospedalieri, dove venivano conferiti, quali erano i mezzi di cui disponeva la Viri e ogni altra circostanza utile per comprendere la destinazione dei rifiuti speciali.
È stato inoltre contestato in ambito processuale un artificioso tentativo della Viri di ottenere il pagamento del servizio sulla base di un pagamento annuo forfettario e non sulla base dei quantitativi di rifiuti prodotti dall'Asl ed effettivamente smaltiti, così come era richiesto dai capitolati d'appalto e come avrebbe dovuto essere previsto nel contratto.
A seguito di specifica richiesta della Commissione, la procura di Bari ha comunicato gli ulteriori sviluppi processuali in relazione all'indagine summenzionata.
Il procedimento originario è stato infatti riunito ad altro procedimento ed è stato contestato il reato di associazione a delinquere finalizzato, tra le altre cose, a condizionare le gare d'appalto relative all'Asl di Bari.
In tal modo avrebbero ottenuto l'ingiusto profitto rappresentato dal conseguimento di un compenso per il servizio di raccolta e trasporto rifiuti maggiore rispetto a quello realmente dovuto in base ai contratti stipulati nel mese di ottobre 2002 e nel mese di marzo 2003 con l'agenzia ospedaliera Policlinico di Bari.
Sono stati quindi contestati, oltre ai reati di truffa, anche il reato di cui all'articolo 483 del codice penale e 258, comma 4 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
I procedimenti summenzionati sono emblematici della ricorrente connessione tra i reati in materia di ambientale e i reati contro la pubblica amministrazione. Laddove si verifichino queste connessioni le indagini risultano particolarmente complesse in quanto occorre individuare gli elementi di prova idonei a scardinare quell'apparenza di legalità che si cela dietro la, sempre apparente, regolarità degli atti amministrativi posti alla base degli affidamenti degli appalti per lo smaltimento dei rifiuti.
Esiste quindi un filone parallelo rispetto a quello «classico» (concernente l'infiltrazione della criminalità organizzata in senso stretto nel settore dei rifiuti), che riguarda la pubblica amministrazione.
Nel caso in cui risulti «viziato» all'origine il procedimento per l'affidamento di appalti connessi al servizio di raccolta e smaltimento
I.1.3 Le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti nel territorio rientrante nel distretto di corte d'appello di Bari
Con riferimento alle infiltrazioni della criminalità organizzata, in particolare di quella di stampo mafioso, nel settore dei rifiuti sono state fornite dagli auditi dichiarazioni non sempre convergenti.
Nel corso degli approfondimenti della Commissione sono emersi importanti segnali in merito alle infiltrazioni della criminalità organizzata sul territorio, infiltrazioni che si manifestano anche attraverso attività di riciclaggio e reimpiego del danaro di provenienza illecita in imprese apparentemente «pulite», tra cui sono ricomprese quelle riconducibili al settore dei rifiuti.
La Puglia, la provincia di Bari in particolare, è un territorio in crescita dal punto di vista imprenditoriale, caratterizzato dalla presenza di realtà industriali importanti, che rappresentano indubbiamente un elemento di forza, da un certo punto di vista, ma che, allo stesso tempo, attirano l'attenzione dei gruppi illeciti organizzati.
È stato più volte ripetuto nel corso delle audizioni che la collocazione geografica del territorio rientrante nel distretto di Bari rende lo stesso permeabile alle infiltrazioni delle organizzazioni criminali radicate nelle vicine regioni della Calabria e della Campania, sicché l'attenzione degli investigatori è molto alta e sono in corso indagini volte ad approfondire questa delicata tematica.
Peraltro di recente è stata emessa un'ordinanza applicativa di custodia cautelare da parte del Gip di Bari, su richiesta della locale procura distrettuale, nella quale, da un lato, si riconosce l'esistenza di associazioni a delinquere di stampo mafioso riconducibili allo schema delineato dall'articolo 416-bis del codice penale, dall'altro, si evidenzia la profonda infiltrazione della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti, con particolare riferimento a quello della raccolta dei rifiuti solidi urbani, rsu (di tale indagine si tratterà più nel dettaglio nel prosieguo della relazione).
I.1.3.1 Le informazioni fornite dai Carabinieri del Noe di Bari
Con riferimento alle infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti, nella nota inviata dal Noe di Bari (8) alla Commissione vengono sottolineate le differenze che si manifestano tra una provincia e l'altra.
Tuttavia, è stato evidenziato come l'interesse delle organizzazioni criminali locali non sia prioritariamente indirizzato verso il settore dei
I.1.3.2 Le dichiarazioni rese dal prefetto e dal questore di Bari
Per quanto concerne le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti, il prefetto Schiraldi ha riferito a questa Commissione che non sembrano al momento evidenziarsi particolari situazioni di illiceità collegate alla criminalità organizzata: «La direzione distrettuale antimafia barese, che è competente anche per Foggia, si è interessata poco della materia; ciò vuol dire che non ci siamo trovati davanti a persone inquadrabili per il loro comportamento nell'articolo 416-bis, ma tutt'al più nell'articolo 416 ordinario,
I.1.3.3 Le dichiarazioni rese dai magistrati del distretto di corte d'appello di Bari
I.1.3.3.1 Dichiarazioni del procuratore generale presso la corte d'appello di Bari
Il procuratore generale presso la corte di appello di Bari, Antonio Pizzi, ha, anche lui, parlato di uno scarso interesse della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti, riferendo che «per lo meno nel distretto di Bari, la criminalità organizzata non è molto attiva su questo fronte. Vengono più che altro denunziati reati di natura contravvenzionale, qualche volta il 260, il reato associativo. Si tratta
I.1.3.3.2 Le dichiarazioni rese dal procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari, Antonio Laudati
Sul tema dell'infiltrazione della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti, vanno valorizzate le dichiarazioni rese dal procuratore di Bari, Antonio Laudati.
Il procuratore ha, in primo luogo, sottolineato come, allo stato, si percepisca l'impressione che nel distretto di Bari vi sia una fortissima discrasia tra il fatto e l'accertamento del fatto (il dottor Laudati ha assunto le funzioni di procuratore capo di Bari circa un anno e mezzo prima dell'audizione).
In sostanza, ha evidenziato come non sempre sia sovrapponibile la realtà fattuale con la realtà processuale, ossia non sempre sia possibile dimostrare attraverso l'acquisizione di idonei elementi di prova le condotte criminose che si verificano in un determinato territorio; ed è proprio dalla prospettiva della procura che si percepisce particolarmente la discrasia cui ha fatto riferimento il magistrato.
Partendo da questo dato (in qualche modo determinato anche dal sottodimensionamento evidente delle risorse che il distretto ha a disposizione per contrastare la criminalità organizzata) è stata affrontata in sede di audizione la questione concernente la presenza o meno, ed eventualmente in che misura, della criminalità organizzata di stampo mafioso, la sacra corona unita, nel territorio pugliese.
Sul punto, è opportuno riportare integralmente le dichiarazioni del procuratore: «...esiste la sacra corona unita? Se le devo rispondere, no. Il distretto di Bari è un laboratorio sotto vari aspetti ma anche dal punto di vista giudiziario. Noi abbiamo avuto dei fenomeni che sono storicamente ricostruiti. (....). Nel 1986 c'è stato un processo qui a Bari che vedeva imputato il fondatore della sacra corona unita, Rogoli, che aveva confessato l'esistenza dell'organizzazione, fornito l'organigramma, i moduli organizzativi e le formule sacrali del giuramento.
I più grossi capi della criminalità organizzata che hanno operato nei venti anni successivi erano tutti in quel processo, che si concluse con l'assoluzione perché il tribunale di Bari ritenne che il modello siciliano della mafia del 416-bis del codice penale non potesse essere applicato a un modello criminale ed organizzativo che presentava caratteristiche diverse, come strutture di tipo clanico a macchia di leopardo, senza struttura verticistica, con grande flessibilità rispetto ai
Tutti i processi menzionati dal procuratore sono, a parere della Commissione, emblematici della presenza della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti, in quanto sia il traffico di rifiuti transregionale che quello transnazionale necessitano, per la consumazione, di una struttura organizzativa, di «accordi» stabili tra i soggetti che controllano un determinato territorio (a tal punto da deciderne la destinazione, di fatto, quale discarica).
Tali conclusioni potranno maggiormente apprezzarsi all'esito della relazione, allorquando verranno valutate globalmente una serie di situazioni che si rinvengono non solo nella provincia di Bari ma anche in altre province pugliesi.
Il dato che è importante far emergere non è solo quello relativo all'eventuale esistenza di una criminalità organizzata di stampo mafioso endogena nel territorio pugliese, ma è quello relativo allo sfruttamento illecito del territorio, depredato, come quello di altre regioni italiane, e in gran parte degradato dal punto di vista ambientale a seguito dell'operatività di organizzazioni criminali, aventi origine anche in altre regioni e che però trovano adeguate sponde di collegamento sul territorio pugliese.
I.1.3.3.3 Le dichiarazioni rese dai magistrati delle procure ordinarie rientranti nel distretto di Bari:
procura della Repubblica presso il tribunale di Trani
procura della Repubblica presso il tribunale di Lucera
procura della Repubblica presso il tribunale di Foggia
I.1.3.3.4 Le indagini svolte dalla procura distrettuale antimafia di Bari in merito alle infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti:
le condotte estorsive ai danni della società Amica Spa;
le condotte estorsive ai danni delle Cooperativa «Centesimus Annus»;
le vicende estorsive ai danni del comune di Foggia e dell'azienda municipalizzata Amica caratterizzate dal ricorso al metodo mafioso, attribuite a Iammarino Gaetano (e maturate all'interno della cooperativa Fiore), a Lanza Alessandro e a Lanza Mario;
i contestati reati di corruzione aggravati dal fatto di essere stati consumati al fine di agevolare un clan mafioso.
In data 3 aprile 2012 il Gip presso il tribunale di Bari, nella persona del dottor Giovanni Anglana, ha emesso un'ordinanza applicativa
Le indagini, nella prospettazione accusatoria, riconoscono l'esistenza di associazioni di tipo mafioso (note come Batterie, formatesi per scissione dall'originaria compagine mafiosa denominata Società Foggiana), attive in territorio dauno, i cui membri si sarebbero resi responsabili, agendo d'intesa tra loro, ovvero in modo sostanzialmente autonomo gli uni dagli altri, di taluni episodi criminosi caratterizzati dal ricorso al metodo mafioso, che si sono verificati all'interno della società Amica Spa (a capitale interamente pubblico e che si occupa per il comune di Foggia della raccolta dei rsu) e delle cooperative sociali alla stessa collegate, con particolare riferimento alla Centesimus Annus e alla Fiore Service.
Sono poi ascritti ad alcuni indagati fatti-reato, parimenti aggravati a norma dell'articolo 7 del decreto-legge n. 152 del 1991, in relazione al tentativo, operato mediante il ricorso a violenza e minacce, di ottenere indebitamente la proroga del cottimo fiduciario in favore della cooperativa Fiore da parte del comune di Foggia e, per esso, dell'Amica Spa, nonché in relazione all'accordo corruttivo che sarebbe alla base dello stesso affidamento del servizio ambientale di raccolta rifiuti e spazzamento strade in favore della medesima cooperativa Fiore.
Con riferimento a tali ultime contestazioni, la tesi accusatoria si fonda, in particolare, sull'assunto secondo il quale la cooperativa Fiore Service avrebbe pesantemente condizionato le scelte dell'Amica Spa non solo attraverso la pratica ritorsivo-intimidatoria posta in essere, con metodo mafioso, da talune sue componenti, ma anche attraverso meccanismi di tipo corruttivo tra i vertici della cooperativa Iammarino Giacomo e Iammarino Gaetano e il presidente dell'Amica Aimola Elio.
In sostanza, secondo quanto emerge dall'indagine summenzionata, vi sarebbe stata una lunga serie di estorsioni ai danni del comune di Foggia, della ditta municipalizzata di raccolta dei rifiuti solidi urbani in città, la «Amica», e della cooperativa «Centesimus Annus», delegata dall'amministrazione comunale alla gestione del verde pubblico e dei parcheggi nel capoluogo dauno.
Le indagini hanno rivelato le infiltrazioni della mafia foggiana nel tessuto amministrativo della città e nelle sue aziende produttive. Tutto è scaturito da una intimidazione ai danni dell'azienda Amica da parte di presunti esponenti della criminalità organizzata foggiana, tra i quali
Si tratta dei reati contestati nei confronti di Trisciuoglio Federico e Trisciuoglio Giuseppe, indagati del « delitto di cui agli articoli 110, 81 capoverso, 629, 1 e 2 comma in relazione all'articolo 628, 2 comma, n. 1 e 3 del codice penale e articolo 7 della legge n. 203 del 1991, per avere, previo concerto tra loro e in concorso con altri soggetti non identificati, agendo in più persone riunite, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, costretto, mediante minaccia, l'azienda Amica Spa a mantenere in atto il rapporto lavorativo instaurato con Trisciuoglio Giuseppe, corrispondendogli emolumenti stipendiali per un importo complessivo netto pari ad euro 66.511, nonostante il predetto non svolgesse palesemente alcuna attività lavorativa, così procurando a Trisciuoglio Giuseppe un ingiusto profitto con conseguente danno patrimoniale per l'Amica Spa.
Minaccia consistita nell'aver fatto chiaramente intendere che, nel caso in cui l'Amica Spa avesse deciso di interrompere il rapporto di lavoro con Trisciuoglio Giuseppe, a seguito delle sue mancate prestazioni lavorative vi sarebbero state ritorsioni nei confronti dei vertici e dei funzionari responsabili, come era avvenuto nei confronti del dirigente dell'Amica Ennio Corsico il quale, agli inizi del 2006, veniva raggiunto e minacciato pesantemente all'interno del suo ufficio nella sede di Amica Spa da Trisciuoglio Federico e da alcuni suoi guardiaspalla (rimasti ignoti), dopo che costoro avevano fatto violentemente irruzione all'interno dell'azienda, all'indomani di una contestazione disciplinare mossa dal Corsico a Trisciuoglio Giuseppe, durante la fase di prova del rapporto di lavoro che ne avrebbe certamente causato il licenziamento.
Con le aggravanti di aver agito:
in più persone riunite;
con la minaccia posta in essere da Trisciuoglio Federico, persona che fa parte dell'associazione di cui all'articolo 416-bis del codice penale;
Il Gip ha quindi sottolineato la condizione di assoggettamento e di intimidazione creatasi, a tutti i livelli, tra il personale dell'azienda municipalizzata per effetto delle azioni intimidatorie poste in essere con metodo mafioso. Sul punto nell'ordinanza sono contenute analitiche motivazioni:
«Pacifica risulta, altresì, la sussistenza delle aggravanti contestate.
Senza spendere ulteriori considerazioni sulle aggravanti "dell'aver agito in più persone riunite" e dell'aver posto la minaccia un soggetto che fa parte dell'associazione ex articolo 416-bis del codice penale, qualche nota di rilievo in ordine alla sussistenza della fattispecie di cui all'articolo 7 della legge 203 del 1991.
È innegabile che nella vicenda in esame la pratica estorsiva sia stata posta in essere avvalendosi delle condizioni di assoggettamento ed omertà di cui all'articolo 416-bis del codice penale, determinate dalla caratura mafiosa di massimo rilievo rivestita da Trisciuoglio Federico all'interno della mafia foggiana: solo in questo modo si riesce a capire come fosse stato possibile per Trisciuoglio Giuseppe non subire il licenziamento, nonostante tutte quelle segnalazioni e contestazioni disciplinari e nonostante la sua scelta di sottrarsi sistematicamente ad ogni obbligo lavorativo.
Nel capo d'imputazione a carico di Imperio Ciro e Gatta Ernesto viene contestata una condotta estorsiva aggravata e continuata ai danni di Berardinelli Giordano, presidente della Cooperativa Centesimus Annus, attraverso la quale gli indagati si sarebbero fatti consegnare gran parte degli incassi del servizio di parcheggio gestito dalla medesima cooperativa.
In particolare, è stato contestato a Imperio Ciro e Gatta Ernesto «il delitto di cui agli articoli 110, 81 cpv, 629, 1 e 2 comma in relazione all'articolo 628, 2 comma n. 1 e 3 del codice penale e 7 della legge n. 203 del 1991, per avere, previo concerto tra loro, agendo in più persone riunite, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, costretto Berardinelli Giordano, in qualità di presidente della "Cooperativa Centesimus Annus", mediante minaccia, a versare in favore suo e del gruppo criminale di appartenenza la maggior parte
Nell'ordinanza applicativa della misura cautelare, sulla base degli elementi di prova acquisiti dalla procura, è stato ricostruito il modus operandi degli indagati, in qualche modo ritenuto emblematico di come, attraverso la pratica estorsivo-intimidatoria, si sia radicata l'infiltrazione mafiosa all'interno del tessuto economico-imprenditoriale legato al settore delle cooperative sociali, con particolare riferimento alla Centesimus Annus.
Fondamentali sono state ritenute le dichiarazioni del presidente della cooperativa, Angelo Berardinelli, il quale ha evidenziato di aver acquisito il servizio parcheggi dopo aver rilevato il relativo ramo di azienda della Daunia ambiente.
Del controllo, di fatto riconducibile alla fine degli anni '90, della cooperativa da parte della criminalità organizzata foggiana (e segnatamente, da parte del clan Moretti - Pellegrino i cui affiliati, in buona misura, vi prestavano attività di lavoro) ha parlato diffusamente il collaboratore di giustizia Bruno Raffaele (interrogatorio del 30 giugno 2010), tra l'altro indicando il Gatta e l'Imperio come partecipi. Il contributo reso da parte del collaboratore appare comunque limitato, visto che non va oltre il momento del suo arresto, avvenuto nel 2007.
Quella descritta nel capo B della contestazione provvisoria è una condotta estorsiva non riconducibile al settore dei rifiuti, ma della quale si dà comunque conto perché è emblematica del condizionamento di diversi settori economici da parte della criminalità organizzata di stampo mafioso, e, ancora prima, di quanto siano radicate
Chiaro l'intento di determinare, con il passaggio alle vie di fatto e la paralisi violenta del servizio di raccolta dei rifiuti cittadini, una situazione di estremo disagio sociale, che avrebbe costretto l'amministrazione pubblica a «capitolare» sulla questione del rinnovo contrattuale e delle ulteriori assunzioni di soci della cooperativa Fiore (cfr int. RIT 692/10 n.2192 del 9 aprile 2010).
Il programma criminoso veniva fortunatamente sventato dalla pronta reazione delle forze dell'ordine, che riuscivano comunque a garantire, nonostante la violenta reazione dei dimostranti, il regolare svolgimento del servizio, procedendo a scortare i camion dell'Amica Spa mentre andavano in giro a raccogliere i rifiuti cittadini.
Accanto alla minaccia e alla successiva violenza, poste in essere per imporre ai vertici dell'Amica Spa e del comune di Foggia il rinnovo del contratto con la Fiore, vi è anche il requisito dell'ingiustizia del profitto che si intendeva conseguire con tale operazione, attesa l'illiceità di quel rinnovo contrattuale, prospettata dallo stesso dottor Di Bari a Gaetano Iammarino.
Una significativa ulteriore attestazione della riferibilità a Iammarino Gaetano dell'intera operazione estorsiva è possibile coglierla dalle esplicite accuse mosse in tal senso all'indagato da Iammarino Giacomo, documentate nell'intercettazione n. 919 del 17 maggio 2010.
Il reato di tentata estorsione è chiaramente contestabile a Iammarino Gaetano anche se le condotte violente poste in essere hanno dato parzialmente luogo ad ulteriori ipotesi delittuose, realizzate in concorso con altri esponenti della Fiore Service (furto aggravato per la sottrazione delle chiavi, organizzazione di interruzione di pubblico servizio, resistenza a pubblico ufficiale), per le quali vi è stata applicazione di misura cautelare nel procedimento penale 5919/10 Mod 21 Proc. Rep. Foggia.
Tanto in considerazione del concorso configurabile tra i singoli reati «mezzo» e il delitto «scopo» di tentata estorsione, reso evidente dalla diversità dei beni giuridici protetti dalle rispettive fattispecie incriminatrici oltre che dalla parziale e limitata sovrapponibilità delle condotte illecite.
(...).
Le minacce dello Iammarino (tra l'altro, artefice e regista della violenta protesta dei dipendenti della Fiore Service) verso il Di Bari (minacce, come si è detto, finalizzate ad ottenere il rinnovo del contratto) ed in modo indiretto verso lo stesso sindaco di Foggia, hanno rappresentato un chiaro tentativo di costringere i vertici dell'azienda e la stessa amministrazione comunale a fare ottenere alla cooperativa Fiore un vantaggio ingiusto (per l'appunto la proroga dell'affidamento del servizio di spazzamento strade e raccolta rifiuti, già concessole a mezzo di cottimo fiduciario, rispetto al quale affidamento la cooperativa medesima era priva dei requisiti di legge), con pari danno per il comune.»
In questo caso non è stata riconosciuta la circostanza aggravante di cui all'articolo 7 del decreto-legge n. 152 del 1991 ipotizzata dall'ufficio del pubblico ministero, in quanto non è stata ritenuta
Anche in questa vicenda, si legge nell'ordinanza, si configura un quadro investigativo connotato da gravità indiziaria nei confronti di Lanza Mario e Lanza Alessandro per il delitto di estorsione continuata posta in essere ai danni della società Amica Spa.
«Ancora una volta dei personaggi notoriamente collegati alla criminalità organizzata foggiana, avvalendosi della fama criminale associata al loro status, adottando una pratica intimidatoria chiaramente connotata da metodiche di tipo mafioso, costringono l'Amica a corrispondere in loro favore, attraverso la Fiore Service, gli emolumenti stipendiali mensilmente previsti senza svolgere sostanzialmente alcuna attività lavorativa, facendo chiaramente intendere, a tutti i livelli, che loro potevano, tranquillamente, assentarsi dal lavoro, rimanere nei magazzini aziendali senza far nulla, occupare gli uffici riservati ai capi-squadra, farsi portare in giro, all'occorrenza, dal personale dipendente con i veicoli di servizio, senza che nessuno potesse battere ciglio, a meno che non volesse esporsi al rischio di subire ritorsioni personali e familiari.
(...).
La condotta estorsiva non si è manifestata attraverso le ordinarie ed esplicite forme di violenza e minaccia.
Gli indagati, senza assumere atteggiamenti apertamente arroganti, violenti o minacciosi nei confronti degli addetti al controllo sul loro operato, si limitavano a non recarsi mai al lavoro (come il Lanza Alessandro), ovvero ad andare in sede, sostando negli uffici degli ispettori, senza mai lavorare, ed ancora disponendo per i propri spostamenti (chiaramente negli orari di lavoro) delle auto di servizio e, quali autisti, degli stessi ispettori addetti, tra l'altro, al loro controllo.
Si tratta di un comportamento che, in qualsiasi altro caso, avrebbe formato oggetto di precise contestazioni, procedimenti disciplinari e gravi conseguenze per il lavoratore; il fatto che ciò non sia accaduto nei confronti dei due indagati si spiega, come riferito dalle diverse persone informate dei fatti, per la paura suscitata dalla fama criminale degli stessi, notoriamente organici alla criminalità organizzata foggiana.
È, dunque, in forza di tale minaccia implicita, e come tale avvertita dagli altri impiegati e funzionari della stessa azienda Amica Spa, che i due Lanza, senza mai lavorare, hanno continuato a percepire per mesi, in modo del tutto indebito, gli emolumenti indicati nel capo di imputazione.
(...)».
Anche in questo caso è stata riconosciuta la circostanza aggravante di aver agevolato l'organizzazione mafiosa di riferimento, avendone gli indagati, con la loro condotta, certamente rafforzato la capacità di radicamento e di infiltrazione nel tessuto economico-sociale locale.
In merito all'aggravante di cui all'articolo 7 della legge 203 del 1991, il Gip non ne ha ravvisato gli elementi costitutivi e quindi non ne ha riconosciuto la sussistenza, per le seguenti ragioni:
il giudizio di mafiosità nei confronti di Iammarino Giacomo risulterebbe fondato, allo stato, sulle sole dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, prive, peraltro, di riscontri individualizzanti in merito a tali accuse;
lo status di mafioso di Iammarino Giacomo sembrerebbe escluso dall'atteggiamento arrogante e gravemente intimidatorio tenuto nei confronti del di lui suocero Fiore Paolo, da Trisciuoglio Giuseppe, atteggiamento che difficilmente si sarebbe potuto registrare nei confronti del congiunto di un mafioso;
in ogni caso, la supposta condizione di mafioso non si sarebbe in alcun modo manifestata all'esterno, e non poteva pertanto ritenersi nota all'Aimola nel momento in cui lo stesso poneva in essere gli atti contrari ai doveri di ufficio finalizzati ad agevolare la cooperativa Fiore;
Considerazioni della Commissione
In definitiva la grave fenomenologia che appare dalle risultanze investigative e dai provvedimenti giurisdizionali adottati in materia è quella di un attacco parassitario delle organizzazioni mafiose all'attività di gestione dei rifiuti. La forma che ha assunto la penetrazione delle organizzazioni nel ciclo dei rifiuti è appunto parassitaria in quanto è consistita nella massiccia introduzione nel settore dei rifiuti di personale privo di qualifica e competenza e perciò inerte, con la conseguenziale paralisi dell'efficienza del servizio, essendovi addetti soggetti allo stesso modo incapaci ed incompetenti.
Il risultato è lo svuotamento dall'interno del servizio, la sua disarticolazione, la sostanziale morte della possibilità di fornire ai consociati un servizio congruo.
A ciò deve poi aggiungersi la consumazione di condotte corruttive che minano alla base ogni possibilità di efficienza di un settore, quale quello della gestione del ciclo dei rifiuti, particolarmente delicato e importante perché attiene alla salvaguardia dell'ambiente e della salute.
I.2 Provincia di Barletta-Andria-Trani
Premessa
Con riferimento alla neocostituita provincia di Barletta-Andria-Trani, sono stati auditi, in data 26 gennaio 2011:
il presidente della provincia di Barletta-Andria-Trani, Francesco Ventola;
il sindaco di Barletta, Nicola Maffei;
il dirigente del settore ambiente del comune di Barletta, Salvatore Mastrolillo;
il vicesindaco del comune di Andria, Pierpaolo Matera;
l'assessore all'ambiente del comune di Andria, Francesco Lotito;
l'assessore all'ecologia e ambiente del comune di Trani, Giuseppina Chiariello;
I problemi rilevati attengono, essenzialmente, al passaggio di competenze in materia ambientale dalla provincia di Bari a quella di Barletta-Andria-Trani, nonché alla individuazione di un ambito territoriale non corrispondente al territorio della necostituita provincia, sicché alcuni comuni rientrano in ambiti territoriali che coprono territori non speculari a quelli delle province.
Quanto agli illeciti in materia ambientale, i magistrati auditi hanno evidenziato come sia sempre più pressante l'esigenza di combattere fenomeni di degrado ambientale e deturpamento del suolo, indice della presenza, sul territorio del circondario di Trani, di strutture criminali che operano nel settore dei rifiuti e del loro smaltimento illecito, proprio per le caratteristiche geomorfologiche dell'area e per l'esistenza di numerose cave dismesse, inghiottitoi carsici naturali, lame, doline che costituiscono i presupposti per l'illegale gestione di discariche, più o meno organizzate, di rifiuti speciali e comuni, provenienti da svariate regioni.
Per questo motivo è stata sottolineata dal procuratore della Repubblica di Trani la necessità che vengano incrementate le aliquote della sezione di polizia giudiziaria mediante l'applicazione di personale dotato di evoluta professionalità nelle specifiche materie, con qualifica di ufficiale o di agente di polizia giudiziaria, appartenente alla polizia provinciale e polizia municipale locale, oltre che al Corpo forestale dello Stato.
Sarebbe così possibile dare vita ad un'azione di «monitoraggio ambientale» coordinata anche con enti operanti in ambito provinciale e regionale.
L'assenza di un adeguato controllo del territorio rappresenta, infatti, un gap che va colmato per impedire l'ulteriore degrado di una zona della regione Puglia particolarmente martoriata dai fenomeni di inquinamento.
I.2.1. Il ciclo dei rifiuti nella provincia Barletta-Andria-Trani (BAT) e problematiche legate alla pregressa delimitazione degli Ato (ambiti territoriali ottimali)
Il presidente della provincia Barletta-Andria-Trani ha evidenziato una serie di problematiche nella gestione del ciclo dei rifiuti legate, essenzialmente, al trasferimento progressivo alla neocostituita provincia di una serie di competenze già facenti capo alla provincia di Bari.
La provincia Barletta-Andria-Trani è infatti nata recentemente e si sono riscontrate diverse difficoltà sia nel passaggio delle competenze relative agli impianti esistenti, sia nel rilascio delle autorizzazioni in itinere.
I.2.2 I comuni di Barletta, Andria e Trani
Nel corso della seconda missione in Puglia sono stati auditi i sindaci di Barletta, Andria e Trani.
Il comune di Barletta
Anche nel corso di queste audizioni è stato evidenziato il problema nascente dall'appartenenza dei vari comuni della provincia di Barletta-Andria-Trani a tre Ato diversi.
Il comune di Andria
In data 26 gennaio 2011 è stato audito dalla Commissione il vicesindaco del comune di Andria, Pierpaolo Matera, il quale ha anche prodotto un documento (9) nel quale sono indicate le attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti che si registrano sul territorio comunale.
Comune di Trani
Sempre in data 26 gennaio 2010 è stato audito l'assessore all'ecologia e all'ambiente del comune di Trani.
La discarica sita nel territorio del comune di Trani è gestita da una società a capitale totalmente pubblico e si tratta di una discarica che serve molti comuni viciniori, oltre alla città di Trani (si tratta di una discarica che dispone ancora di un'ampia capienza).
Anche in questo caso sono state evidenziate le difficoltà legate alla necessità di rivedere la delimitazione territoriale degli Ato e di introdurre un ciclo completo per lo smaltimento dei rifiuti.
Quanto alla raccolta differenziata, è stato fornito il dato del 21 per cento, dato che è stato rilevato dalla società Amiu che gestisce la raccolta differenziata.
I.2.3 La discarica di Grottelline in Spinazzola
La realizzazione della discarica di Grottelline in Spinazzola è stata assegnata, a seguito di aggiudicazione pubblica, all'Ati Cogeam.
Il dottor Ruggiero ha anche approfondito tutti gli aspetti connessi all'idoneità del sito prescelto, alla correttezza delle procedure amministrative, alla correttezza dell'esecuzione delle opere in conformità dei provvedimenti emessi dal commissario delegato.
Alla stregua di siffatte determinazioni amministrative deve ritenersi che - dal punto di vista formale - i provvedimenti della pubblica amministrazione, segnatamente quelli regionali del settore ecologia, abbiano rimosso gli ostacoli procedurali per la prosecuzione dei lavori. Quanto alla scelta ubicazionale dell'impianto complesso in parola, prossimo ad un sito di un interesse archeologico, le stesse autorità preposte alla tutela del vincolo hanno comunque fornito rassicurazioni in ordine alla futura regolare "fruibilità" del sito medesimo che verrà adeguatamente assicurato, protetto ed isolato con ogni opportuna opera edilizia di consolidamento e con fitte barriere arboree».
I.2.4 Gli illeciti nella provincia Barletta-Andria-Trani
I.2.4.1 Le condizioni di rischio della provincia Barletta-Andria-Trani rispetto alle infiltrazioni della criminalità organizzata - Le dichiarazioni rese dal procuratore della Repubblica di Trani, Carlo Maria Capristo
Il procuratore della Repubblica di Trani, Carlo Maria Capristo, nella sua audizione innanzi alla Commissione, ha presentato la situazione del territorio della neonata provincia in relazione alla situazione ambientale e alle tematiche che riguardano il traffico illecito di rifiuti, descrivendola come un ambito territoriale di importanza strategica per le sue caratteristiche naturali e la sua collocazione geografica.
Il procuratore Capristo ha definito, infatti, l'area della provincia come un «avamposto» di rilevante importanza per il territorio pugliese ove è possibile individuare con degli osservatori specifici certi fenomeni per impedire che si sviluppino e passino da una situazione di semplice societas sceleris a una situazione, invece, di associazione di stampo mafioso.
In particolare è stato posto l'accento sul fatto che trattandosi di una provincia «giovane», che vede con la sua costituzione lo spostamento di considerevoli interessi economici, concentrati in un territorio «vergine», ma imprenditorialmente ricco e produttivo,
I.2.4.2 Le principali problematiche legate al settore dei trasporti, all'utilizzo illecito delle cave e ai fanghi derivanti dagli impianti di depurazione. Le dichiarazioni rese dal sostituto procuratore presso la procura della Repubblica presso il tribunale di Trani, Domenico Savasta
La Commissione ha audito nel corso della prima missione in Puglia anche il sostituto procuratore della Repubblica di Trani, Antonio Savasta, il quale ha riferito in merito ad un elemento di criticità emerso a seguito di indagini che hanno visto coinvolti sodalizi criminali organizzati nel settore del trasporto di rifiuti. Anche il dottor Savasta ha individuato come nevralgico e soggetto ad infiltrazioni della criminalità organizzata il settore dei trasporti - perché c'è scarso controllo da parte degli organi amministrativi e manca una normativa severa che selezioni le ditte che operano nel settore - e ha evidenziato i risultati delle indagini esperite.
Le indagini hanno permesso di accertare che si tratta di vettori spesso pregiudicati, collegati a sodalizi criminali, che controllano quasi in regime di monopolio il trasporto nel settore dei rifiuti.
«Paradossalmente, nel nostro paese si può trasportare rifiuto speciale e non speciale o rifiuto che non è più tale in un unico vettore. A dicembre del 2010 è stata modificata la normativa in materia di scarti animali: tutto ciò che è sottoprodotto di origine animale non è più considerato rifiuto, venendo così a sottrarsi alla disciplina sui rifiuti. Ripeto, esistono vettori che trasportano indifferentemente rifiuti speciali e rifiuti animali destinati alle industrie che fanno mangimi e sostanze di altro tipo, cosicché c'è il rischio di contaminazione delle farine all'interno dei vettori e, di conseguenza, del ciclo alimentare degli animali. A causa di questa assenza normativa dovuta alla nuova modifica è necessario ridefinire tutta la disciplina del trasporto per distinguere quello destinato all'alimentazione animale da quello dei rifiuti speciali. Non deve più esistere questa commistione nei vettori perché ciò potrebbe portare al rischio di contaminazione».
Il sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Trani, Domenico Savasta, era stato già audito il 14 luglio 2010 presso la sede della Commissione. In quell'occasione aveva rappresentato alla Commissione una problematica particolarmente avvertita nel territorio del circondario, specificatamente nell'Alta Murgia, legata all'esistenza di cave dismesse che vengono adoperate da organizzazioni criminali dedite ad attività di smaltimento illecito di rifiuti transregionale, tra le regioni è ricompresa la Campania.
Dalla Campania e dalle province vicine a Foggia giungono vari mezzi che trasportano rifiuti speciali che vengono occultati all'interno di queste cave. Soprattutto quando il settore delle cave risente di un'inflessione in quanto non vi è domanda del prodotto di estrazione, i proprietari le trasformano in discariche abusive. Altro problema
I.2.4.3 Le indagini più significative effettuate presso la procura della Repubblica di Trani
Nel corso della seconda missione in Puglia è stata prodotta una relazione di sintesi da parte del procuratore della Repubblica di Trani, Carlo Maria Capristo, e del sostituto procuratore della Repubblica, Antonio Savasta, in ordine ai procedimenti, pendenti o definiti, sulle fattispecie di reato connesse al ciclo dei rifiuti.
Nella predetta nota viene evidenziato come siano state effettuate diverse indagini al fine di individuare siti adoperati illecitamente per lo smaltimento dei rifiuti provenienti sia dal bacino del nord barese che da altre realtà territoriali limitrofe.
Sono stati segnalati, in particolare, i seguenti processi:
proc. n. 7784/2004 R.G.N.R. Mod. 21, già in fase dibattimentale, a carico di trentaquattro imputati per il reato di cui all'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e 416 del codice penale in relazione ad un'organizzazione criminale con sede in Andria, avente ad oggetto il trasporto illecito di fanghi inquinati presso siti e cave nell'Alta Murgia nonché presso fittizi impianti di compostaggio nella zona di Ortanova. Tra le attività degli associati vi erano quelle di individuare i siti dove avviare illecitamente e smaltire, in violazione di legge, fanghi derivanti dagli impianti di depurazione di Trani, Andria, Canosa, Bisceglie, Corato, Barletta e Minervino; ciò avveniva
È stata segnalata come particolarmente critica la situazione dell'Alta Murgia, dove la polizia giudiziaria ha concentrato la sua attività con riferimento al fenomeno dello smaltimento illecito di fanghi e rifiuti speciali provenienti da siti non identificati, che hanno determinato l'inquinamento di siti di rilevanza ambientale, considerando la presenza del Parco nazionale dell'Alta Murgia.
I.2.4.3.1 Procedimenti relativi all'utilizzo di cave in disuso o abbandonate come discariche di rifiuti
Numerosissimi sono poi i procedimenti relativi a cave abbandonate ove sono stati rinvenuti rifiuti speciali e non, in alcuni casi sono state effettuate le bonifiche da parte dei proprietari dei suoli.
Nell'ambito delle cave o degli inghiottitoi carsici risultano occultati rifiuti anche di difficile rimozione, considerata la profondità dei siti, rifiuti di cui non si conosce la natura e l'entità. Ciò determina difficoltà in ordine alla bonifica. Occorre inoltre rilevare che la presenza diffusa di fenomeni di carsismo a carico dei complessi geologici caratteristici dell'area comporta una particolare vulnerabilità degli acquiferi: il percolato generato dai rifiuti finisce direttamente nelle acque sotterranee attraverso quelli che possono essere definiti veri e propri «corridoi preferenziali».
Attraverso un'articolata opera di collaborazione con il Corpo forestale dello Stato, la procura della Repubblica presso il tribunale di Trani sta effettuando una vera e propria attività di monitoraggio ambientale, ponendo sotto attenta vigilanza aree urbane e periurbane e cave dismesse che nel corso degli anni sono state oggetto di diversi interventi.
Proprio con riferimento alle problematiche attinenti alle cave illecitamente utilizzate come discariche abusive, nella provincia Barletta-Andria-Trani sono state avviate una serie di attività da parte del Corpo forestale dello Stato che nel comune di Trani, località Montericco, ha sequestrato nel mese di aprile 2009 sette cave abbandonate, utilizzate come discariche abusive, per un'estensione di 200 mila m2, in esecuzione di un provvedimento di sequestro preventivo emesso dal Gip di Trani. Nell'ambito della predetta indagine sono state indagate ventiquattro persone, proprietarie dei terreni sequestrati, in relazione all'attività illecita di gestione di rifiuti speciali non pericolosi, effettuata attraverso la produzione, il trasporto e il successivo smaltimento mediante interramento all'interno di cave abbandonate.
Un'altra cava illecitamente utilizzata come discarica abusiva è stata sequestrata, sempre nel corso del mese di aprile 2009, in località Montericco del comune di Trani.
L'impegno della procura della Repubblica di Trani sul piano dei reati ambientali e la necessità di disporre nell'ambito dell'ufficio di personale di polizia giudiziaria qualificato ha indotto la procura medesima a richiedere alla provincia di Barletta-Andria-Trani e al comune di Trani personale appartenente alla polizia provinciale e alla polizia municipale da distaccare presso l'aliquota di polizia giudiziaria della procura, specializzata per la trattazione di indagini per reati in materia di violazioni ambientali, edilizie, urbanistiche e stradali.
Su richiesta della Commissione sono stati trasmessi dalla procura della Repubblica di Trani i provvedimenti di sequestro delle cave abbandonate utilizzate illecitamente come discariche abusive, ove venivano scaricati ripetutamente rifiuti derivanti da lavori stradali,
I.2.4.3.2 Il procedimento n. 3415/03 R.G.N.R. a carico di Columella Carlo + altri
La Commissione ha acquisito in copia gli atti ritenuti più significativi del procedimento n. 3415/03 R.G.N.R. a carico di Columella Carlo più altri.
Si tratta di un procedimento nel quale sono state approfondite vicende relative a un traffico illecito di rifiuti che avrebbe visto coinvolte le società riconducibili al gruppo Columella (Cobema s.r.l., Tradeco s.r.l. e Viri s.r.l.).
In Canosa dal 1994 all'attualità.
b) artt. 110 del codice penale - 53-bis decreto legislativo n. 22 del 1997 (Columella Carlo, Castoro Lucia, Moramarco Vincenzo, Fiore Vincenzo, Columella Michele, Carella Carmine, Mezzapesa Sebastiano, Petronella Francesco, Crivelli Raffaele e Calia Giuseppe): per avere di concerto tra loro - e nelle qualità sotto dettagliatamente specificate - attraverso l'allestimento di mezzi (economici e meccanici), nonché attività continuative (protrattesi per circa un decennio, dal 1994 al 2005) ed organizzate (in forma imprenditoriale e secondo assetti societari minuziosamente pianificati nell'ambito dei servizi di smaltimento dei rifiuti), ricevuto, conferito, trasportato o comunque gestito, anche e soprattutto per il tramite della discarica Cobema, quantitativi di rifiuti ingenti (circa 400 mila metri cubi) abusivamente (tanto sotto il profilo della palese e continuativa violazione delle prescrizioni e dei limiti dei titoli esistenti, quanto - limitatamente alla discarica canosina - sotto quello della totale carenza di autorizzazione con riguardo alle ingenti quantità di rifiuti abbancati e smaltiti in eccedenza e/o difformità rispetto ai provvedimenti amministrativi permissivi ed alle prescrizioni in esse contenute) ed al fine di conseguire un profitto ingiusto (in relazione a quello direttamente e indirettamente riveniente dalla gestione di quantitativi e tipologie di rifiuti non autorizzati e/o gestiti in difformità dalle prescrizioni autorizzatorie);
Queste, nel dettaglio, le qualità ed i contributi compartecipativi al delitto:
i primi sette nelle qualità di cui al superiore capo a);
Petronella Francesco quale amministratore Cobema. dal 1997 al 20 maggio 1999 nonché amministratore unico Viri dal 2 marzo 2004 all'attualità;
In Canosa dal 1997 all'attualità.
c) artt. 110 del codice penale, 48 - 479 e 48 - 480, 81 cpv. e 61 n. 2 del codice penale (Columella Carlo, Castoro Lucia, Carella Carmine e Mezzapesa Sebastiano): per avere di concerto fra loro ed al fine di eseguire il delitto di cui al capo b) ex articolo 53-bis decreto legislativo n. 22 del 1997 - il primo quale mandante in veste di socio-gestore effettivo della Cobema Srl e Tradeco Srl, la seconda quale amministratrice della Cobema, il terzo ed il quarto nelle vesti di cui al superiore capo a) - con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, ripetutamente e in tempi diversi predisposto e confezionato relazioni tecniche, perizie giurate e quant'altro alla bisogna (sotto il profilo documentale) necessario, riproducenti fatti, circostanze e dati a carattere tecnico non corretti né rispondenti al vero, così inducendo le autorità amministrative competenti al rilascio e al rinnovo dei provvedimenti autorizzatori necessari per l'esercizio della discarica; segnatamente, il Carella allegando alle istanze (a firma della Castoro) di autorizzazione (nel 1997) e poi di proroga all'esercizio della discarica (nel 2002, alla scadenza del primo quinquennio, quindi nel 2004) relazioni a sua propria firma «sulle modalità di esercizio della discarica», attestava circostanze rivelatesi inesatte e non veritiere (relative all'estensione dell'area della discarica, al volume di rifiuti smaltiti, al numero e qualifiche dei dipendenti della Cobema, alla disponibilità di un sistema di monitoraggio delle eventuali perdite sotto telo e di una rete di monitoraggio per la falda costituita da 4 pozzi, uno a monte e tre a valle, lungo il deflusso della falda); il Mezzapesa producendo in data 6/10/2004 una propria perizia giurata in cui rappresentava falsamente che il volume complessivo dei rifiuti presenti in discarica consentiva di smaltire ulteriori quantità di rifiuti: relazioni e perizie (del Carella e del Mezzapesa) sulla scorta delle quali l'amministrazione si induceva a rilasciare i provvedimenti richiesti e, in particolare, le determinazioni dirigenziali nn. 26 del 2 settembre 2002, 140 del 30 settembre 2004 e 154 del 16 novembre 2004.
In Canosa dal 2002 al 2004.
d) artt. 110 del codice penale - 51 comma 3 decreto legislativo n. 22 del 1997 (Columella Carlo, Castoro Lucia, Columella Michele, Moramarco Vincenzo, Fiore Vincenzo, Carella Carmine, Mezzapesa Sebastiano, Crivelli Raffaele e Calia Giuseppe): per avere di concerto
Con sentenza n. 183/08 reg. sent. resa il 4 marzo 2008 il giudice dell'udienza preliminare presso il tribunale di Trani, all'esito del giudizio abbreviato svoltosi nei confronti di Columella Carlo Dante, Columella Michele, Castoro Lucia Paola, Moramarco Vincenzo, Fiore Vincenzo, Carella Carmine, Mezzapesa Sebastiano, Petronella Francesco, Crivelli Raffaele, Calia Giuseppe, Limongelli Luca, Luisi Fran- cesco, Guerra Vincenzo, ha assolto tutti gli imputati con le seguenti formule:
«Assolve tutti gli imputati ai sensi dell'articolo 530 del codice di procedura penale dai reati ascritti ai capi a), b), c), d), g) e h) perché i fatti non sussistono;
assolve Columella Carlo, Columella Michele, Moramarco Vincenzo, Fiore Vincenzo, Mezzapesa Sebastiano, Crivelli Raffaele ai sensi dell'articolo 530 del codice di procedura penale dai reati sub capi e) ed f) per non avere commesso i fatti;
assolve Castoro Lucia Paola, Carella Carmine e Calia Giuseppe ai sensi dell'articolo 530 cpv. c.procedimento penale dai reati di cui ai capi e) ed f) perché i fatti non sussistono».
Il pubblico ministero dottor Ruggiero ha interposto appello unicamente nei confronti delle pronunce inerenti le persone di Columella Carlo, Castoro Lucia, Fiore Vincenzo, Columella Michele, Carella Carmine, Petronella Francesco, Crivelli Raffaele, Calia Giuseppe e per i capi di imputazione loro ascritti.
La sentenza emessa dalla corte d'appello di Bari ha in parte riformato la sentenza di primo grado.
Nella sentenza viene riconosciuto il reato di gestione abusiva di ingenti quantità di rifiuti sulla base delle seguenti motivazioni.
Sulla scorta dei risultati della consulenza tecnica del pubblico ministero è stata accertata l'effettiva dimensione della discarica e la falsa misurazione della stessa da parte degli imputati ed è stato accertato che gli stessi, una volta ottenuta l'autorizzazione n. 1625/1997 hanno gestito la discarica in violazione della normativa speciale che ne disciplina la materia, essendo gli atti autorizzatori illegittimi. Risulta inoltre che abbiano conferito in discarica quantitativi di rifiuti maggiori rispetto a 200 mila metri cubi conseguendo profitti illeciti.
È stata riconosciuta la sussistenza del reato di cui all'articolo 53-bis del decreto legislativo n. 22 del 1997 tenuto conto sia delle
I.3 Provincia di Foggia
Premessa
L'approfondimento relativo alla provincia di Foggia è stato effettuato attraverso l'audizione, nel corso della missione a Bari, dal 26 al 28 gennaio 2011.
La provincia di Foggia versa in una situazione particolarmente complessa, in quanto si tratta della provincia maggiormente esposta alle infiltrazioni della criminalità organizzata campana.
Al riguardo va evidenziato sin d'ora come la prefettura di Foggia abbia emesso recentemente alcune informative atipiche in sede di certificazione antimafia, in conseguenza delle quali sono stati risolti i contratti di appalto in materia dei rifiuti stipulati dai comuni con le società raggiunte dalle predette informative.
In sostanza, secondo quanto emerso sia dalla situazione impiantistica (pressoché inesistente), sia dalla condizione delle discariche (in via di saturazione e soggette ad atti di sabotaggio), sia, ancora, dalla sussistenza di numerose discariche abusive dislocate in diversi punti della provincia, il ciclo dei rifiuti si trova perennemente in una condizione di crisi, caratterizzata dalla periodica interruzione della raccolta dei rifiuti e dalla ricerca costante di nuovi siti di discarica, tendenzialmente provvisori, ove conferire i rifiuti (in assenza di qualsiasi altra possibile utile forma di smaltimento)
Sono state approfondite le problematiche connesse alla bonifica del sito di Manfredonia.
Infine, secondo quanto emerso dalla recente indagine avviata dalla procura distrettuale antimafia di Bari, il territorio foggiano è caratterizzato dalla presenza di organizzazioni criminali di stampo mafioso che si sono infiltrate massicciamente nel settore dei rifiuti.
Al dato rappresentato dai condizionamenti della criminalità organizzata campana si deve aggiungere, dunque, quello relativo alla presenza di una criminalità organizzata endogena che penetra nei vari settori dell'economia da cui può ricavare profitti illeciti, compreso quello dei rifiuti. Molte delle interruzioni del servizio di raccolta dei rifiuti devono proprio ricondursi a fenomeni criminali sottostanti e riconducibili alle organizzazioni criminali di stampo mafioso (come si è avuto modo di precisare nella parte della relazione relativa alle indagini della Dda di Bari).
I.3.1 Il ciclo dei rifiuti nella provincia di Foggia
I.3.1.1 Discariche, situazione impiantistica e raccolta differenziata
La provincia di Foggia è suddivisa in quattro Ato (con 4 impianti pubblici per quanto riguarda lo smaltimento di rsu: Cerignola, Deliceto, Foggia e Vieste) e sono attive le seguenti discariche (13):
Foggia - località San Giuseppe, gestita dalla società cooperativa San Michele;
Secondo quanto riportato nella nota dell'azienda sanitaria della provincia di Foggia (14), per quanto riguarda il quadro impiantistico i quattro ambiti territoriali ottimali nei quali è suddivisa la provincia non hanno ancora un sistema di trattamento adeguato alla vigente normativa, che affida allo smaltimento in discarica un ruolo assolutamente marginale, mentre in provincia lo smaltimento si basa quasi esclusivamente sul conferimento in discarica (peraltro alcuni impianti hanno esaurito la loro capacità di abbancamento).
Per quanto concerne i rifiuti speciali, in provincia sono attive tre discariche per inerti (Apricena e Lucera) e una discarica per rifiuti speciali non pericolosi (Foggia), nonché un impianto di rifiuti ospedalieri a Cerignola.
Anche nella relazione prodotta dal prefetto Nunziante si segnala come le discariche relative agli Ato FG 1, 3 e 4 siano tutte in fase di esaurimento e comunque presentino alcuni problemi.
In sede di audizione il prefetto ha precisato che la discarica di Vieste si è bloccata per esaurimento (pare sia in fase di approvazione un progetto di variante volto alla «ottimizzazione delle aree della discarica» e che, nelle more, il presidente dell'Ato, al fine di scongiurare lo stato di emergenza che verrebbe a determinarsi nell'ipotesi di chiusura della discarica, abbia disposto l'esecuzione dei lavori indifferibili e urgenti finalizzati all'utilizzo delle volumetrie ancora disponibili), sicché l'Ato che fa capo a Vieste sversa nell'Ato di Cerignola.
Il presidente della provincia di Foggia, Antonio Pepe, nel corso dell'audizione del 27 gennaio 2011, ha fornito un quadro chiaro in merito allo stato delle discariche:
«Nella nostra provincia abbiamo quattro impianti pubblici per quanto riguarda le rsu: a Foggia, a Cerignola, a Vieste, a Deliceto. Questi quattro impianti servono più comuni della provincia di Foggia, che ha ben sessantuno comuni. Recentemente, l'impianto di Vieste è stato interessato da un incendio e quindi ha chiuso. Con la regione si è pensato anche ad ampliare quell'impianto, ma le autorizzazioni non sono arrivate, quindi l'impianto di Vieste attualmente è chiuso e i comuni che prima se ne servivano sono stati delocalizzati nell'impianto di Cerignola. Anche quest'ultimo ha avuto un problema
Il presidente della provincia ha esplicitamente fatto riferimento ad una situazione di pre-crisi, che potrà essere sbloccata solo laddove il comune di Foggia avrà messo a sistema la discarica che sta realizzando e il comune di Cerignola avrà ampliato la discarica.
A seguito della chiusura della discarica di Vieste la provincia ha cercato di venire incontro ai comuni del Gargano che sversano i rifiuti nella discarica di Cerignola, realizzando sul territorio provinciale una piattaforma dove portare i rifiuti dei comuni rientranti proprio nell'area del Gargano. Da lì i rifiuti vengono prelevati con pochi mezzi e trasportati fino alla discarica di Cerignola, il tutto al fine di contenere le spese di trasporto, tenuto conto che la discarica è distante diversi chilometri dal luogo di produzione dei rifiuti.
Non vi è prova, allo stato e sulla base delle informazioni acquisite, che la discarica di Vieste sia stata incendiata dolosamente (anche se dai primi accertamenti effettuati dalle forze di polizia l'incendio sembrerebbe di origine dolosa). Un dato certo è che, come dichiarato dall'assessore provinciale all'ambiente, Stefano Pecorella, l'incendio ha avuto come conseguenza l'emanazione di un atto presidenziale di chiusura dell'impianto, in quanto non risultavano più rispettate le norme di sicurezza dal punto di vista igienico-sanitario e ambientale per la prosecuzione dell'attività di conferimento all'interno di quel sito. Tenuto conto delle vicende che hanno interessato e continuano ad interessare la discarica di Cerignola, nonché la forte presenza della criminalità organizzata, campana e non, nel settore dei trasporti dei rifiuti, quello sopra descritto è un episodio certamente inquietante che merita adeguati approfondimenti investigativi.
Non sono state segnalate indagini in merito a questa specifica vicenda, all'eventuale natura dolosa dell'incendio o alla strumentalizzazione dell'evento accidentale per lucrare illeciti profitti, ma il dato ineludibile è che i rifiuti di tutta la zona del Gargano vengono smaltiti in una discarica decisamente lontana, quella di Cerignola.
Questo dato non va sottovalutato alla luce di quanto dichiarato da diversi magistrati auditi nel corso della missione, i quali hanno più volte precisato che uno dei settori maggiormente sensibili alle infiltrazioni della criminalità organizzata è quello dei trasporti. E quindi, a prescindere dalle maggiori spese per lo smaltimento, vi sono
I.3.2 Problematiche relative alla città di Foggia nel servizio di raccolta rifiuti e riflessi sull'ordine pubblico
Con riferimento alla città di Foggia si registra una situazione particolarmente grave, in quanto la società municipalizzata Amica (totalmente partecipata dal comune di Foggia) versa in una grave crisi economica e finanziaria e, tra le aziende consociate, la Daunia
I.3.2 Gli illeciti ambientali nella provincia di Foggia
I.3.2.1 Procura della Repubblica presso il tribunale di Foggia
I.3.2.1.1 Le dichiarazioni rese dal sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Foggia, Domenico Minardi
Il sostituto procuratore della Repubblica di Foggia, Domenico Minardi, con riferimento al territorio della provincia di Foggia e alla sua particolare conformazione geologica, ha sottolineato l'incidenza considerevole nel proprio territorio di tutte le tematiche del diritto ambientale penalmente rilevanti, in considerazione del fatto che si tratta di un'area a basso tasso di industrializzazione, ma a vocazione agricola, con molte campagne e soggetta non sempre a un efficace controllo.
Aree inquinate, discariche, depuratori e fanghi sono tematiche di interesse anche per l'area di Foggia, con punte di illegalità molto significative. A Foggia vi sono stati casi di aree professionalmente asservite alla ricezione dei rifiuti, ossia siti inquinati che hanno presentato tutti quegli indici che la giurisprudenza individua per la configurazione del reato, ma con notevole gravità: l'interramento dei rifiuti, la stratificazione, la preparazione del sito, la recinzione, sono fenomeni che sono stati più volte segnalati dalla polizia giudiziaria.
Ha precisato trattarsi nella maggior parte dei casi di condotte non estemporanee, ma rilevanti, permanenti e ha portato ad esempio un caso in cui la situazione ha presentato tali indici di gravità, da dover configurare addirittura la sussistenza del reato di disastro doloso di cui all'articolo 434 del codice penale che ha condotto all'erogazione di misure cautelari personali e reali (è in corso il dibattimento).
Il dottor Minardi, nel ribadire che il tema delle discariche illecite risulta assolutamente presente nel territorio della provincia di Foggia, anche con questi profili di gravità, ha lamentato la sostanziale carenza di strumenti legislativi di contrasto che nella maggior parte dei casi sono solo di tipo contravvenzionale.
È poi passato alla descrizione di un altro problema che interessa la provincia di Foggia, che è quello dei depuratori, evidenziando anche in questo settore problematiche connesse alla inefficacia della misura del sequestro preventivo.
Come è noto, è penalmente rilevante la condotta di gestione del depuratore di acque reflue urbane quando si superano taluni limiti tabellari che sono fissati dal decreto legislativo n. 152 del 2006. Si afferma, in sede di reiterata violazione, e questo è capitato nell'ufficio cui appartiene il magistrato, che è presente il fumus delicti, è presente il periculum in mora e ciononostante non viene concesso il sequestro preventivo perché la misura è inadeguata.
I.3.2.2.2 Le indagini più significative effettuate presso la procura della Repubblica di Foggia
Sono stati trasmessi alla Commissione alcuni atti da parte della procura della Repubblica presso il tribunale di Foggia (16), e in particolare:
a) il provvedimento emesso dal tribunale del riesame di Bari in sede di appello promosso dal pubblico ministero di Foggia avverso l'ordinanza del gip con cui veniva rigettata la richiesta di misura cautelare avanzata dalla procura nei confronti di taluni soggetti.
Agli indagati era stato contestato il reato di cui agli articoli 260 (attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti), e 256, commi 1 e 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006, per avere gli stessi, con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, gestito abusivamente nelle forme del deposito, del trasporto, della ricezione e dello smaltimento ingenti quantitativi di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, rinvenienti prevalentemente dalle attività di lavorazione del pomodoro biologico prodotto in vivai coperti e dai lavori di pulizia della sede sociale, in mancanza di ogni idonea documentazione e dei prescritti titoli autorizzatori, iscrizioni o comunicazioni a norma degli articoli 193 e 208 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e senza adottare le necessarie cautele, utilizzando per il loro smaltimento un'area a vocazione agricola ove i rifiuti erano riversati alla rinfusa con modalità prive di controllo logico ed operativo e in parte interrati, assumendo la suddetta area le connotazioni proprie di una discarica non autorizzata (estensione significativa, perimetrazione e accesso vincolato, trasformazione e degrado dello stato dei luoghi, assenza di misure di protezione per l'ambiente).
Il provvedimento di rigetto del Gip riguardava non già la negativa valutazione del quadro indiziario, bensì la ritenuta insussistenza delle esigenze cautelari, motivata, tra l'altro, con l'impossibilità della
Secondo l'impostazione accusatoria, recepita dal Gip, i rifiuti così illecitamente smaltiti sarebbero stati trasportati dal cantiere dell'Agecos di Deliceto.
I lavori di scavo e di raccolta per la realizzazione della seconda discarica avevano infatti comportato la raccolta di un quantitativo enorme di terra e argilla contaminata dal percolato proveniente dalla vicina discarica ormai satura. Si legge nell'ordinanza: «avviare tutto a una discarica autorizzata avrebbe fatto lievitare i costi tanto da assorbire l'intero contributo fornito dalla regione Puglia (2 milioni di euro) e indebitare irrimediabilmente la società».
In sostanza, gli indagati avrebbero operato in modo da scaricare i rifiuti sull'ansa del Cervaro, in totale spregio dell'ambiente e creando i presupposti, peraltro, di un possibile disastro alluvionale nel caso di tracimazione del fiume dagli argini.
L'ordinanza applicativa di misura cautelare ha quindi riguardato Bonassisa Rocco, legale rappresentante dell'Agecos, ditta appaltatrice dei lavori di costruzione della nuova discarica e a cui competeva lo smaltimento lecito dei rifiuti prodotti dal ciclo di lavorazione, Schiavone Donato, direttore di cantiere formalmente assunto con l'Agecos, Valente Gerardo, Valente Antonio e Valente Giovanni, i quali rappresentavano i punti di riferimento dei camionisti che trasportavano i rifiuti al fine di individuare i punti esatti delle rive del fiume in cui effettuare lo scarico, Russo Vincenzo, il quale aveva ricevuto le terre di scavo contaminate, provenienti dai lavori che l'Agecos di Bonassisa Rocco stava compiendo alla discarica di Deliceto, senza alcun rispetto della procedura e dei controlli previsti dall'articolo 186 del decreto legislativo n. 152 del 2006, Turchiarelli Michelantonio, Graniero Pasquale, Pelullo Antonio, Cappiello Antonio, Silvestri Leonardo, Picaro Donato, i quali effettuavano il trasporto dei rifiuti con i camion fino al luogo di illecito smaltimento.
L'indagine sopra riportata non può non sollevare una serie di problematiche:
come è possibile che i lavori per la realizzazione della discarica siano stati fatti eseguire da soggetti evidentemente non affidabili;
come è possibile che sia stato deciso di realizzare una discarica su un terreno limitrofo ad una già chiusa, caratterizzato dalla presenza di terreno impregnato di percolato prodotto dalla discarica medesima e mai correttamente smaltito;
come è possibile che per lungo tempo siano state scaricate circa 500 mila tonnellate di rifiuti speciali, pericolosi e non
Tutto ciò è stato possibile, evidentemente, per una carenza di controlli, sia preventivi che successivi, sebbene il sito ove realizzare la discarica presentasse oggettive caratteristiche di pericolosità (tenuto conto della prossimità ad una discarica già chiusa e mal gestita, evidentemente, nella fase del post mortem).
d) È stato poi segnalato dalla procura di Foggia un procedimento (per la verità risalente all'anno 2004 - proc. n. 1329/04 R.G.N.R.) che ha riguardato essenzialmente le attività della società Ecofertil s.r.l., con sede in Orta Nova ed avente come oggetto sociale la produzione, mediante compostaggio, e la commercializzazione di ammendanti organici.
L'attività investigativa svolta ha consentito di accertare, secondo l'impostazione accusatoria, che la Ecofertil non ha mai prodotto ammendante organico ma, al contrario, ha accettato nell'impianto tipologie di rifiuti privi delle caratteristiche prescritte dal decreto ministeriale 5 febbraio 1998 che, senza essere sottoposti al prescritto ciclo di lavorazione, venivano riversati su svariati terreni di proprietari privati, scortati da falsi certificati di analisi e documenti di trasporto nei quali il prodotto veniva falsamente qualificato come «ammendante organico».
Le analisi sui campioni effettuate con l'ausilio di un consulente tecnico del pubblico ministero hanno consentito di accertare, quanto meno allo stato dell'iter processuale, che:
tutti i rifiuti presenti all'interno dell'impianto, che stavano per essere avviati a compostaggio e che erano accompagnati da certificati di analisi attestanti un prodotto conforme alla norma sono risultati incompatibili con la produzione di ammendante (...) e alcuni di essi sono addirittura risultati pericolosi a causa dell'elevata concentrazione di oli minerali;
il materiale trasportato dai quattro camion in sequestro non aveva la natura di ammendante, per la presenza di metalli (piombo, rame e zinco) in misura superiore a quella consentita e per il basso tenore in carbonio organico; inoltre, due dei quattro campioni prelevati risultavano «pericolosi» a causa dell'elevata concentrazione di oli minerali;
identici risultati davano le analisi dei rifiuti scaricati sui terreni oggetto dell'indagine.
Nel corso delle indagini è stata richiesta dalla procura l'applicazione di misure cautelari e si è concluso il primo grado del processo con l'emanazione di una sentenza di condanna in data 6 ottobre 2009, con la quale sono stati condannati quasi tutti gli imputati del processo ed è stata riconosciuta l'associazione a delinquere finalizzata alla commissione di una serie di reati ambientali, tra cui la gestione illecita di rifiuti pericolosi, l'attività organizzata per il traffico di rifiuti, la realizzazione di discariche abusive nonché vari reati di falso connessi all'illecito traffico.
I.3.2.2. I dati forniti alla Commissione dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Lucera
I.3.2.2.1 Le dichiarazioni rese dal procuratore della Repubblica di Lucera, dottor Domenico Seccia
Un'analisi ad ampio spettro è stata presentata alla Commissione dal procuratore della Repubblica di Lucera, Domenico Seccia, in relazione all'area della provincia di Foggia sotto la competenza del predetto ufficio giudiziario.
Il dottor Seccia ha fornito alla Commissione una lettura del fenomeno criminale secondo una distinzione tra criminalità ambientale ordinaria, criminalità ambientale in espansione e criminalità legata ai gruppi organizzati di stampo mafioso o ad essi assimilati,
Le attività investigative si concentrano su tutti i soggetti protagonisti del traffico illecito, dal produttore dei rifiuti al titolare degli impianti di stoccaggio, smaltimento e recupero dei rifiuti, ai soggetti che operano presso laboratori di analisi, per finire con i trasportatori che utilizzano falsi documenti di accompagnamento.
Come si legge nella relazione, in tutte le attività condotte il «faro investigativo» è stato orientato in relazione all'opera dei soggetti sopra indicati, nonché degli intermediari, che fanno da tramite fra il produttore e gli impianti di stoccaggio/smaltimento/recupero di rifiuti, e che sono costantemente alla ricerca delle soluzioni economicamente più convenienti e di nuovi siti verso i quali movimentare i rifiuti.
Quello dell'intermediario è solitamente un ruolo da protagonista nelle organizzazioni del traffico illegale di rifiuti, con particolare riferimento ai casi in cui organizza una serie di trasporti con diversi passaggi intermedi finalizzati a far modificare il codice dei rifiuti in modo che i costi di lavorazione siano sempre più bassi, dando luogo
I.3.2.2.2 Le dichiarazioni rese dal sostituto procuratore presso la procura della Repubblica di Lucera, Pasquale De Luca
Il sostituto procuratore dottor De Luca, nel corso dell'audizione svoltasi il 14 luglio 2010, ha segnalato un'indagine ritenuta molto importante e relativa all'interramento di fusti contenenti rifiuti tossici in località Giardinetto in agro di Troia (si trattava, in particolare, di fusti contenenti fanghi neri, inquinanti tossici, benzene, cromo esavalente, idrocarburi, metalli pesanti, canadio e amianto, risultati essere sostanze cancerogene di categoria 1 e 2).
Si tratta di un'indagine collegata a una precedente indagine svolta dalla procura e risalente a dieci anni prima, nella quale si era accertato che il complesso aziendale della società Industria Organizzata s.r.l., e in particolare il capannone e i piazzali della predetta società, erano stati costruiti con residui di combustione e con rifiuti misti a fanghi.
Nel corso delle indagini attuali si è ulteriormente accertato che nel sottosuolo corrispondente al complesso aziendale sono state occultate 250 mila tonnellate di rifiuti, per un totale di 178 mila metri quadrati.
Con riferimento alla descritta situazione, è stata rappresentata l'esistenza di un concreto e attuale pericolo di ulteriore diffusione e contaminazione dell'acqua e della terra a causa dei rifiuti interrati nel sottosuolo (si tratta di rifiuti costituiti da fanghi, materiali misti a cemento, abenzene, cromo esavalente, amianto, vanadio, idrocarburi e metalli pesanti, tutti cancerogeni).
Vi è inoltre un concreto pericolo di inquinamento delle acque per la vicinanza di un canale acquifero superficiale che confluisce nel torrente Sannoro, il quale poi sfocia nel più grande e importante torrente Cervaro.
I.3.2.2.3 Le indagini più significative effettuate presso la procura della Repubblica di Lucera e segnalate alla Commissione
Le indagini segnalate sono le seguenti:
procedimento n. 3524/2009 R.G.N.R. Mod. 21. Si tratta di un'indagine relativa ad un impianto di compostaggio ubicato in agro di Lucera denominato Eco-Agrimm ora Bio Ecoagrimm, ove vengono smaltiti rifiuti provenienti sia dalla vicina Campania, facendoli apparire come compostabili con l'attribuzione di un codice non compatibile con il trattamento subito negli impianti di partenza, sia provenienti dal Lazio e dalla Toscana, dove, mediante fittizi trattamenti, gli stessi venivano poi smaltiti mediante spandimento nei vicini campi agricoli;
procedimento n. 3228/2007. L'indagine riguarda in particolare lo stato d'inquinamento del lago salato di Lesina, essendosi accertata
Considerazioni di sintesi in merito agli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti nel territorio rientrante nel distretto di corte d'appello di Bari
Gli approfondimenti relativi al distretto di Bari hanno consentito di individuare alcuni punti nevralgici, specifici del territorio preso in
Per quanto riguarda, più in generale, la situazione del ciclo dei rifiuti nel territorio rientrante nel distretto di corte d'appello di Bari, deve osservarsi come i livelli di raccolta differenziata siano ancora molto bassi e quello che si è constatato è un «non ciclo» dei rifiuti, giacché la principale modalità di smaltimento continua ad essere il conferimento in discariche, rispetto alle quali peraltro sussistono gravissimi problemi attinenti alla corretta gestione.
Alcune delle discariche risultano essere state per lungo tempo destinatarie di traffici illeciti di rifiuti provenienti da diverse regioni d'Italia, compresa la Campania.
Ciò pone il territorio in una condizione di gravissimo rischio sotto il profilo ambientale perché sfruttato non solo in conseguenza del mancato avvio di un ciclo virtuoso dei rifiuti nella regione, ma anche in conseguenza di traffici illeciti che trovano il loro punto di partenza in regioni diverse dalla Puglia, regione già da anni in emergenza.
II. - Territorio del distretto di corte d'appello di Lecce (province di Lecce, Taranto e Brindisi)
Premessa
L'approfondimento relativo alla provincia di Lecce è stato effettuato attraverso l'audizione del procuratore generale presso la corte d'appello di Lecce, nonché degli altri magistrati che hanno svolto indagini in materia di reati ambientali.
Le informazioni acquisite dai magistrati, nonché dal prefetto e dal questore di Lecce hanno consentito di tracciare un quadro inquietante con riferimento alle infiltrazioni della criminalità organizzata nel ciclo dei rifiuti.
La Commissione ha avuto la possibilità di acquisire una recentissima sentenza emessa dalla corte d'appello di Lecce nei confronti di Rosafio Gianluigi più altri per reati concernenti il traffico illecito di rifiuti, con l'aggravante di avere agito con metodo mafioso.
In sostanza, nella sentenza è stata, da un lato, riconosciuta implicitamente l'esistenza di clan mafiosi riconducibili alla sacra corona unita quale organizzazione di stampo mafioso, dall'altro, l'utilizzo del metodo mafioso per occupare posizioni monopolistiche offrendo i servizi connessi al ciclo dei rifiuti a prezzi concorrenziali, proprio perché gestiti illecitamente.
Altrettanto significative sono le numerose interdittive antimafia emesse dalla prefettura di Lecce, che hanno riguardato imprese operanti nel settore dei rifiuti riconducibili a soggetti legati, direttamente o indirettamente, a organizzazioni criminali di stampo mafioso e che hanno gestito quasi in regime di monopolio una serie di servizi connessi al settore dei rifiuti.
I dati acquisiti costituiscono indizi di un profondo condizionamento da parte della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti, sia per quanto riguarda l'aggiudicazione degli appalti per i servizi di raccolta, sia per quanto riguarda le ingerenze sulle scelte strategiche di società che operano nel medesimo settore, all'interno delle quali sembrano operare con mansioni modeste soggetti che, invece, di fatto hanno poteri decisori, in quanto esponenti di spicco della criminalità locale.
A questi fenomeni si aggiungono i traffici transregionali di rifiuti che, come già emerso nel corso degli approfondimenti relativi alle altre province, hanno visto come luogo di destinazione finale per l'illecito smaltimento proprio la Puglia.
II.1 La provincia di Lecce
II.1.1 La situazione impiantistica
Nella relazione prodotta dal prefetto di Lecce (18) è stata descritta la pianificazione regionale con riferimento al territorio provinciale.
Per ciò che concerne l'operatività degli impianti è stato sottolineato che l'impianto complesso è realizzato e in esercizio (centro di biostabilizzazione e selezione e discarica di servizio/soccorso).
La nuova discarica di servizio-soccorso, in località «Le Mate» è recentemente entrata in servizio. Il centro di raccolta di Campi oggi funziona, temporaneamente, come centro di raccolta del vetro.
L'impianto per la produzione di cdr è realizzato e funzionante ma ancora in fase di collaudo (esercizio consentito dall'ordinanza CD n.74 del 7 settembre 2009 e n. 83 del 4 marzo 2010, nelle more del collaudo, sino al 10 settembre 2010).
Nella successiva nota inviata dalla provincia di Lecce (19) viene precisato che l'impianto di produzione di cdr è realizzato e funzionante.
Nell'Ato LE/2 (che comprende quarantasei comuni) sono previsti:
impianto complesso per il trattamento del rifiuto indifferenziato (biostabilizzazione e selezione) in Poggiardo con discarica di solo servizio in Corigliano d'Otranto (costruzione e gestione affidata al consorzio Cogeam);
centro per la raccolta, prima lavorazione e stoccaggio della raccolta differenziata in Melpignano località Corti Rossi (gestione affidata al consorzio Cogeam).
Anche con riferimento agli impianti dell'Ato LE/2 sono state fornite indicazioni in merito alla funzionalità.
Il centro per la raccolta differenziata, realizzato nel 2000, è in funzione. Il centro di selezione e biostabilizzazione in Poggiardo, località Pastorizze è in esercizio dal 3 giugno 2010 nelle more della conclusione delle procedure di collaudo (ordinanza CD n. 88 del 31 maggio 2010 esercizio consentito fino al 3 gennaio 2011) mentre i
Gli impianti, ad eccezione del centro per la raccolta differenziata realizzato nel 2001 e oggi vandalizzato e non avviato, sono funzionanti, ma le relative procedure di collaudo non sono ancora ultimate. Nel prosieguo del documento vengono forniti (su indicazione della provincia di Lecce - settore ambiente e territorio) gli elenchi relativi agli impianti trattamento/smaltimento rifiuti autorizzati e in esercizio con procedura ordinaria insistenti nella provincia di Lecce nonché l'elenco degli impianti iscritti al registro provinciale recuperatori rifiuti/procedure semplificate.
II.1.2 La raccolta differenziata nella provincia di Lecce
Il presidente della provincia di Lecce ha inviato alla Commissione in data 23 gennaio 2012 un documento (21) nel quale sono stati rappresentati i livelli di raccolta differenziata raggiunti e lo stato di realizzazione dell'impiantistica. Con riferimento ai dati relativi alla raccolta differenziata nell'ultimo quadriennio sono stati allegati dei grafici relativi ai tre ambiti territoriali in cui è suddivisa la provincia di Lecce.
Nella nota viene precisato che i dati, disaggregati per singolo comune e per tipologia di rifiuti, sono disponibili sul portale regionale all'indirizzo internet http://www.rifiutiebonifica.puglia.it.
L'articolo 9, comma 5, della legge regionale n. 27 del 2007 prevede infatti che gli Ato, ove costituiti, o i comuni provvedano ad inserire mensilmente sul portale ambientale regionale i dati relativi alla produzione di rsu e alla raccolta differenziata. Ovviamente la richiesta è stata comunque inoltrata da parte della Commissione perché si è avuto modo di riscontrare come non sempre i dati risultino aggiornati e inseriti nei siti ufficiali.
II.1.3 Gli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti nella provincia di Lecce
II.1.3.1 Le informazioni acquisite dal prefetto e dal questore di Lecce
La Commissione ha acquisito le note scritte inviate dal prefetto e dal questore di Lecce, da cui emerge una situazione ambientale, anche per effetto delle infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti, decisamente preoccupante.
Diversi sono i settori attenzionati: da un lato, quello relativo alla situazione concernente le discariche abusive, dall'altro, quello relativo alle imprese che operano nel settore dei rifiuti, alle modalità operative e a eventuali infiltrazioni della criminalità organizzata.
Sono stati infatti acquisiti elementi da cui emergerebbe una pregnante presenza di clan appartenenti a organizzazioni mafiose nel settore dei rifiuti.
II.1.3.1.1 Le informazioni fornite dal prefetto di Lecce
Il prefetto di Lecce ha inviato alla Commissione una nota (22) nella quale sono esaminate nel dettaglio non solo le questioni attinenti al ciclo dei rifiuti nella provincia di Lecce ma, in particolare, il tema delle infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei rifiuti.
Com'è noto, le attività riconducibili alla gestione dei rifiuti solidi urbani, e soprattutto di quelli industriali (tossici e nocivi), rappresentano alcuni dei settori di intervento di maggiore interesse per le organizzazioni criminali, in quanto offrono la possibilità di realizzare profitti più consistenti, in particolare nel caso in cui l'amministrazione non si mostri efficiente nel settore in oggetto, lasciando spazi vuoti che vengono immediatamente occupati da chi intende realizzare profitti illeciti.
In relazione alle problematiche a vario titolo connesse al ciclo dei rifiuti, le attività delle forze di polizia, anche su impulso della prefettura, si sono sviluppate precipuamente in una direzione info-investigativa allo scopo non solo di monitorare attentamente eventuali fenomeni criminosi emergenti, ma anche di conoscere tempestivamente le criticità e le situazioni di pregiudizio per l'ordine pubblico.
Oltre che i centri di raccolta e trattamento dei rifiuti, le attività informative e di investigazione hanno riguardato le imprese operanti nel settore della raccolta dei rifiuti solidi urbani.
Si è accertato che molte imprese che operano nel settore dei rifiuti sono riconducibili, direttamente o indirettamente, alla famiglia
II.1.3.1.2 I provvedimenti interdittivi antimafia emessi dalla prefettura di Lecce
I provvedimenti interdittivi antimafia emessi dalla prefettura nei confronti di imprese riconducibili al Rosafio sono stati impugnati sia innanzi al Tar, sia innanzi al Consiglio di Stato.
Mentre il Tar, secondo quanto riferito dal prefetto, ha confermato il provvedimento emesso dalla prefettura nei confronti della Geotec, il Consiglio di Stato ha annullato il provvedimento, in ragione di una serie di argomentazioni riassumibili nei seguenti termini:
l'intervenuto mutamento della compagine amministrativa e societaria della società;
la circostanza per cui il Rosafio non risultava essere pregiudicato (a differenza di quanto indicato nell'interdittiva);
la sostanziale irrilevanza dell'esistenza di rapporti di affinità con un soggetto controindicato;
l'esclusione dell'aggravante della mafiosità nella sentenza emessa dal tribunale di Lecce a carico di Rosafio più altri (nella parte motivazionale dell'interdittiva si faceva riferimento al decreto dispositivo del giudizio nei confronti di Rosafio per reati aggravati dall'articolo 7 del decreto-legge n. 152 del 1991).
Si riporta comunque la parte motiva della sentenza del Consiglio di Stato, sia perché rilevante con riferimento al caso specifico, sia perché consente, in qualche modo, di analizzare eventuali punti, per così dire, deboli della normativa in materia di interdittive antimafia che rendono aggredibili i provvedimenti prefettizi.
La Commissione ha avuto infatti modo di constatare, soprattutto con riferimento alla regione Campania, nella quale il settore dei rifiuti è particolarmente infiltrato dalla criminalità organizzata, come vi sia un'elevata percentuale di interdittive prefettizie antimafia annullate in sede di giustizia amministrativa.
II.1.3.1.3 Informazioni acquisite dalla questura
Sotto il profilo dell'ordine pubblico, le principali attività hanno riguardato alcune vertenze aziendali presso centri di raccolta e stabilimenti per lo smaltimento di rifiuti, tra cui:
la vertenza dei dipendenti della «Sud Gas s.r.l.», società che aveva in appalto il trattamento dei rifiuti presso l'impianto di biostabilizzazione di Poggiadro, ove si sono frequentemente verificate astensioni non preavvisate dal lavoro, con sospensioni e ritardi nel conferimento dei rifiuti;
la vertenza, per motivi occupazionali dei dipendenti della «Coopersalento Spa», la cui attività è stata sospesa con provvedimento dell'amministrazione provinciale a seguito dei rilievi dell'Arpa che avevano evidenziato emissioni eccedenti i limiti consentiti.
In particolare, le vicende della Coopersalento sono state al centro di polemiche, anche aspre, per il grave impatto sull'ambiente e sulla salute pubblica che le attività dello stabilimento, nel tempo, avrebbero determinato.
Sono state poi segnalate le vicende concernenti la discarica «Burgesi» ricompresa nell'Ato LE/3, perché rilevanti sia per gli aspetti di ordine pubblico che di polizia giudiziaria.
In detto sito, la regione Puglia, con ordinanza del 2008 ha autorizzato il conferimento dei rifiuti dei ventiquattro comuni dell'Ato LE/3 e dei quarantasei comuni dell'Ato LE/2.
II.1.3.2 Le informazioni fornite dalle forze di polizia
II.1.3.2.1 Noe dei Carabinieri di Lecce
Il comandante del Noe di Lecce, Nicola Candido, nel corso dell'audizione del 14 settembre 2010, ha fornito importanti informazioni in merito alle modalità attraverso cui vengono consumati i reati ambientali nel territorio di sua competenza.
Ciò che è emerso non è tanto il coinvolgimento di soggetti appartenenti ad associazioni criminali organizzate, ma il coinvolgimento di strutture societarie operanti nel settore dei rifiuti.
Nell'operazione «Formica», ad esempio, che nel 2009 ha portato all'emissione di dodici ordinanze di custodia cautelare, di cui dieci in carcere, il dato peculiare è rappresentato dal fatto che partecipavano attivamente al traffico illecito di rifiuti presso la discarica Formica (in
II.1.3.2.2 Corpo forestale dello Stato
Nella nota inviata dal Corpo forestale dello Stato di Lecce (25) viene segnalato come nella provincia di Lecce il problema dei rifiuti risulti essere evidente e come tale evidenza si evinca dai risultati dei controlli effettuati, sia con riferimento agli illeciti amministrativi accertati che agli illeciti penali.
Come risulta evidente dalle indagini segnalate dal Corpo forestale dello Stato, l'attività è essenzialmente finalizzata al controllo del
II.1.3.3 Informazioni acquisite dal procuratore della Repubblica di Lecce, Cataldo Motta, e dal procuratore aggiunto, Ennio Cillo
Il procuratore aggiunto presso il tribunale di Lecce, Ennio Cillo, ha definito la situazione, in tema di reati ambientali o connessi al traffico di rifiuti per la provincia di Lecce, abbastanza tranquilla.
Il procuratore ha comunicato la costituzione presso la procura di Lecce di una sezione specializzata di polizia giudiziaria, composta da
II.1.3.4 Le indagini più significative in materia ambientale segnalate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Lecce
Un procedimento segnalato è quello recante n. 1872/04 mod. 21 (procedimento non recente), iscritto a carico dei rappresentanti della Ecolio Srl e del rappresentante pro tempore del servizio ambiente della provincia di Lecce, nel quale venivano contestate la carenza, l'inadeguatezza e l'illegittimità dell'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio di un impianto destinato al trattamento dei rifiuti liquidi, che non avrebbe potuto trattare alcuni rifiuti pericolosi tra cui il caprolattame.
La procura ha interposto appello avverso la sentenza di assoluzione; nella nota inviata alla Commissione, ma è stato ribadito dal magistrato anche nel corso dell'audizione, la sentenza è stata appellata in quanto non avrebbe affrontato in maniera corretta le difficili problematiche connesse alle autorizzazioni rilasciate e alla qualificazione di particolari rifiuti come il caprolattame.
È stato poi prodotto il dispositivo della sentenza emessa dalla corte d'appello con cui è stata parzialmente riformata la sentenza di primo grado, ma non se ne conoscono ancora le motivazioni in quanto, alla data del 27 ottobre 2011, non era stata ancora depositata.
Altro procedimento (n. 7665/08) è stato avviato nei confronti dei vertici della Coopersalento Spa e del direttore della Coopersalento di Maglie per l'attività di coincenerimento di rifiuto con recupero di energia, a mezzo di un impianto della potenza di 11 megawatt.
Il procedimento è stato avviato a seguito di accertamenti dell'Arpa che aveva verificato il ripetuto superamento delle emissioni di diossina, sicché la provincia di Lecce aveva provveduto a sospendere le autorizzazioni per l'esercizio in procedura semplificata e a rigettare la richiesta di autorizzazione all'esercizio dell'impianto in procedura ordinaria.
L'emissione di diossina accertata dall'Arpa, in una prima misurazione, effettuata però in assenza di contraddittorio, superava di quattrocento volte il limite consentito.
Questa prima misurazione, inutilizzabile processualmente, è stata seguita da ulteriori prelievi, seguiti da analisi effettuate in contraddittorio fra le parti, che hanno confermato che i livelli di diossina sono stati superiori da due a otto volte rispetto a quelli limite fissati dalla legge.
È stata disposta una consulenza tecnica dalla quale emergeva come in realtà l'impianto in funzione fosse diverso da quello originariamente autorizzato. Quindi, trattandosi di impianto non autorizzato sin dall'origine, non avrebbe potuto usufruire delle procedure semplificate e comunque non avrebbe potuto essere utilizzato come un impianto di coincenerimento.
L'impianto è stato sottoposto a sequestro preventivo e recentemente la società, su sua richiesta, è stata autorizzata ad eseguire sotto
II.1.3.5 Le infiltrazioni della criminalità organizzata nel ciclo dei rifiuti
Nella nota (26) inviata nel mese di luglio 2010 il procuratore della Repubblica di Lecce, Cataldo Motta, ha evidenziato il procedimento a carico di Rosafio Rocco più trentacinque, tutti imputati del reato di traffico illecito di rifiuti, aggravato dall'articolo 7 del decreto-legge n. 152 del 1991.
La condotta contestata è quella di avere gestito un traffico illecito di rifiuti, attraverso l'allestimento di mezzi ed attività continuative organizzate dirette ad un sistematico smaltimento di rifiuti pericolosi e non pericolosi.
In particolare, il gruppo «Rosafio» - attraverso le imprese «Rosafio Rocco servizi ambientali» e «Rosafio Srl» esercenti l'attività di smaltimento e depurazione delle acque di scarico e attività affini - gestiva ingenti quantitativi di rifiuti liquidi (anche pericolosi) che venivano trasportati presso gli impianti di depurazione di Corsano, Presicce, Melendugno, Galatina, Taurisano e presso la discarica di rsu Monteco di Ugento. Venivano poi effettuati scarichi di rifiuti liquidi in aperta campagna, su strade di pubblico transito, con smaltimento degli stessi all'interno della discarica Monteco di Ugento (non autorizzata alla ricezione di rifiuti liquidi) e in una vasca interrata posta all'interno di immobili di proprietà dei Rosafio, dotata di un pozzo di uscita che consentiva lo sversamento dei liquidi direttamente nella falda acquifera sottostante. Il tutto utilizzando documenti di trasporto falsamente compilati e avvalendosi, il Rosafio Luigi, delle condizioni di cui all'articolo 416-bis del codice penale «in virtù della sua stretta parentela con Giuseppe Scarlino, detto Pippi Calamita, notoriamente appartenente all'associazione di tipo mafioso comunemente denominata sacra corona unita con il ruolo di capozona (avendone sposato la figlia Luce Tiziana Scarlino) al cui nome faceva spesso riferimento nei rapporti con i concorrenti esercenti analoga attività al fine di intimidirli, nonché in virtù della condizione di assoggettamento di tali concorrenti, conseguita anche attraverso intimidazioni diffuse, comportamenti prevaricatori e rapporti di corruttela con le locali forze di polizia che gli consentivano di impedire il libero dispiegarsi delle attività concorrenziali con interventi strumentalmente sanzionatori e di realizzare così condizioni di sostanziale monopolio».
Il tribunale penale di Lecce, con sentenza n. 589 del 5 ottobre 2009, ha sostanzialmente confermato l'impianto accusatorio, ma ha escluso la sussistenza dell'aggravante di cui all'articolo 7 del decreto legge n. 152 del 1991.
Si può dunque affermare che la contestata circostanza aggravante non sussiste, non avendo Rosafio Gianluigi posto in essere condotte intimidatorie concretamente evocatrici dell'assoggettamento e dell'omertà
Ebbene, dopo avere richiamato e analizzato criticamente tutte le deposizioni rilevanti, la corte ha concluso nel senso che il clima di intimidazione sussistente tra gli autotrasportatori certamente derivava non dal timore delle reazioni violente del Rosafio o delle aggressioni fisiche che questi poneva in essere, bensì da un diverso tipo di minaccia implicita, promanante non da capacità criminali proprie del predetto ma dall'essere egli il rappresentante di un potere la cui efferatezza era ben presente alla memoria degli abitanti di quel territorio.
La sentenza sopra menzionata è di particolare importanza perché, sebbene i fatti contestati si riferiscano agli anni 2002 e 2003, vi è implicitamente il riconoscimento dell'esistenza di clan mafiosi riconducibili alla sacra corona unita e l'utilizzo del metodo mafioso per il controllo del settore dei rifiuti, realizzando una sorta di monopolio di fatto, basato sulla disponibilità di mezzi e sulla possibilità di praticare prezzi concorrenziali in ragione delle modalità illecite dello smaltimento.
Peraltro, come evidenziato nella documentazione inviata dal prefetto di Lecce, sono in corso accertamenti finalizzati a verificare se permangano i condizionamenti dei clan di stampo mafioso nel settore dei rifiuti attraverso società apparentemente riferibili ad altri soggetti.
Anche il questore di Lecce ha fatto riferimento agli approfondimenti investigativi in corso in merito alla presenza, negli organici di talune aziende di raccolta dei rifiuti, di soggetti gravati da pregiudizi penali.
La caratura criminale di alcuni di essi si traduce a volte in una vera e propria ingerenza sulle dinamiche aziendali, specie nella gestione e controllo delle risorse organiche.
II.2 La provincia di Taranto
Premessa
L'approfondimento relativo alla provincia di Taranto è stato effettuato dalla Commissione mediante l'audizione di numerosi soggetti nel corso della missione svoltasi dal 14 al 16 settembre 2010, durante la quale sono stati inoltre acquisiti numerosi documenti prodotti dagli auditi. Nel corso della suddetta missione la Commissione ha effettuato un sopralluogo presso gli stabilimenti Ilva e Cementir.
Le problematiche concernenti la provincia di Taranto possono essere riassunte come segue:
elevata concentrazione sul territorio provinciale di imponenti complessi industriali che negli anni hanno pesantemente influito sul contesto ambientale e sanitario, senza che siano state avviate efficaci opere di caratterizzazione e di bonifica. La gravità della situazione è emersa, in particolare, nel corso delle indagini avviate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Taranto, nel corso delle quali sono stati effettuati accertamenti dai quali emerge l'esistenza di una situazione di grave allarme ambientale e sanitario che ha determinato il procuratore a sollecitare l'intervento dell'amministrazione centrale (oltre che delle amministrazioni locali);
problemi connessi alla presenza di discariche che, in alcuni casi, sono state abbandonate nella fase post mortem (discarica Li Cicci), in altri pregiudicano le normali condizioni di vita delle popolazioni dei paesi limitrofi a causa delle forti esalazioni odorifere;
solo di recente è stato istituito nella provincia di Taranto un registro dei tumori, benché si tratti di un territorio particolarmente a rischio proprio per l'elevato carico inquinante concentrato nella zona; la procura di Taranto sta effettuando accertamenti epidemiologici nel territorio intorno all'Ilva al fine di verificare quanto incida il carico inquinante proveniente dagli stabilimenti industriali sulla salute della popolazione;
gli Ato non hanno ancora individuato il gestore unico e procedono attraverso affidamenti singoli e temporanei che, com'è facile intuire, rendono più agevole il condizionamento da parte della criminalità organizzata;
la raccolta differenziata si attesta su livelli bassissimi in quanto gli Ato non sono riusciti fino ad oggi a incidere in alcun modo sul suo avvio secondo criteri omogenei su tutto il territorio provinciale;
con riferimento alle infiltrazioni della criminalità organizzata nel ciclo dei rifiuti, il fenomeno maggiormente significativo è quello riconducibile al traffico transfrontaliero dei rifiuti (in particolare plastici ed elettronici) che transitano dal porto di Taranto. Si tratta di un traffico che coinvolge diversi Paesi e che, evidentemente, si fonda su meccanismi ampiamente collaudati che vedono come protagoniste organizzazioni criminali radicate nei diversi Paesi interessati.
II.2.1 La gestione del ciclo dei rifiuti nella provincia di Taranto
Sul tema sono state fornite importanti indicazioni dal prefetto e dal presidente della provincia di Taranto.
In data 15 settembre 2010 la Commissione ha audito il presidente della provincia di Taranto, Giovanni Florido, il quale ha rappresentato in sintesi la situazione relativa al ciclo dei rifiuti.
Nella provincia sono stati costituiti due ambiti territoriali: Ato TA/1 e Ato TA/3. Nel primo ambito territoriale, Ato TA/1, che comprende la città di Taranto, il ciclo dei rifiuti risulta chiuso; vi sono due impianti di incenerimento, un termodistruttore e un termovalorizzatore di vecchia generazione, di proprietà dell'azienda di rifiuti solidi urbani della città di Taranto. Il presidente della provincia, con riferimento a quest'ultimo impianto, ha segnalato un problema relativo al rilascio dell'autorizzazione Aia, ma si tratterebbe comunque di un impianto operante, autorizzato dal commissario per l'emergenza rifiuti, impianto che, unitamente a quello di Massafra (Cisa), consente la chiusura del ciclo. Ha inoltre precisato che il costo medio di smaltimento di questo bacino è di 100 euro per tonnellata.
Nel secondo ambito territoriale, che comprende il versante orientale della provincia di Taranto, il ciclo dei rifiuti non risulta chiuso, perché non vi è produzione di cdr compatibile con il termovalorizzatore di Massafra e quindi tutti i rifiuti vengono conferiti in discarica tal quali in evidente contrasto con i dettami della legislazione nazionale ed europea.
Questa situazione, ovviamente, crea dei problemi in relazione alla capienza della discarica, tanto che la società Manduriambiente Spa (azienda che gestisce la discarica di servizio al bacino TA/3) ha inoltrato una domanda di ampliamento mediante sopralzo della quota massima di conferimento. Allo stato, però, almeno fino alla data dell'audizione, la provincia non ha autorizzato tale operazione in quanto ne risulterebbe un impatto cumulativo ambientale troppo rilevante rispetto alla collocazione della discarica, essendo questa vicina ad altre discariche, che peraltro presentano problemi gravissimi di gestione nella fase post-mortem.
In sostanza, uno dei principali problemi è rappresentato dal fatto che la Manduriambiente SpA non è in grado di produrre cdr adeguato per il conferimento al termovalorizzatore di Massafra e, conseguentemente, una parte dei rifiuti non può, come sarebbe stato coerente e logico, essere smaltita tramite incenerimento.
Il prefetto, nel corso dell'audizione, ha evidenziato che la situazione dei rifiuti in provincia di Taranto non ha carattere emergenziale e ha dichiarato: «in ogni caso, ribadisco che non ci viene prospettata una situazione di tipo emergenziale: al contrario, la prossima approvazione di questo piano provinciale dovrebbe sbloccare quella che fino a ora è stata una certa inattività degli Ato, quindi gli ambiti ottimali di zona che sono due, uno che comprende Taranto città e la parte occidentale, e l'altro che riguarda la zona orientale. Non hanno operato, soprattutto, per quanto riguarda la ricerca del gestore unico tramite gara, così com'era nelle previsioni. I comuni, nell'attesa che si chiarisse questo quadro amministrativo, hanno continuato con
II.2.1.1 Piano provinciale ed impiantistica
Il presidente Florido ha sottolineato come la provincia di Taranto sia dotata del piano provinciale dei rifiuti urbani, del quale è stata prodotta una copia, in sede di audizione, accompagnata da una nota esplicativa (27).
La proposta di piano provinciale di gestione dei rifiuti urbani adottata dalla provincia di Taranto con delibera del consiglio provinciale n. 23 del 22 aprile 2009 è stata sottoposta alle procedure di valutazione ambientale strategica (VAS) e ha acquisito il parere motivato della regione Puglia, che consentirà quindi di completare la fase di redazione del piano e la definitiva approvazione.
Per quanto riguarda il ciclo dei rifiuti urbani, le due autorità d'ambito si sono dotate di propri piani d'ambito.
La dotazione impiantistica del ciclo dei rifiuti urbani è costituita:
per l'Ato TA/1 dall'impianto complesso con discarica di soccorso di Cisa Spa e dall'impianto di incenerimento e compostaggio/biostabilizzazione di Amiu Spa;
per l'Ato TA/3 dall'impianto di discarica, in attesa di interventi di adeguamento, da parte di Manduriambiente Spa.
La provincia dispone, inoltre, di tre impianti di compostaggio, uno di proprietà della Aseco-AQP a Ginosa, dove l'acquedotto pugliese tratta i fanghi che utilizza per la depurazione dei suoi impianti.
Un secondo impianto, di piccole dimensioni, si trova sulla strada statale Manduria-San Cosimo ed è gestito dalla società Eden 94 Srl.
Il terzo impianto - in relazione al quale originariamente vi sono state proteste da parte della popolazione - è gestito dalla società Progeva Srl. Si tratta di un impianto nuovo sul quale la mediazione della provincia è servita a dirimere la controversia tra la cittadinanza e il titolare dell'impresa, sorta perché i cittadini lamentavano come gli odori prodotti dall'impianto superassero ampiamente i limiti della normale tollerabilità. I problemi sono stati però superati grazie all'intesa raggiunta tra l'amministrazione comunale e i comitati di cittadini sorti in quel contesto. La Progeva ha effettuato rilevanti investimenti impiantistici e dunque le problematiche connesse alla gestione dell'impianto, secondo quanto riferito dal presidente della provincia, sono state risolte.
Per quanto riguarda i rifiuti speciali, in provincia vi sono tre discariche e tutte e tre hanno ricevuto un'autorizzazione Aia regionale; l'azienda Ecolevante ultimamente ha presentato un progetto per la trasformazione del percolato in acque di utilizzo per i fini possibili.
II.2.1.3 La raccolta differenziata
Secondo quanto dichiarato dal presidente della provincia, la raccolta differenziata si attesta su livelli bassissimi in quanto gli Ato non sono riusciti fino ad oggi a incidere in alcun modo sul suo avvio secondo criteri omogenei su tutto il territorio provinciale.
Alcuni comuni si sono organizzati in autonomia, ma il tutto è dipeso dalla buona volontà dei singoli sindaci e non da una politica unitaria.
Il presidente Florido, ottimisticamente, ha dichiarato che grazie ai piani d'ambito e al piano provinciale, nell'immediato futuro sarà possibile avviare con maggiore decisione e impulso la raccolta differenziata.
In termini percentuali il comune di Taranto, ha affermato il sindaco, si attesta su livelli corrispondenti al 10 per cento; alcuni comuni hanno raggiunto livelli pari al 23-25 per cento, mentre altri si sono fermati su percentuali oscillanti tra il 3 per cento e il 10 per cento.
Se dovessero permanere questi livelli di raccolta differenziata le discariche andranno ad esaurirsi entro il 2016, con gravi problemi per il territorio, mentre se si riuscissero a raggiungere i livelli indicati nei due piani d'ambito, la capienza delle discariche potrebbe essere sufficiente per il doppio del tempo.
II.2.1.3 Le problematiche connesse alle discariche
In sintesi, si riportano in questa sede, salvo i successivi approfondimenti, alcune delle problematiche che hanno interessato discariche dislocate sul territorio della provincia di Taranto.
Per quanto riguarda la discarica gestita da Italcave Spa, in passato era stato avviato un procedimento per abuso d'ufficio a carico di amministratori pubblici e dei privati gestori della discarica in relazione alla presunta gestione della stessa in assenza della necessaria autorizzazione. Nel gennaio del 2008 il Gup presso il tribunale di Taranto, in sede di giudizio abbreviato, ha emesso una sentenza di assoluzione «perché il fatto non sussiste», mentre è stata emessa sentenza di condanna con riferimento al reato di cui all'articolo 674 del codice penale, in relazione alla mancata adozione di misure atte a scongiurare l'emissione di gas maleodoranti superiori ai limiti della normale tollerabilità.
La discarica Vergine, nell'implementare recentemente la propria attività, sta cercando di attuare, si legge nella nota della prefettura (28) una particolare attenzione al recupero dei rifiuto; starebbe infatti per realizzare una piattaforma polifunzionale per il trattamento di rifiuti speciali non pericolosi con annessa discarica ove si svolgeranno attività di recupero e condizionamento dei rifiuti non pericolosi attraverso la selezione, la cernita, l'adeguamento volumetrico, l'inertizzazione e lo stoccaggio preliminare dei rifiuti e dei materiali
II.2.1.4 La discarica Li Cicci e la discarica gestita dalla società Manduriambiente Spa
Nel corso della missione della Commissione del 14-16 settembre 2010 sono state affrontate le problematiche che interessano il comune di Manduria e i comuni limitrofi, in quanto su quel territorio insistono due discariche: una, la discarica Li Cicci, in stato di completo abbandono e utilizzata come discarica abusiva da ignoti, stante l'inadeguatezza dei controlli; l'altra, la discarica gestita da Manduriambiente, a breve risulterà insufficiente a ricevere i rifiuti del bacino di riferimento, sicché è stata richiesta l'autorizzazione per il rialzo della quota massima di conferimento dei rifiuti.
Le due questioni sopra evidenziate hanno provocato la netta presa di posizione dei cittadini e delle associazioni ambientalistiche che rivendicano il diritto alla bonifica, sempre più urgente, della discarica Li Cicci e che si oppongono fermamente all'ampliamento della discarica di Manduriambiente che andrebbe a gravare su un territorio già compromesso anche in termini di contesto sociale.
In data 15 settembre 2010 è stato audito dalla Commissione presso la prefettura di Taranto il sindaco di Manduria, il quale ha prodotto il documento «Relazione del dirigente dell'Area Tecnica, Antonio Pescatore, concernente la discarica per rifiuti urbani, località Li Cicci nel comune di Manduria» (29).
II.2.1.4.1 Le dichiarazioni rese dal sindaco di Manduria
Nel corso dell'audizione svoltasi il 15 settembre 2010 presso la prefettura di Taranto, il sindaco di Manduria, Paolo Tommasino, ha sottolineato come le ricerche per individuare le società che hanno gestito la discarica (i soggetti responsabili delle attività di bonifica ai sensi della normativa vigente) sono risultate vane.
Anche l'Arpa ha accertato l'esistenza di un grave pericolo ambientale, connesso allo stato di totale abbandono della discarica. Nella nota prodotta dall'Arpa Puglia (31) viene infatti evidenziato lo stato di grave incuria della discarica «il cui accesso risultava sì custodito, ma con varchi nella recinzione che, nel tempo, hanno determinato atti vandalici nei confronti delle strutture. Nel sito erano presenti cumuli di rifiuti quali pneumatici, evidentemente depositati dopo la chiusura della discarica e si riscontrava l'assenza di sistemi di convogliamento e raccolta delle acque piovane, nonché lesioni in più punti dei teli in polietilene ad alta densità (HDPE)». Anche il direttore scientifico dell'Arpa Puglia, Massimo Blonda, ha poi dichiarato che la discarica di Manduria in località Li Cicci si trova in una situazione molto grave: «Abbiamo riscontrato due rischi. Uno è dovuto alla postgestione non condotta in maniera corretta, in quanto c'è un'evidente lesione ai teli di copertura e manca del tutto il sistema di raccolta e di gestione delle acque meteoriche. In più però - e credo che questo possa rappresentare il problema maggiore - essendo l'area incustodita e riconosciuta socialmente come area di deposito e di abbandono di rifiuti, essa viene, oltre che vandalizzata, utilizzata anche come discarica abusiva. Continua, quindi, il fenomeno di deposito nell'area. Noi l'abbiamo segnalato, ma purtroppo non abbiamo altre competenze se non quelle di segnalare e relazionare all'autorità competente sui sopralluoghi che svolgiamo. A quanto ci risulta la situazione non si è sbloccata».
Nel mese di ottobre 2009 analoghi accertamenti sono stati condotti dalla polizia provinciale che aveva verificato che «la discarica si trovava in condizioni disastrose, versava in stato di abbandono e di saccheggio da parte di ignoti al punto da costituire un serio pericolo per la pubblica incolumità».
Il sindaco ha inoltre precisato che nessuno si occupa di eliminare il percolato che, essendo stato lasciato in loco, tenuto conto delle caratteristiche geologiche e idrogeologiche dell'area, molto probabilmente avrà contaminato le acque sotterranee.
II.2.1.5 La discarica gestita dalla società Vergine Spa
II.2.1.5.1 Le dichiarazioni rese dai sindaci di Fagiano, Monteparano e Lizzano
Nel corso della prima missione in Puglia (settembre 2010) sono stati auditi i sindaci di Fagiano, Mimmo Sgobba, di Monteparano, Cosimo Birardi, e di Lizzano, Dario Maria Fortunato Macripò, i quali hanno rappresentato alla Commissione la situazione drammatica del loro territorio.
II.2.1.5.2 Dichiarazioni rese dai dirigenti dell'Arpa
Sul punto sono stati auditi il direttore generale, Giorgio Assennato, e il direttore scientifico dell'Arpa Puglia, Massimo Blonda.
In particolare il dottor Blonda ha precisato che la discarica Vergine è costantemente monitorata, proprio in esecuzione delle attività che l'Arpa è obbligata a svolgere per il piano di monitoraggio della stessa ed è fra le discariche più controllate proprio per le emissioni odorifere.
Certo, sin d'ora si osserva come la discarica Vergine sia stata interessata da indagini nell'ambito delle quali sono stati acquisiti elementi di prova circa traffici transregionali dei rifiuti, con il conferimento di rifiuti diversi da quelli autorizzati. Meraviglia dunque che un controllo così «serrato» della discarica abbia lasciato aperte maglie così larghe da consentire traffici di tal fatta per un periodo di tempo consistente (come si preciserà nel paragrafo relativo alle indagini giudiziarie sulla discarica Vergine).
L'attività di controllo delle emissioni odorifere, ha precisato il dottor Blonda, risente di un limite normativo, in quanto in Italia non esiste una normativa di riferimento con limiti ben precisi per quanto attiene alle concentrazioni dei composti osmogeni. Quindi, seppure vengano rilevati in alcuni casi superamenti anche significativi delle soglie olfattive per alcuni composti, come l'idrogeno solforato e il limolene, non possono essere adottati atti amministrativi che possano consentire di giungere a una soluzione.
È stato poi affrontato il problema relativo alla possibile riconducibilità delle forti esalazioni al conferimento in discarica di rifiuti diversi da quelli autorizzati. Il dottor Blonda ha risposto in termini molto chiari: «Assolutamente no. A noi non risulta che vengano conferiti rifiuti differenti dalle tipologie autorizzate. Comunque quelle tipologie di rifiuto determinano le emissioni di sostanze osmogene, ivi comprese tutte le sostanze dello zolfo ridotto, che sono diverse e hanno una soglia di percezione dell'olfatto umano molto bassa, ragion per cui bastano piccole concentrazioni per essere rilevate, sia altri composti, quindi composti organici volatili e ammine. Sono composti che possono essere emessi dalle discariche, ma a due condizioni. In una condizione di non perfetta conduzione del processo e della coltivazione della discarica ovviamente l'effetto emissivo è maggiore, tant'è vero che noi, non potendo agire giuridicamente sul fattore emissivo in sé, quando rileviamo questi - chiamiamoli così - superamenti della soglia di percezione olfattiva, interveniamo immediatamente sulla discarica con un monitoraggio dell'attività di coltivazione. Laddove riscontriamo che possano essere compiute azioni di conduzione che migliorino la situazione, ovvero riducano le emissioni,
II.2.1.5.3 Dichiarazioni rese dalla dottoressa Antonietta Doria, pediatra presso il comune di Lizzano
È stata sentita in sede di audizione la dottoressa Antonietta Doria, pediatra presso il comune di Lizzano.
La dottoressa ha evidenziato di avere riscontrato alcune patologie particolari nei bambini, patologie che potrebbero essere ricollegate a una non corretta gestione della discarica Vergine e al fatto che nella discarica possano essere stati sversati rifiuti speciali pericolosi non autorizzati, che hanno influito nella genesi di alcune patologie.
Si sono registrati diversi casi di ipotiroidismo congenito e malattie respiratorie nei bambini sotto i cinque anni. I dati del comune di Lizzano pare che combacino con quelli relativi ai bambini di Taranto che vivono vicino all'Ilva.
La dottoressa ha inviato una lettera al Noe di Lecce con cui ha segnalato la situazione, evidenziando come dalla discarica Vergine emanino odori non riconducibili a quelli che normalmente emanano da una discarica.
Si riportano integralmente le dichiarazioni della dottoressa Antonietta Doria, che appaiono significative in quanto rese da una professionista che opera sul territorio da diversi anni e che ha, conseguentemente, una visione ampia delle patologie maggiormente ricorrenti nei bambini che vivono nella città di Lizzano e nei dintorni:
«Da venti anni lavoro come pediatra presso il comune di Lizzano e negli ultimi anni ho portato in giro per l'Italia casi particolari di malattie rare, casi esemplari di patologie di cui tutti i colleghi si meravigliavano, giacché Lizzano ha 9mila abitanti e il mio riferimento sono 900 bambini tra 0 e 14 anni. Ho quindi rilevato e diffuso sia a
La testimonianza della dottoressa può e deve rappresentare un punto di partenza per ulteriori indispensabili studi epidemiologici che
II.2.1.5.4 Le associazioni ambientaliste
Nel corso della missione a Taranto è stato dato ampio spazio alle dichiarazioni di alcune associazioni ambientaliste.
L'associazione «Taranto libera», rappresentata nel corso dell'audizione da Gino Palombella, ha sottolineato l'esistenza di un inquinamento dovuto alla presenza di grossi complessi industriali, ai quali si sono aggiunte diverse discariche per rifiuti pericolosi e non, che hanno verosimilmente determinato una maggiore incidenza di determinate patologie nella popolazione.
È stato affrontato il problema, da più parti sollevato, relativo alla discarica sita nel tarantino e gestita dalla società Vergine per i cattivi odori che esalano dalla discarica medesima e in relazione alla quale vi sono state e vi sono tuttora indagini da parte della magistratura.
Ha inoltre aggiunto che «oltre al disagio dovuto al cattivo odore si riscontrano malattie strane nella popolazione, in particolare nel paese di Lizzano. A questo riguardo non abbiamo dati precisi: bisognerebbe condurre studi medici epidemiologici più precisi che l'Asl ancora non è attrezzata ad effettuare per i paesi più piccoli e non effettua neanche per città grandi come Taranto (...). Desidero portare all'attenzione della Commissione il problema delle discariche in generale ma in particolare della discarica Vergine, anche se non sussistono aspetti penalmente rilevanti. Come comitato «Taranto libera» auspichiamo una sorta di moratoria perché la discarica Vergine ha chiesto recentemente alla regione la possibilità di conferire una quantità di materiale maggiore rispetto a quella attuale. Non si tratta pertanto di un ampliamento fisico della discarica ma di un aumento della quantità di rifiuti, con una tipologia di rifiuti speciali ancora più grave. In attesa quindi di studi sia di tipo sanitario, sia di tipo ambientale rispetto agli inquinanti chiederemmo maggiori controlli».
Effettivamente pare assurdo che in una provincia, come quella di Taranto, nella quale vi sono rilevanti problemi ambientali legati alla presenza di grossi complessi industriali, nonché di numerose discariche, non sia stato istituito tempestivamente il registro dei tumori, idoneo a monitorare gli effetti sulla salute umana dell'esposizione a determinate sostanze, maggiormente concentrate in quella zona.
Anche i rappresentanti dell'associazione Altamarea hanno sottolineato le problematiche connesse alle discariche, alla sistematica violazione del principio di prossimità, nel senso che le discariche regionali vengono sistematicamente utilizzate per ricevere rifiuti provenienti da altre regioni (questo tema verrà approfondito più dettagliatamente nella parte quarta della relazione), alla mancanza di adeguati controlli. È stata inoltre affrontata la questione relativa alla discarica Mater Gratiae, all'interno dell'area dello stabilimento Ilva (di cui si tratterà nel prosieguo della relazione).
II.2.1.6 Le indagini relative alla discarica Vergine e il traffico transregionale dei rifiuti (Indagini effettuate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Milano e dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Lanciano)
A seguito di esplicita richiesta da parte di questa Commissione d'inchiesta, la procura di Taranto ha fornito informazioni in merito all'eventuale pendenza di procedimenti relativamente alla discarica gestita dalla società Vergine Spa.
Nella nota del 3 novembre 2011 (32) a firma del procuratore aggiunto presso la procura di Taranto si legge che «non risulta allo scrivente l'esistenza di indagini concernenti traffico illecito di rifiuti in relazione alla discarica gestita dalla Spa "Vergine". Sono in corso accertamenti tesi a verificare la possibile violazione dell'articolo 256, comma 4, del decreto legislativo n. 152 del 2006 nell'ambito della gestione della predetta discarica. Circa la problematica attinente alle emissioni odorifere moleste dall'impianto in esame, segnalo il procedimento n. 3353/2010 mod. 44, allo stato pendente con indagini in corso».
Tuttavia sono state acquisite dalla Commissione importanti informazioni in merito a procedimenti concernenti il traffico illecito di rifiuti condotti da diversi uffici giudiziari, non ricompresi nel distretto di Lecce e di Bari, concernenti anche la discarica «Vergine» e la discarica «Ecolevante».
Con riferimento alla discarica «Vergine» è stata svolta recentemente una corposa indagine dal Noe dei Carabinieri di Perugia, coordinati dalla dottoressa Rosaria Vecchi, sostituto procuratore presso la procura di Lanciano (procedimento penale n. 1456/08 R.G.N.R.).
Gli accertamenti espletati hanno consentito di dimostrare (almeno nella fase processuale in corso) che presso la discarica gestita dalla società Vergine s.r.l. (ora Spa) - ubicata in Taranto località Mennole-Palombara, di cui è amministratore unico Ciervo Paolo - venivano illecitamente smaltiti rifiuti recanti il falso codice CER 19.12.12, provenienti da un'azienda abruzzese di gestione di rifiuti speciali pericolosi e non, ditta Di Florio s.r.l. (ora New Deal s.r.l.) - corrente in Lanciano località Cerratina.
In sostanza, secondo l'impostazione accusatoria, quest'ultima società ha avuto la possibilità, per un consistente periodo di tempo e con la complicità dei responsabili della discarica «Vergine» di smaltire i suoi rifiuti attribuendo agli stessi il falso codice CER 19.12.12 (altri rifiuti, compresi materiali misti, prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti, diversi da quelli di cui alla voce 19.12.11), al fine di ottenere una consistente riduzione dell'ecotassa, attestando che gli stessi provenivano da impianti di selezione automatica.
In realtà, grazie a una serie di controlli effettuati sui mezzi che trasportavano i rifiuti provenienti dall'impianto abruzzese e diretti alla discarica Vergine, due dipartimenti Arpa differenti (Arpa Abruzzo
Segnatamente: Di Florio, Di Paolo e Fassone - promotori e organizzatori dell'associazione - attraverso una complessa e articolata rete di falsificazione di formulari e di certificati di analisi, resa possibile dall'ausilio del personale dipendente, degli addetti all'autotrasporto, nonché del chimico Cocca e dei responsabili degli impianti di destinazione o di smaltimento dei rifiuti, ricevevano da soggetti produttori ingenti quantitativi di rifiuti di varia tipologia e anziché trattarli e smaltirli a norma di legge, li inviavano a impianti di smaltimento finale o di trattamento compiacenti (Ecologica Sangro, Vergine, Macero Maceratese) con certificati di analisi e FIR falsi, attribuendo loro un codice CER diverso da quello reale, corrispondete nella maggior parte dei casi al CER 19.12.12 in frode all'ecotassa; il
L'indagine sopra menzionata appare particolarmente importante in quanto nell'ambito di essa sono stati raccolti elementi di prova in forza dei quali risulterebbe dimostrato, allo stato, come presso la discarica Vergine venissero smaltiti rifiuti aventi caratteristiche diverse da quelle risultanti documentalmente.
Non è dunque peregrina l'idea che le esalazioni particolarmente moleste possano essere ricondotte al conferimento di rifiuti diversi da quelli autorizzati.
Peraltro, ancora prima delle indagini avviate dalla procura della Repubblica di Lanciano, la procura della Repubblica presso il tribunale di Milano aveva indagato in merito a un traffico illecito di rifiuti che dal nord venivano fatti confluire nelle regioni del sud, compresa la Puglia.
La procura della Repubblica presso il tribunale di Milano ha condotto un'indagine concernente attività continuate di traffico illecito di rifiuti che venivano smaltiti in vari siti, tra cui le discariche pugliesi «Ecolevante» e «Vergine».
Il processo si è concluso con sentenze di condanna nei confronti degli imputati, alcuni dei quali condannati in sede di giudizio abbreviato con sentenza emessa dal Gup dottor Simone Luerti, altri dal tribunale collegiale di Milano (le sentenze risultano essere state sostanzialmente confermate anche all'esito del giudizio in Cassazione).
Come è stato sottolineato nell'incipit della sentenza emessa dal dottor Luerti, le indagini si sono sviluppate a larghissimo raggio, mettendo in luce un vasto traffico illecito di rifiuti, che ha coinvolto un elevato numero di soggetti, tutti a diverso titolo appartenenti al settore dei servizi ecologici, e soprattutto gravitante intorno alla società La Lombarda Spa dei fratelli Accarino, corrente in Fagnano Olona (VA).
Gli importanti risultati probatori sono stati realizzati grazie a una serrata attività investigativa che si è avvalsa di strumenti di ricerca della prova, quali le intercettazioni, che hanno consentito agli investigatori di andare oltre il dato meramente formale della documentazione di accompagnamento dei rifiuti.
Si legge nella sentenza: «In via generale, è appena il caso di osservare, prima di entrare nel merito delle imputazioni e delle prove, che l'indagine ha avuto il grande pregio di riuscire a superare lo schermo formale delle autorizzazioni e della documentazione di accompagnamento della circolazione dei rifiuti, mostrando la realtà illegale sottostante. Specialmente grazie alle intercettazioni telefoniche, consentite dalla contestazione del delitto di cui all'articolo 53-bis del decreto legislativo n. 22 del 1997, l'indagine ha ottenuto risultati altrimenti insperati, atteso che la meticolosa disciplina in materia di rifiuti, da un lato, impone una serie di obblighi formali e strumentali alla corretta gestione degli stessi; ma dall'altro consente di costruire un "mondo di carta" che nulla ha a che fare con la corretta e legale circolazione dei materiali di scarto».
La regione Campania si trovava e si trova tuttora in emergenza rifiuti, a causa della cronica insufficienza o mancanza di adeguati impianti di recupero, smaltimento o di termovalorizzazione; la situazione era affidata al commissario straordinario per l'emergenza, che si avvaleva della società interamente pubblica Pomigliano ambiente per la gestione degli impianti mobili come quello importantissimo di Giffoni Valle Piana (SA), in cui confluivano tra gli altri i rifiuti urbani della città di Napoli; l'impianto sottoponeva i rifiuti urbani ad un primo trattamento meccanico denominato tritovagliatura e successivamente destinava le frazioni secca e umida ad altri impianti in esecuzione di contratti di appalto, assegnando all'origine il codice identificativo CER 19.12.12, tanto alla frazione umida quanto a quella secca, che qui interessa; uno dei contraenti era la società Sineco Srl di Cavallari Pierpaolo, che come abbiamo visto per questa ragione occupava oggettivamente una posizione strategica nella circolazione dei rifiuti usciti da Giffoni. Successivamente, senza mutamento del codice CER (e su questo punto il capo di imputazione 10 contiene una indicazione inesatta, ma come vedremo non rilevante ai fini del decidere) i rifiuti meramente transitati dalla Sineco di Castenaso (BO) per mezzo dei camion del vettore Veca Sud di Ventrone, proseguivano il viaggio in direzione de La Lombarda Servizi Ecologici Srl della famiglia Accarino e, come abbiamo visto, dopo avere subito non un vero e proprio trattamento, né una vera e propria miscelazione, ma semplicemente un «rivestimento» di altro materiale industriale o naturale, venivano destinati ad impianti di compostaggio (procedimento naturale di recupero del materiale organico per destinarlo all'agricoltura e quindi del tutto incompatibile con le frazioni secche dei rifiuti solidi urbani) come la T.E.A. di Castelli Giuseppe a Fino Mornasco (CO) o la San Carlo di Pagliano Gino, ovvero in discariche quali la Ecolevante di Grottaglie (TA), la Vergine di Taranto e la T.E.A. di Mantova.
II.2.1.7 Verifiche olfattometriche presso la discarica Vergine
L'Arpa Puglia ha fornito alla Commissione alcune informazioni in merito ai controlli effettuati sulla discarica Vergine SpA, con particolare riferimento alle verifiche olfattometriche (34).
II.2.1.8 Le determinazioni assunte dall'amministrazione regionale in merito alla discarica Vergine
Va segnalato che risulta come l'amministrazione regionale nel mese di gennaio 2011 (articolo pubblicato su Repubblica.it) abbia diffidato la società Vergine Spa nei termini di seguito esposti dall'assessore Nicastro nel corso di una conferenza stampa «La regione - ha spiegato - in qualità di autorità competente, diffida la società Vergine al ripristino delle regolari condizioni di esercizio della discarica in località Palombara di Taranto e sospende l'autorizzazione integrata ambientale». L'Aia è precisato in una nota, è stata sospesa per adeguare l'attività della discarica. «È stata una misura cautelare - ha specificato Nicastro - con finalità di tutela dell'ambiente e della salute».
II.2.2 Gli insediamenti industriali nella provincia di Taranto
Premessa
Nel corso della prima missione in Puglia (settembre 2010), la Commissione ha avuto modo di approfondire la situazione concernente le emissioni provenienti dall'Ilva di Taranto e più in generale, l'inquinamento riconducibile, direttamente o indirettamente, all'attività dell'acciaieria e di tutta la zona industriale.
Gli approfondimenti sono stati effettuati sia attraverso le audizioni di coloro che operano nell'Ilva, dei magistrati della procura di Taranto e della polizia specializzata, sia attraverso un sopralluogo che la Commissione ha avuto modo di effettuare all'interno dello stabilimento.
Le problematiche affrontate hanno riguardato, in particolare:
le emissioni in atmosfera di diossina e il sistema di filtraggio dei fumi utilizzato dall'azienda; la problematica è stata affrontata anche con riferimento alle correlate attività di bonifica dei siti inquinati;
Di recente, nell'ambito del procedimento 4868/10 R.G.N.R., istruito dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Taranto, è stata depositata una perizia espletata nel corso di un incidente probatorio, i cui risultati sono stati definiti dal procuratore della Repubblica di Taranto «allarmanti».
Si tratta di un procedimento di particolare importanza in quanto affronta non soltanto l'aspetto prettamente tecnico delle emissioni in atmosfera, del conseguente inquinamento e delle modalità per porvi rimedio, ma anche le ripercussioni sulla salute umana e le patologie croniche riconducibili alle emissioni in oggetto.
Prima di entrare nel merito del procedimento summenzionato appare opportuno rendere conto delle dichiarazioni rese alla Commissione da coloro che sono stati auditi in merito alle emissioni provenienti dall'Ilva e all'inquinamento che ne è derivato.
Ci si trova di fronte a un'area altamente inquinata per ragioni allo stato non riconducibili univocamente a questo o a quell'altro fattore (dovendo evidentemente attendersi l'esito del processo in corso), rispetto alla quale risultano del tutto carenti le attività di bonifica o di messa in sicurezza a tutela dell'ambiente e della salute umana. Altrettanto carenti e non coordinati risultano i controlli istituzionali da parte degli enti di controllo centrali e locali.
Le complesse problematiche attinenti all'Ilva vengono in questa sede affrontate dando conto, in primo luogo, delle dichiarazioni rese dagli auditi alla Commissione nel mese di luglio 2010, prima ancora che venisse rilasciata l'Aia.
II.2.2.1 L'Ilva. Le dichiarazioni rese dal presidente della provincia e dal sindaco di Taranto
Il presidente Pecorella nel corso dell'audizione del 15 settembre 2010 ha posto alcune domande riguardanti l'Ilva sia per quanto riguarda le emissioni in atmosfera, sia per quanto riguarda la situazione esistente intorno all'area Ilva, dove vi sarebbe una contaminazione di diossina su un perimetro di venti chilometri.
Il presidente Florido ha risposto nei seguenti termini: «Intanto gli accordi fatti con regione, provincia, comune e con la grande impresa dovrebbero riguardare un nuovo sistema di captazione fumi delle acciaierie. Infatti, purtroppo succede che le acciaierie aprono quando i sistemi di filtraggio attuale vanno in difficoltà, perché altrimenti esploderebbero gli impianti. L'accordo prevede - e l'Ilva ha già preparato un impianto che dovrebbe essere pronto, ma c'è un'operazione completa sulle due acciaierie - un impianto di captazione aggiuntivo dei fumi di grandissime dimensioni. Parliamo di un investimento che c'è stato comunicato essere intorno ai cinquanta milioni di euro, che è nelle previsioni dell'atto d'intesa ultimo stipulato con la grande impresa.
II.2.2.1.1 Il parere espresso dall'istituto superiore di sanità relativo all'inquinamento da berillio e benzo(a)pirene sulla superficie del quartiere Tamburi di Taranto
La Commissione ha richiesto all'istituto superiore di sanità la trasmissione del parere summenzionato, di particolare importanza, in quanto avrebbe dovuto, teoricamente, fornire certezze in merito alle misure adottare per la tutela della salute umana.
È stato quindi trasmesso dall'istituto superiore di sanità un documento (35) avente ad oggetto una richiesta di parere in merito alla nota dell'Arpa Puglia sulle osservazioni in merito all'inquinamento da berillio e pcb della superficie del suolo del quartiere Tamburi di Taranto.
Secondo quanto si legge nell'intestazione del documento (datato 7 settembre 2010), così come evidenziato peraltro dalla lettura del contenuto del documento, si tratta di una sorta di «osservazioni» (quelle dell'istituto superiore di sanità) su altre «osservazioni» (quelle dell'Arpa).
Il parere, di appena tre pagine scarse, si riporta integralmente:
«Nel commentare i risultati ottenuti dai 39 campionamenti di suolo e riferendosi al solo suolo superficiale (121 campioni totali) si notano n. 9 superamenti per il berillio, compresi tra 2,01 e 2,95 mg/kg (CSC = 2 mg/kg) e n. 2 superamenti per i PCB, pari a 0,131 e 1,19 mg/kg (CSC = 0,06 mg/kg). Si ritiene che un valore di 2,01 mg/kg per il berillio rispetto ad una CSC di 2 mg/kg non debba essere considerato un superamento, così come un valore di 0,064 mg/kg per i PCB contro una CSC di 0,06 mg/kg.
Ebbene, sulla base di quanto riportato nel parere, un dato sembrerebbe dato per certo, ossia che gli effetti cancerogeni del berillio si esplicano esclusivamente per via inalatoria e che solo tale via di esposizione deve essere presa in considerazione nell'elaborazione dell'analisi di rischio (il che significa che si escludono effetti avversi per la salute connessi all'esposizione al berillio per contatto dermico o per qualsiasi altra via che non sia quella inalatoria).
Quanto al superamento dei valori di pcb ottenuti nel corso della caratterizzazione del quartiere Tamburi, i valori sono stati considerati come outlier e, nel peggiore dei casi, come hot spot.
È stato inoltre sottolineato come siano state accertate concentrazioni elevate di berillio anche in zone totalmente prive di insediamenti industriali.
Con riferimento alla prima questione si deve rilevare come non vi siano certezze scientifiche sulla questione in merito alla possibilità di escludere tutte le vie di esposizione, ad eccezione dell'inalazione, nella valutazione del rischio per la salute umana connesso al berillio.
In tal senso numerosi sono i riferimenti scientifici accreditati a livello internazionale (35-bis).
La letteratura scientifica non è univoca sul punto, quindi non è ben chiaro sulla base di quali elementi l'istituto superiore di sanità abbia escluso la pericolosità del berillio per ingestione o per contatto dermico.
II.2.2.2 Le dichiarazioni rese dal consigliere comunale di Statte, Aldo D'Ippolito e dal rappresentante di Legambiente, Leonardo Corvace
In data 15 settembre 2010, presso la prefettura di Taranto, è stato sentito il dottor Martino Tamburrano, consigliere comunale presso il comune di Statte.
Il comune di Statte è stato definito dallo stesso audito come il comune più inquinato della provincia di Taranto, in quanto sul suo territorio pare insistono quasi tutte le discariche della provincia ed anche alcune discariche dell'Ilva.
Sono stati richiesti dal consiglio comunale di Statte dei presidi permanenti dell'Arpa presso l'Ilva per monitorare costantemente la qualità e la quantità dei rifiuti gestiti; questo però non è avvenuto sebbene siano stati effettuati tre grossi sequestri da parte della Guardia di finanza, e uno di questi abbia riguardato un'area molto vasta dove sono stati stoccati i murali in legno smontati dalle ferrovie che pare contengano pvc (cfr. II.2.3).
II.2.2.3 Le associazioni ambientaliste
L'associazione Altamarea, rappresentata da Biagio De Marzio, ha presentato una serie di segnalazioni alle autorità nel corso degli anni, legate soprattutto alle gravi problematiche dei rifiuti provenienti dall'Ilva di Taranto.
Lo stabilimento dell'Ilva di Taranto all'epoca dell'audizione non era ancora munito dell'autorizzazione integrata ambientale.
Ciò è stato evidenziato nel corso dell'audizione. La Commissione ministeriale che è stata nominata per esaminare la situazione ha stilato un parere (di circa 600 pagine) che pare sia stato contestato duramente, oltre che dall'associazione Altamarea, anche dall'Arpa Puglia e dalla stessa Ilva. Il ministero dell'ambiente ha quindi restituito il parere alla Commissione con richiesta di riformularlo.
II.2.2.4 Le dichiarazioni rese dal direttore dello stabilimento dell'Ilva, Luigi Capogrosso, e del responsabile degli affari legali, Francesco Perli
La Commissione ha effettuato un sopralluogo presso lo stabilimento dell'Ilva ed ha sentito in sede di audizione il direttore dello stabilimento, Luigi Capogrosso, e il responsabile degli affari legali, Francesco Perli.
Nel corso dell'audizione sono stati affrontati alcuni importanti temi:
le politiche ambientali adottate dall'Ilva per il trattamento dei rifiuti industriali prodotti nello stabilimento di Taranto;
le misure adottate per il contenimento nella produzione dei rifiuti e il reimpiego nel processo produttivo di quelli riutilizzabili;
i rapporti dell'Ilva con le pubbliche amministrazioni in relazione ai permessi ed alle autorizzazioni richieste;
il piano di caratterizzazione effettuato dall'Ilva relativamente ai terreni su cui svolge la sua attività;
gli studi epidemiologici effettuati nell'area ricompresa nella città di Taranto.
Il direttore dello stabilimento Ilva, Luigi Capogrosso, ha precisato che le politiche ambientali dell'Ilva nell'ambito della gestione dei rifiuti si basano su diverse priorità. La prima è quella di massimizzare il recupero interno, sfruttando anche le caratteristiche del processo produttivo, che si presta a questo recupero.
Il 95 per cento di tutti i residui e i rifiuti che si producono nello stabilimento vengono nuovamente immessi nel circolo. Laddove ciò non sia possibile, il secondo livello consiste nel facilitare uno smaltimento con recupero all'esterno. Qualora non sia possibile recuperarlo tecnologicamente, l'altro livello è quello di smaltirlo nelle discariche interne di cui è dotato lo stabilimento.
Solo lo 0,3 per cento di quanto prodotto viene smaltito in discariche specializzate all'esterno.
Le più importanti misure adottate sono state esposte dal direttore dello stabilimento.
Con riferimento al terreno circostante l'Ilva, inquinato da diossina, gli auditi si sono espressi sottolineando come il terreno su cui insiste l'Ilva non sia contaminato.
L'area di Taranto, ha precisato l'avvocato Perli, è inserita su un sito di interesse nazionale. La perimetrazione è avvenuta con un decreto del 2000 del ministero dell'ambiente, come previsto dalla norma di legge, sul presupposto che il comparto industriale presentasse una grave situazione di inquinamento e fosse necessario un intervento generalizzato di bonifica.
Questo provvedimento è stato accompagnato da alcuni studi preliminari svolti dal ministero dell'ambiente attraverso l'Ispra e i vari organismi nazionali, in cui sono state evidenziate alcune situazioni di criticità, riconducibili al porto, al cantiere navale ed agli insediamenti industriali presenti sul territorio, compresa l'Ilva.
Nello studio viene evidenziata una situazione generalizzata di compromissione ambientale relativa al fatto che ci sono molto insediamenti urbani e lo stesso comune di Taranto ancora oggi non dotati di impianti di depurazione delle acque. Questa perimetrazione ricomprende sia porzioni di territorio di più comuni, oltre a Taranto, sia del mare.
Sulla base del predetto provvedimento, il Ministero dell'ambiente ha avviato un piano di caratterizzazione.
Nel 2003 il Ministero dell'ambiente ha chiesto a Ilva di effettuare un piano di caratterizzazione di tutta l'area dello stabilimento (ossia dell'area su cui insiste l'Ilva e non delle aree circostanti).
Il piano di caratterizzazione, sottolinea l'azienda, ha evidenziato come su 5.416 campionamenti effettuati solo tredici abbiano superato i limiti tabellari. Si tratta quindi di una percentuale assolutamente non significativa perché sono 15 milioni di metri quadrati (più del comune di Taranto).
Il piano di caratterizzazione, che è stato realizzato da una società di servizi ambientali con la quale l'Ilva ha contrattualizzato il rapporto, è stato validato dall'Arpa nel novembre del 2008.
Nel corso dell'audizione è stato prodotto un cd con il piano di caratterizzazione e la lettera di validazione dell'Arpa Puglia.
L'Ilva, è stato precisato nel corso delle audizioni, ha più volte impugnato davanti al Tar i provvedimenti del Ministero dell'ambiente con i quali gli si imponeva di effettuare la bonifica, sulla base del fatto che il piano di caratterizzazione validato dall'Arpa avesse evidenziato
II.2.2.5 Dichiarazione rese dal direttore generale Arpa Puglia, Giuseppe Assennato
Nel corso della prima missione in Puglia, in data 15 settembre 2010, è stato sentito dalla Commissione il dottor Giorgio Assennato, direttore generale dell'Arpa Puglia.
Il dottor Assennato ha esordito proprio rappresentando la situazione della provincia di Taranto come una delle più critiche dal punto di vista ambientale, in quanto si tratta di un'area che per decenni è stata sostanzialmente priva di controlli, e, peraltro, l'evidenza epidemiologica che si registra nella zona con riferimento a eccessi di tumori frequentemente associati a fattori ambientali è essenzialmente da ascrivere al pregresso inquinamento.
Come evidenziato dal professore, disponiamo oggi dei dati 1999-2001 del registro tumori jonico salentino, che solo di recente è stato riattivato. Si riportano testualmente le dichiarazioni del dottor Assennato:
«I dati di quegli anni evidenziavano un significativo eccesso di tumori polmonari e di tumori emolinfopoietici nella città di Taranto
Proprio con riferimento al problema della diossina sono state rivolte una serie di domande da parte della Commissione al presidente dell'Arpa Puglia.
Fondamentalmente per anni le emissioni di diossina sono state fuori controllo. Fino al 2008 l'Arpa non aveva né la possibilità di effettuare misurazioni particolarmente complesse come quelle delle diossine nelle emissioni o nell'ambiente, né aveva un laboratorio sufficientemente attrezzato per effettuare questo tipo di misurazioni: «tutte le valutazioni pregresse sono, quindi, di tipo congetturale e relative essenzialmente alle indicazioni dei registri delle emissioni e alle valutazioni teoriche che l'impatto che le nuove tecnologie, adottate per esempio dall'Ilva, tra cui elettrofiltri molto avanzati, hanno certamente avuto sulle emissioni».
Come ha precisato il professore, è ragionevole pensare che le emissioni di diossina nel corso dei decenni passati siano state dieci volte superiori ai valori attuali. Peraltro le diossine sono sostanze persistenti e caratterizzate dal bioaccumulo nella catena alimentare.
Più specificatamente, il dottor Assennato ha dichiarato che i dati sanitari raccolti sulle matrici alimentari effettuate presso l'istituto zooprofilattico sperimentale dell'Abruzzo e del Molise a Teramo rilevano un'area di contaminazione intorno alla zona industriale che è stata definita intorno ai dieci chilometri, con un'estensione e con aree di rispetto a concentrazione minore. Ha aggiunto poi che, allo stato, è oggettivamente difficile stabilire se ciò sia da ricondurre alle pregresse emissioni dal camino, ovvero anche ad altri fenomeni che si sono verificati in questo territorio, legati alla presenza diffusa di materiali contenenti policlorobifenili, che hanno anch'essi un forte impatto per quanto riguarda i livelli di sostanze diossinosimili nelle matrici alimentari in questi allevamenti. Il fenomeno si riscontra di più sulle matrici alimentari che su quelle ambientali, e ciò rappresenta un problema di tipo sanitario certamente rilevante, che ha condotto a misure drastiche come l'abbattimento di bestiame da parte della autorità sanitarie locali.
È stata segnalato poi l'assoluto sottodimensionamento dell'Arpa Puglia rispetto alle particolari esigenze del territorio. Basti pensare che il personale dell'Arpa Puglia è pari alla metà di quello presente in Piemonte, in Emilia Romagna e in Veneto.
Per questo si è avvertita l'esigenza di creare una forte sinergia con il mondo dell'università locale, in particolare con l'università di Lecce e con il politecnico di Bari.
Una domanda specifica è stata posta al direttore scientifico dell'Arpa Puglia, dottor Massimo Blonda, con riferimento alla discarica presente all'interno dello stabilimento Ilva. In particolare, secondo alcune segnalazioni, in una zona dello stabilimento chiamata Mater Gratiae pare siano state collocate per anni polveri contaminate da diossina, che a loro volta hanno contaminato la falda acquifera.
L'onorevole Franzoso ha evidenziato come negli anni passati sia stato lanciato il sospetto che nel tempo, ma anche in epoca recente,
II.2.2.6 Il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale da parte del ministero dell'ambiente
L'avviso inerente il rilascio dell'Aia per lo stabilimento Ilva di Taranto è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 23 agosto 2011. Il provvedimento è stato emanato il 4 agosto 2011.
Sono stati imposti limiti più bassi per diossine e benzo(a)pirene e controlli più stringenti su emissioni diffuse e concentrate in atmosfera. Inoltre sulla base delle risultanze del piano di monitoraggio i limiti potranno essere modificati in modo da tenere conto di un eventuale peggioramento del quadro ambientale complessivo.
Risulta che attualmente l'Aia (anche a seguito delle indagini svolte dalla procura della Repubblica di Taranto, di cui si tratterà nel paragrafo successivo), sia oggetto di riesame da parte dei competenti organi del ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
II.2.2.7 Le principali indagini segnalate dai magistrati con riferimento all'Ilva di Taranto
Le dichiarazioni che sono state rese a vari livelli dai rappresentanti degli enti locali, dagli organi di controllo, dalle associazioni ambientaliste, dai rappresentanti dell'Ilva trovano, in qualche modo, un punto di confluenza nelle attività di indagine dell'autorità giudiziaria.
Il procuratore di Taranto, dottor Sebastio, è stato audito il 16 settembre 2010 presso la prefettura di Taranto unitamente al sostituto dottor Mariano Buccoliero sia in merito alle indagini concernenti il traffico transfrontaliero di rifiuti sia in merito alle indagini riguardanti l'Ilva.
Proprio con riferimento a questo secondo tema di approfondimento, il procuratore ha dichiarato di avere avviato, unitamente al sostituto procuratore dottor Buccoliero, indagini in merito agli effetti della diffusione di sostanze inquinanti all'esterno degli stabilimenti dell'area industriale.
II.2.2.7.1 Il procedimento n. 4868/10 Mod. 21 e gli esiti dell'incidente probatorio
La perizia chimica.
Il procuratore Sebastio è stato di recente nuovamente audito dalla Commissione in merito all'indagine in corso nei confronti dei responsabili dell'impianto siderurgico di proprietà dell'Ilva Spa in relazione a gravissime ipotesi di reato quali disastro doloso e/o colposo, avvelenamento di terreni e sostanze alimentari, danneggiamento aggravato, violazioni alla normativa in materia di inquinamento atmosferico, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro (articolo 110, 434, 437, 635, primo cpv., n. 3 e 625 n. 7, 674 del codice penale e 279 del decreto legislativo n. 152 del 2006).
Le persone offese sono state individuate, evidentemente, nel comune di Taranto, nell'amministrazione provinciale di Taranto, nella regione Puglia e nel ministero dell'ambiente in persona del ministro pro tempore.
Il dottor Sebastio ha, in primo luogo, evidenziato come da diversi anni siano stati avviati procedimenti penali connessi all'attività dell'Ilva, alcuni dei quali conclusi con sentenza passata in giudicato, altri in fase processuale, altri ancora in fase di indagini:
«Da parecchi anni a questa parte, a Taranto, come autorità giudiziaria, abbiamo cominciato a interessarci di fatti che determinano eventuali problemi ambientali. Quest'indagine non nasce all'improvviso dopo anni di silenzio. Posso dire che negli ultimi decenni abbiamo sviluppato diversi procedimenti penali che hanno riguardato aspetti sempre più importanti e più salienti di questa problematica. D'altronde, occorre tenere conto del fatto che lo stabilimento in questione è grande due volte e mezzo la città di Taranto, al punto da poter quasi dire che Taranto è una propaggine dello stabilimento e non il contrario.
Nel passato, vi è stato un primo procedimento sulla diffusione delle polveri dei parchi minerali sulla città, a cui ha seguito un secondo procedimento, sempre riguardante lo spandimento di polveri nonché ipotesi di reato in materia di inquinamento ambientale, e un terzo, avente lo stesso oggetto; infine, vi è stato un quarto procedimento penale che ha riguardato specificamente la zona delle cokerie, cioè gli impianti dell'Ilva che provvedono alla predisposizione del carbon coke necessario per la linea di esercizio. In questo caso, abbiamo contestato anche reati più rilevanti, fra cui quello di cui all'articolo 437 del codice penale, ovvero inosservanza delle norme a tutela dei lavoratori in materia di malattie professionali.
Questi procedimenti si sono conclusi tutti con sentenze di condanna che, ad eccezione dell'ultimo a cui ho fatto riferimento, sono diventate definitive anche in Cassazione. Invece, per l'ultimo processo è stata dichiarata, in Cassazione, l'improcedibilità dell'azione penale per maturata prescrizione. Tuttavia, la Cassazione si è pronunziata sulle istanze risarcitorie presentate dalle parti civili dell'epoca - un sindacato e un'associazione ambientalistica - accogliendole definitivamente.
Data l'importanza degli accertamenti effettuati nel contraddittorio delle parti in ambito processuale, si ritiene opportuno dare conto degli specifici quesiti posti al primo collegio di consulenti con riferimento alla perizia chimica, nonchè, quasi integralmente, delle conclusioni contenute nella relazione depositata dai periti.
In particolare, il Gip ha formulato i seguenti quesiti:
«Accertino i periti nominati in data odierna:
1. se dallo stabilimento Uva Spa si diffondano gas, vapori, sostanze aereiformi, sostanze solide (polveri ecc.), contenenti sostanze pericolose per la saline dei lavoratori operanti all'interno degli impianti e per la popolazione del vicino centro abitato di Taranto e, eventualmente, di altri viciniori, con particolare, ma non esclusivo, riguardo a benzo(a)pirene, Ipa di varia natura e composizione nonché diossine, pcb, polveri di minerali ed altro;
2. se i livelli di diossina e pcb rinvenuti negli animali abbattuti, appartenenti alle persone offese indicate nell'ordinanza ammissiva dell'incidente probatorio del 27.10.2010, e se i livelli di
Le risposte ai quesiti sono state indicate dal procuratore nel corso dell'audizione riportandosi alle conclusioni della perizia (il relativo documento, nella parte relativa alle conclusioni, è stato acquisito dalla Commissione (37):
Quesito I
Per quanto riguarda il primo quesito concernente «se dallo stabilimento Ilva Spa si diffondano gas, vapori, sostanze aeriformi e sostanze solide (polveri ecc.), contenenti sostanze pericolose per la salute dei lavoratori operanti all'interno degli impianti e per la popolazione del vicino centro abitato di Taranto e, eventualmente, di altri viciniori, con particolare, ma non esclusivo, riguardo a benzo(a)pirene, ipa di varia natura e composizione nonché diossine, pcb, polveri di minerali ed altro» la risposta è affermativa.
Nelle tabelle predisposte nella consulenza sono riportate le notevoli quantità di inquinanti rilasciate dalle emissioni convogliate dello stabilimento Ilva, ed in particolare quelle associate alla massima capacità produttiva degli impianti stessi, a cui devono essere anche sommate le quantità di inquinanti rilasciate con le emissioni non convogliate (diffuse-fuggitive).
Quesito II
Per quanto riguarda il secondo quesito concernente «se i livelli di diossina e pcb rinvenuti negli animali abbattuti, appartenenti alle
Quesito III
Per quanto riguarda il terzo quesito concernente «se all'interno dello stabilimento Ilva di Taranto siano osservate tutte le misure idonee ad evitare la dispersione incontrollata di fumi e polveri nocive alla salute dei lavoratori e di terzi» la risposta è negativa. (...)
Quesito IV
Per quanto riguarda il quarto quesito concernente «se i valori attuali di emissione di diossine, benzo(a)pirene ed ipa di varia natura e composizione, pcb, polveri minerali ed altre sostanze ritenute nocive per la salute di persone ed animali nonché dannose per cose e terreni (si da alterarne struttura e possibilità di utilizzazione), siano conformi o meno alle disposizioni normative comunitarie, nazionali e regionali in vigore» si evidenzia quanto segue.
Relativamente alla conformità alle norme nazionali e regionali, i valori misurati alle emissioni dello stabilimento Ilva con gli auto controlli effettuati dal gestore nell'anno 2010, risultano conformi sia a quelli stabiliti dalle precedenti autorizzazioni settoriali delle emissioni in atmosfera (ex decreto del Presidente della Repubblica. n. 203 del 1988) e sia ai valori limite previsti dal recente decreto di Aia del 5 agosto 2011.
Tali emissioni però, in considerazione del fatto che, come dettagliato negli specifici capitoli, derivano da impianti dove sono svolte anche attività di recupero, mediante trattamenti termici, di rifiuti non pericolosi, ovvero materie prime secondarie, dovevano essere presidiate a partire dal 17 agosto 1999 da sistemi di controllo automatico in continuo dei parametri inquinanti previsti dal decreto ministeriale 5 febbraio 1998, modificato dal decreto del ministro dell'ambiente 5 aprile 2006, n. 186, al punto 2) nell'allegato 1 suballegato 2, che sono: 1) polvere totale, 2) sostanze organiche sotto forma di gas e vapori, espresse come carbonio organico totale (COT), 3) cloruro di idrogeno (HC1), 4) floruro di idrogeno (HF), 5) biossido di zolfo (SO2) e 6) monossido di carbonio (CO).
Poiché, come dettagliato ai paragrafi 2 dei capitoli III-C, III-D e III-F, allo stato attuale alle emissioni derivanti da questi impianti non sono installati i sistemi di controllo in continuo né viene verificato il rispetto dei limiti dei parametri inquinanti previsti dal decreto ministeriale 5 febbraio 1998 sopra detti, tali emissioni non risultano conformi a quanto previsto dalla normativa nazionale in materia di trattamento termico dei rifiuti. Inoltre poiché ai suddetti camini non sono installati i sistemi di controllo in continuo alle emissioni, non c'è alcun elemento che dimostri rispetto dei limiti previsti dall'articolo 216, comma 1, 2 e 3 del decreto legislativo n. 152 del 2006 indicati nella tabella 2.3 dell'allegato 1 suballegato 2 del decreto ministeriale 5 febbraio 1998, con le modalità ivi prescritte né vi è alcun modo di verificarli.
Per quanto concerne le emissioni non convogliate dalle acciaierie, connesse quasi totalmente al fenomeno dello slopping, esse sono state
Quesito V
Per quanto riguarda il quinto quesito concernente «se la pericolosità delle singole sostanze, considerando queste nel loro complesso e nella loro interagibilità, determinino situazioni di danno o di pericolo inaccettabili (effetto domino) "data la specifica professionalità dei sottoscritti non si può che rinviare per la risposta allo stesso allo specifico collegio peritale nominato da questo giudice."»
Quesito VI
Per quanto riguarda il sesto quesito concernente «in caso affermativo, quali siano le misure tecniche necessarie per eliminare la situazione di pericolo, anche in relazione ai tempi di attuazione delle stesse e alla loro eventuale drasticità» si evidenzia quanto segue.
Dai dati relativi alle diverse emissioni, la condizione che risulta più significativa, anche della stessa presenza in esse di elevate concentrazioni di composti inquinanti, e singolare per il contesto in cui essa si riscontra, è la differenza delle concentrazioni misurate in esse, non solo tra quelle appartenenti ad impianti differenti ma anche tra quelle derivanti da impianti di lavorazione analoghi.
Tali differenze, riportate nelle seguenti tabelle, sono state calcolate rapportando, ove possibile, le concentrazioni delle medesime specie chimiche riscontrate nelle diverse emissioni dell'area, al valore minimo misurato.
In data 17 febbraio 2012 si è tenuta l'udienza innanzi al Gip nel corso della quale sono stati esaminati i periti, dottor Mauro Sanna, Nazzareno Santilli, Roberto Monguzzi e Rino Felici e la Commissione ha richiesto la trasmissione di copia del verbale di udienza e della trascrizione delle dichiarazioni rese dai periti in sede di esame (38).
Dal verbale di udienza risulta la presenza dei seguenti enti pubblici quali persone offese:
il comune di Taranto;
l'amministrazione provinciale di Taranto;
la regione Puglia;
rappresentate dai rispettivi difensori.
È stata invece riscontrata l'assenza del ministero dell'ambiente. Non si comprende quale sia la ragione della mancata partecipazione
II.2.2.7.2 Le misure di tutela ambientale indicate nella perizia
Per quanto riguarda le misure di tutela ambientale di natura gestionale, tema questo particolarmente importante perché si colloca in un'ottica solutoria delle problematiche attinenti alla gestione dello stabilimento Ilva, vengono indicate dai periti le seguenti misure.
In primo luogo viene sottolineata la necessità di standardizzazione delle procedure di manutenzione, con particolare riguardo alla loro tracciabilità e storicizzazione.
Per quanto riguarda le possibili misure di tutela ambientale volte alla riduzione delle emissioni non convogliate, dettagliate negli specifici capitoli, è necessario distinguere le medesime emissioni in diffuse e fuggitive.
Tra le emissioni diffuse devono essere comprese quelle provenienti dagli stoccaggi a cielo aperto di materiali pulverulenti, e tra le fuggitive, determinate ad esempio i difetti di tenuta in apparecchiature che operano con fluidi gassosi.
Per le emissioni diffuse devono essere innanzitutto individuate le emissioni convogliabili e suscettibili di riduzione e/o trattamento specifico. Esempio evidente di tale situazione è il futuro stoccaggio di pet-coke, autorizzato nell'ambito del recente decreto Aia, che per le sue caratteristiche e contenuto di microinquinanti particolarmente critici (ad es. ipa), costituirà un ulteriore elemento di aggravio dello scenario emissivo relativo al parco stoccaggi. La realizzazione di tale nuovo stoccaggio dovrebbe essere subordinata alla copertura dello stesso, con valutazione ed eventuale successiva applicazione di aspirazione e trattamento delle emissioni generate.
Le medesime considerazioni devono essere anche svolte per quanto riguarda il deposito, la movimentazione, il trasferimento di tutti quei materiali che potenzialmente sono tali da generare emissioni in atmosfera contenenti sostanze inquinanti, anche considerato l'impatto attualmente prodotto da queste, che risulta pari a 668 tonnellate di polveri per anno immesse in atmosfera e la criticità della posizione periferica del Parco stoccaggi, prospiciente il centro abitato (quartiere Tamburi).
Tra le emissioni diffuse allo stato sono anche da comprendere le torce presenti in stabilimento. Il decreto Aia di recente emanazione, al fine di verificare l'idoneità delle torce ad assicurare una combustione efficiente del gas ad esse inviato, ha prescritto le modalità di monitoraggio in continuo della portata e delle caratteristiche qualitative
II.2.2.7.3 L'esito degli accertamenti medico-epidemiologici disposti in sede di incidente probatorio
Il Gip presso il tribunale di Taranto, su richiesta della Commissione, ha trasmesso copia del verbale di udienza del 30 marzo 2012 nel corso della quale sono stati auditi i periti dottor Francesco Forastiere, il professore Annibale Biggeri e la professoressa Maria Triassi, i quali hanno avuto l'incarico di svolgere gli accertamenti medico-epidemiologici in sede di incidente probatorio riguardante lo stabilimento industriale Ilva.
È stata inoltre acquisita copia della perizia, della quale si riportano le conclusioni, senza entrare nel merito delle stesse e dando
«Capitolo 6
Conclusioni generali e risposta ai quesiti.
Sulla base degli atti presenti nel fascicolo, di quelli acquisiti ed esaminati nel corso dell'indagine, degli elementi assunti grazie alle indagini epidemiologiche, in relazione ai quesiti posti, si può concludere come segue.
Quesito 1
Quali sono le patologie interessate dagli inquinanti, considerati singolarmente e nel loro complesso e nella loro interazione, presenti nell'ambiente a seguito delle emissioni dagli impianti industriali in oggetto?
Quali sono gli inquinanti emessi di interesse sanitario?
Gli inquinanti emessi sono polveri/particelle, contenenti (oltre ad altri componenti) idrocarburi aromatici policiclici (IPA, tra i quali il benzo(a)pirene, rame, piombo, cadmio, zinco ed altri metalli, anidride solforosa (SO2), monossido di carbonio (CO), ossidi di azoto (NOx), composti organici volatili (VOC), e diossine. Le emissioni inquinanti provengono da sorgenti convogliate e non convogliate (fuggitive). Nell'ambiente di lavoro, oltre alla esposizione alle sostanze emesse, si può verificare una esposizione a fibre di amianto. I dettagli relativi alle emissioni sono stati già forniti dalla relazione dei periti Sanna e altri (gennaio 2012).
Alle emissioni inquinanti corrisponde una esposizione della popolazione che vive a Taranto e comuni limitrofi, specie in prossimità degli impianti?
Gli inquinanti emessi dal complesso degli impianti industriali in oggetto sono presenti nell'atmosfera sotto forma di gas o particelle (particulate matter) espresse in termini di "PMx", dove la x si riferisce alla dimensione delle particelle in micron (µm) Per esempio le polveri PM10, includono particelle con un diametro di 10 µm o inferiore. Sulla base di quanto esposto dalla relazione dei periti Sanna e altri (gennaio 2012), sulla base dei dati storici di monitoraggio campionario eseguito da vari autori nel corso degli anni, considerando i monitoraggi con centraline fisse eseguiti da Arpa Puglia, i risultati dei campionamenti "vento selettivi" condotti da Arpa Puglia, i modelli di dispersione degli inquinanti indipendentemente sviluppati da enti diversi, ISPESL, istituto inquinamento atmosferico, Arpa Puglia (aspetti esposti in dettaglio nel capitolo 2), si può affermare che gli inquinanti si presentano in concentrazioni più elevate in prossimità dell'impianto e nei territori limitrofi, in particolare nei rioni Tamburi, Borgo, Paolo VI e Statte. Le concentrazioni sono variabili nel tempo e dipendono fortemente dalla direzione del vento.
Quali patologie, quali effetti sanitari possono essere ascrivibili alle emissioni considerate?
La dimensione delle particelle determina la loro capacità di penetrare e depositarsi nelle vie respiratorie. Le particelle più grosse
a. Esiti sanitari per i quali esiste una forte e consolidata evidenza scientifica di possibile danno derivante dalle emissioni dell'impianto siderurgico o per effetto delle esposizioni in ambiente lavorativo:
1. mortalità per cause naturali;
2. patologia cardiovascolare, in particolare patologia coronarica e cerebrovascolare;
3. patologia respiratoria, in particolare infezioni respiratorie acute, broncopatia cronica ostruttiva (BPCO) e asma bronchiale. I bambini e gli adolescenti possono essere particolarmente suscettibili;
4. tumori maligni nella popolazione generale e/o tra i lavoratori: tutti i tumori, tumori in età pediatrica (0-14 anni), tumore della laringe, del polmone, della pleura, della vescica, del connettivo e tessuti molli, tessuto linfoematopietico (linfoma non-Hodgkin e leucemie);
b. esiti sanitari per i quali vi è una evidenza scientifica suggestiva ma le prove non sono ancora conclusive di un possibile danno derivante dalle emissioni dell'impianto siderurgico o per effetto delle esposizioni in ambiente lavorativo:
1. malattie neurologiche;
2. malattie renali;
3. tumore maligno dello stomaco tra i lavoratori del complesso siderurgico;
Con quali strumenti di conoscenza e di interpretazione si può valutare l'effetto di esposizioni inquinanti sulla salute della popolazione?
Stabilire se l'esposizione umana ad un determinato agente ambientale sia causalmente associata a modificazioni della salute dei soggetti esposti è la conclusione di un processo conoscitivo fondato:
a) sull'estrapolazione all'uomo dei risultati delle sperimentazioni di merito condotte su sistemi di laboratorio (animali e cellulari);
b) sull'osservazione epidemiologica;
c) sulla ponderazione dei limiti di ciascuna delle due fonti di conoscenza nel caso della specifica associazione in studio.
Quesito 2
Quanti sono i decessi e i ricoveri per tali patologie per anno, per quanto riguarda il fenomeno acuto, attribuibili alle emissioni in oggetto? Che studio è stato condotto?
È stato condotto uno studio di serie temporali epidemiologiche per mezzo del disegno case-crossover illustrato nel capitolo 4. Per valutare l'effetto a breve termine degli inquinanti atmosferici si correlano le frequenze giornaliere degli eventi di interesse alle medie giornaliere delle concentrazioni degli inquinanti. Il disegno case-crossover permette di controllare per le caratteristiche individuali fermo restando la natura aggregata della misura di esposizione utilizzata e per la stagionalità degli eventi e delle variazioni della concentrazione degli inquinanti che rappresenta il fattore di confondimento più importante. Questo approccio è largamente accettato nella letteratura epidemiologica e permette di analizzare situazioni in cui la frequenza giornaliera degli eventi è piccola, come nel caso di Taranto e dei due quartieri di interesse, Borgo e Tamburi.
Gli effetti a breve termine sono espressi come variazioni percentuali di decesso/ricovero per incrementi di dieci microgrammi per metro cubo nella concentrazione media degli inquinanti, considerando
Effetto a breve termine di PM10 e NO2 sulla mortalità.
L'analisi per la città di Taranto nel suo complesso fornisce una stima di circa 0,84 per cento di incremento del rischio di morte per cause naturali per incrementi di dieci microgrammi/metro cubo di PM10, e di 0,60 per cento per analoghi incrementi di NO2. Sono maggiori d'estate che non nella stagione fredda.
Non si trovano associazioni se consideriamo le cause cardiovascolari e respiratorie.
Per quanto riguarda le stime degli effetti per i quartieri Borgo e Tamburi troviamo un'associazione molto più forte. Per la mortalità per cause naturali abbiamo una variazione percentuale (vp) di 3,38 per cento (IC 90 per cento 0,1 ; 6,1) per incrementi di dieci microgrammi/metro cubo di PM10, e una vp di 6,46 per cento (IC90 per cento 0,8 ; 12,5) per l'NO2. Per le polveri PM10 troviamo associazioni anche con le cause cardiovascolari (in particolare per la classe di età 65-74 anni) e respiratorie (nelle età < 75 anni).
Nella stagione estiva le stime di effetto sono molto forti per il PM10: vp 8,9 per cento (IC90 per cento 3,9 ; 14,2) per la mortalità per cause naturali; vp 18,2 per cento (IC90 per cento 7,4; 30,1) per cause cardiovascolari e vp 16,9 per cento (IC90 per cento -6,8; 46,6) per le cause respiratorie.
Effetto a breve termine di PM10 e NO2 sui ricoveri ospedalieri.
L'analisi per la città di Taranto fornisce una stima di circa 1,59 per cento di incremento del rischio di ricovero per malattie cardiache per incrementi di dieci microgrammi/metro cubo di PM10 e di 5,83
Decessi attribuibili
Nei sette anni considerati, per Taranto nel suo complesso (utilizzando le stime di effetto ottenute per la città nel suo complesso) si stimano 83 decessi attribuibili (IC80 per cento 1,5; 163,8) ai superamenti del limite OMS di 20 microgrammi al metro cubo per la concentrazione annuale media di PM10. È lo 0,7 per cento delle morti naturali con una attributable community rate di 5,87 per centomila per anno.
Nei sette anni considerati, per i quartieri Borgo e Tamburi si stimano 91 decessi attribuibili (IC80 per cento 55,0; 126,6) ai superamenti del limite OMS di 20 microgrammi al metro cubo per la concentrazione annuale media di PM10 (stima ottenuta utilizzando la stima di effetto specifica dei due quartieri). È il 2,8 per cento delle morti naturali con una attributable community rate di 20,46 per centomila.
È interessante notare come un impatto sulla mortalità per causa cardiorespiratoria sia apprezzabile solo nella popolazione residente nei due quartieri maggiormente esposti.
Ricoveri attribuibili
Nei sette anni considerati, per Taranto (utilizzando le stime di effetto ottenute per la città nel suo complesso) si stimano 193 ricoveri per malattie cardiache (IC80 per cento 86,2; 299,4) attribuibili ai superamenti del limite OMS di 20 microgrammi al metro cubo per la media annuale delle concentrazioni di PM10 e 455 ricoveri per malattie respiratorie (IC80 per cento 371,7; 537,7). Questo corrisponde all'1,4 per cento dei ricoveri non programmati per malattie cardiache con un attributable community rate di 13,65 per centomila per anno, e al 5,0 per cento con ACR 32,18 per le malattie respiratorie.
Considerazioni finali
Per quanto riguarda gli effetti a breve termine delle polveri PM10, l'analisi sulla città di Taranto nel suo complesso ha mostrato un'associazione con la mortalità per cause naturali coerente con quanto registrato in letteratura (una variazione percentuale di 0,8 per cento per incrementi di 10 µg/m3 dell'inquinante). Sui ricoveri si è documentata un'associazione con le malattie respiratorie (una variazione percentuale di 5,8 per cento).
L'analisi ristretta ai residenti nei quartieri Borgo e Tamburi ha mostrato un'associazione con la mortalità per tutte le cause (vp 3,3 per cento), le cause cardiovascolari (vp 2,6 per cento) e respiratorie (vp 8,3 per cento).
Sui ricoveri, l'analisi sui quartieri Borgo e Tamburi ha mostrato un'associazione con i ricoveri per malattie cardiache (vp 5,0 per cento; p=0,051) e respiratorie (vp 9,3 per cento; p=0,002).
Nel periodo esaminato, i decessi e i ricoveri nel breve termine attribuibili alle emissioni derivanti dagli impianti industriali per quanto attiene ai livelli di PM10 superiori al limite OMS sulla qualità dell'aria di 20 µg/m3 per i residenti a Borgo e Tamburi sono 91 (IC80 per cento 55; 127) decessi, 160 (IC80 per cento 106-214) ricoveri per malattie cardiache, 219 (IC80 per cento 173; 264) ricoveri per malattie respiratorie. Scontando una possibile maggior fragilità della popolazione dei due quartieri per effetto di condizioni socio-economiche e lavorative e il contributo di inquinanti da altre sorgenti estranee all'area industriale, i decessi attribuibili diventano circa quaranta (1,2 per cento dei decessi totali, 9 decessi per centomila persone per anno), i ricoveri attribuibili per malattie cardiache settanta (16 ricoveri per centomila persone per anno) e i ricoveri attribuibili per malattie respiratorie cinquanta (11 ricoveri per centomila persone per anno).
Quesito 3
Qual è l'impatto in termini di decessi e di ricoveri ospedalieri per quanto riguarda le patologie croniche, che sono attribuibili alle emissioni in oggetto? Che studio è stato condotto?
Per rispondere al quesito, è stato appositamente condotto uno studio epidemiologico descritto nel capitolo 3. In breve, lo studio è stato condotto con un approccio di coorte di popolazione basato sulla ricostruzione della storia anagrafica di tutti gli individui residenti, il loro successivo follow-up la verifica di mortalità, ricoveri ospedalieri, incidenza dei tumori, e il computo dei tassi assoluti e relativi di frequenza di malattia e di mortalità. L'approccio di coorte è ritenuto in epidemiologia quello in grado di valutare in maniera più valida il nesso eziologico tra una esposizione e lo stato di salute di una particolare popolazione esposta. In questo approccio, tutti i soggetti
Nell'analisi dei dati si è tenuto conto di un indicatore individuale di stato socioeconomico, calcolato a livello di sezione di censimento della residenza di ciascun soggetto della coorte.
Sono state arruolate 321.356 persone (265.994 soggetti a Taranto, 38.808 a Massafra, e 16.554 a Statte). L'84.9 per cento dei soggetti erano già presenti al 1 gennaio 1998 e il 39.1 per cento abitavano nella stessa residenza del reclutamento da più di 20 anni. Tra i membri della coorte avevano prestato servizio presso società del comparto siderurgico 9.633 soggetti con la qualifica di operaio e 3.923 soggetti con la qualifica di impiegato (almeno una volta). Sono risultati addetti alle costruzioni meccaniche 17.035 soggetti e alle costruzioni navali 1.238 soggetti. Alla fine del follow-up (al 31 dicembre 2010) sono risultati deceduti 28.171 soggetti (8.8 per cento). Per 23.004 deceduti entro il 2008 erano disponibili i dati sulla causa di morte dal registro della Asl. È stato possibile acquisire per ogni soggetto, oltre alla causa di morte per i deceduti, la causa di un eventuale ricovero ospedaliero, e l'incidenza di tumore (solo per un periodo di tempo più limitato). Il modello statistico ha stimato i rischi relativi di morte e/o di malattia (Hazard ratio) attraverso una analisi di sopravvivenza. I risultati tengono conto, attraverso il modello statistico, del genere, dell'età, e dell'indicatore di stato socioeconomico.
Quali sono i risultati principali dello studio?
Lo studio ha fornito i seguenti risultati:
5. La città di Taranto (e i due comuni limitrofi Statte e Massafra) presentano un quadro sociale variegato con presenza contemporanea di aree a elevata emarginazione e povertà e aree abbienti. A questa stratificazione sociale si associano differenze importanti di salute (e di probabilità di morte). Le classi sociali più basse hanno tassi di mortalità e di ricorso al ricovero ospedaliero più alte di circa il 20 per cento rispetto alle classi sociali più abbienti.
6. Anche tenendo conto degli effetti della stratificazione sociale illustrati, la situazione sanitaria in termini di mortalità e ricoveri ospedalieri non è uniforme nella città. In particolare, tassi più elevati si osservano nei quartieri Paolo VI e Tamburi (che raggruppa i rioni Tamburi, Isola, Porta Napoli, Lido Azzurro). Per questi quartieri, dopo aver aggiustato nella analisi statistica per i differenziali sociali, i livelli complessivi di mortalità e di ricorso al ricovero ospedaliero sono più elevati rispetto agli altri quartieri di Taranto del 27-64 per cento per Paolo VI e 10-46 per cento per Tamburi. Gli eccessi sono sostenuti dai tumori, dalle malattie cardiovascolari e dalle malattie respiratorie, come illustra la tabella successiva.
La tabella mostra gli aumenti percentuali di mortalità per causa in tre quartieri (confrontati con gli altri di Taranto). I valori in grassetto sono statisticamente significativi:
Risultati analoghi si sono verificati per i ricoveri ospedalieri.
A titolo esemplificativo della relazione tra esposizione a PM10 di origine industriale e mortalità per cause cardiache si osservi la figura seguente: all'aumentare dei livelli di esposizione aumenta la probabilità di decesso per malattie cardiache (le linee tratteggiate sono i limiti di confidenza).
La tabella seguente riporta, con analoghe modalità, i risultati principali per quanto riguarda la patologia nei bambini e adolescenti da 0-14 anni. Si noti un effetto statisticamente significativo per i ricoveri ospedalieri per cause respiratorie e un effetto al limite della significatività statistica per i tumori in età pediatrica.
8. La quota relativa di decessi e di patologie attribuibile alla esposizione delle sostanze emesse dal complesso industriale, in particolare a PM10, è illustrato nella tabella che segue. Le stime derivano dai coefficienti di rischio relativo illustrati nelle tabelle precedenti applicati a una esposizione media a PM10 di origine industriale di 8.8 g/m3 della intera coorte come stimato dal modello di dispersione. Vengono mostrati, per ogni causa di morte o di ricovero, la frequenza degli eventi osservati nella intera coorte (casi totali osservati) e il numero di casi attribuibili (con l'intervallo di confidenza della stima) e la percentuale dei casi attribuibili sul totale dei casi osservati (RA per cento). Si noti che i casi attribuibili sono stati calcolati per l'intero periodo di osservazione per la mortalità totale e i ricoveri ospedalieri (1998-2010) e per il 1998-2008 per la mortalità per causa. In sostanza, per citare alcuni dati della tabella, nei 13 anni di osservazione sono attribuibili alle emissioni industriali 386 decessi totali (30 per anno), ovvero l'1.4 per cento della mortalità
Come possono essere interpretati i risultati dello studio alla luce della letteratura scientifica?
Le esposizioni ambientali presenti a Taranto sono già state studiate in diversi contesti ed esiste un solido corpo di evidenze scientifiche in grado di suffragare i risultati per quanto riguarda gli effetti cardiovascolari e respiratori del PM10 (e dei suoi componenti) sulla popolazione generale (ATS, 1996; WHO 2005; Brook, 2010).
Questo studio testimonia anche un effetto per quanto riguarda le malattie neurologiche e renali e i ricoveri per tumore del polmone. Anche gli eccessi riscontrati nel comparto siderurgico, in particolare per tumore della pleura, della vescica e dello stomaco, hanno un grado elevato di plausibilità e si considera l'esposizione ad amianto, ad idrocarburi aromatici policiclici e alla possibile ingestione di polveri minerali. Si noti anche l'eccesso di tumori dei tessuti molli, osservato nella valutazione di incidenza, potenzialmente attribuibile ad esposizione a diossine.
Che periodo di latenza si può presumere tra esposizione a sostanze tossiche e comparsa di effetti sanitari?
La latenza tra inizio della esposizione ed esiti di malattia varia a seconda del processo patologico.
È chiaro che, per quanto riguarda i tumori tra gli adulti (specie i tumori solidi), l'esposizione etiologicamente rilevante è quella
Con la presente perizia sono stati notificati i deceduti per tumore della vescica, dello stomaco, malattie neurologiche e incidenza dei tumori dei tessuti molli per sospetta malattia professionale.
Che conclusioni si possono trarre dell'esame dettagliato della sorveglianza dei lavoratori?
Nel capitolo 4 sono state considerate in dettaglio le attività di sorveglianza della salute dei lavoratori dello stabilimento siderurgico. Gli obblighi di legge sono assolti attraverso la valutazione dei rischi, un sistema di gestione della salute e della sicurezza sul lavoro e un'attività di sorveglianza sanitaria organizzata e puntuale. Si sono osservati i fenomeni di seguito riportati.
Dal 2002 al 2010 si è osservata una progressiva riduzione percentuale delle idoneità assolute (dall'88,3 per cento del 2002 al 66,1 per cento del 2010) e un parallelo aumento delle idoneità parziali (dall'11,5 per cento del 2002 al 33,5 per cento del 2010). Il fenomeno può essere giustificato solo in parte dall'incremento dell'età media dei lavoratori, mentre potrebbero aver influito i seguenti fenomeni:
la variabilità individuale tra i diversi medici competenti che si succedono nell'attività di sorveglianza sanitaria;
una politica di maggiore cautela da parte dei medici competenti e dell'azienda anche in relazione a pressioni dei lavoratori;
una progressiva alterazione dello stato di salute dei lavoratori in relazione al protrarsi dell'esposizione ai rischi professionali.
Quali sono i punti di forza dello studio?
Lo studio epidemiologico sugli effetti a lungo termine ha numerosi punti di forza che lo rendono del resto unico nel quadro nazionale. Tali aspetti possono essere così riassunti:
1. si tratta di uno studio coorte individuale, basato su un grande numero di individui;
2. lo studio aveva forti ipotesi a priori sulle patologie di potenziale interesse;
3. vi è stato un rigore elevato nell'arruolamento della coorte e nella caratterizzazione anagrafica;
Quali sono i punti critici dello studio?
Nella discussione dello studio nel capitolo 3 vengono presi in esame gli aspetti critici che sono solo di seguito riassunti.
1. Il PM10 di origine industriale, come stimato dal modello di dispersione, rappresenta solo un indicatore del complesso delle sostanze inquinanti emesse. Tale indicatore è stato usato nell'analisi e ha indicato una associazione chiara con gli eventi sanitari a priori considerati.
Si conviene però che tale indicatore è pur sempre una stima affetta da errore. Tuttavia, la possibile misclassificazione di questo indicatore rispetto alla vera esposizione della popolazione può essere considerata non differenziale (ossia non c'è ragione di ritenere che l'esposizione sia stata sovrastimata in maniera artificiale tra i casi rispetto ai non casi).
2. Migliore caratterizzazione spaziale delle sostanze emesse in diversi periodi temporali. I modelli di dispersione degli inquinanti nella realtà di Taranto devono tener conto delle modifiche storiche delle emissioni.
3. Valutazione dettagliata della storia residenziale e costruzione di indici di esposizione cumulativa.
4. Aggiornamento dei dati dei registri tumori.
5. Analisi dettagliata degli effetti sanitari, in particolare i tumori per mansione, comparto, durata e latenza.
Considerazioni finali
In conclusione, l'esposizione continuata agli inquinanti dell'atmosfera emessi dall'impianto siderurgico ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell'organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte. I modelli di analisi messi a punto hanno consentito di stimare quantitativamente il carico annuale di decessi e di malattie che conseguono all'esposizione all'inquinamento.»
II.2.2.7.4 Gli esiti dell'incidente probatorio e i rapporti tra l'autorità giudiziaria e le amministrazioni interessate.
Il procuratore, a seguito del deposito della prima relazione peritale, ha inviato una lettera al Ministero dell'ambiente, al presidente della regione Puglia, al presidente della provincia di Taranto ed al sindaco di Taranto.
In tale lettera il procuratore ha evidenziato come dalla relazione tecnica si desumano elementi conoscitivi tali da destare particolare allarme, che «possono e debbono essere valutati dagli enti diretti destinatari di questa comunicazione, i quali sono titolari di specifici poteri-doveri di intervento in materia ambientale e, soprattutto, di tutela della salute e incolumità delle persone da esercitare senza ritardo».
L'iniziativa del dottor Sebastio si inserisce in una prospettiva costruttiva di collaborazione istituzionale nella piena consapevolezza che la magistratura non può supplire alle inadeguatezze e inefficienze della pubblica amministrazione, ma certamente può essere di stimolo.
Nel corso dell'audizione il dottor Sebastio ha precisato di non avere avuto ancora alcuna risposta alla lettera, che così concludeva «in vista degli eventuali successivi sviluppi dell'indagine, che rientrano nella competenza di questa autorità giudiziaria, prego volere informare con la massima urgenza questa procura delle iniziative che i soggetti destinatari di questa comunicazione riterranno di adottare».
Meraviglia molto che nel corso dell'udienza preliminare non abbia partecipato, in veste di persona offesa, il Ministero dell'ambiente.
Sono state poi poste dal presidente Pecorella alcune domande:
«In primo luogo, visto che non è una vicenda di un giorno o due, ma si è accumulata nel tempo, al punto che si sono dovuti abbattere gli animali, il terreno è inquinato, le case sono rosse (le abbiamo viste anche noi) e quant'altro, ci sono stati i controlli che avrebbero dovuto evitare che accadesse tutto questo? Insomma, esiste un'inchiesta sulla mancanza dei controlli? L'altro aspetto attiene all'intervento della magistratura che è vero che non deve ripulire l'aria e il terreno, ma dovrebbe evitare che - e questo è uno dei grandi temi circa i rapporti tra legalità e economia - i reati siano portati a ulteriori conclusioni, come dice il codice. Ci domandiamo se intende affrontare, ed eventualmente come, il fatto che l'intera città di Taranto ruota attorno a questa attività produttiva che, per un altro verso, come sembrerebbe anche dalle fuoriuscite che lei ha definito "fuggitive", rappresenta sicuramente una situazione di rischio per la salute, oltre a dare indizio dell'essere in atto una commissione di reati. Vorremmo, quindi capire se i controlli ci sono stati o meno e, se ci sono stati, come mai si è arrivati alla situazione odierna, e, invece, se non ci sono stati, chi ne è responsabile. L'altro aspetto che ci interessa, anche rispetto a problemi generali di criminalità, riguarda come la magistratura si può opporre di fronte a fenomeni come questi in relazione all'interruzione sia della commissione dei reati, sia della produzione di grandi aziende».
La risposta del dottor Sebastio è stata del seguente tenore «Per quanto riguarda il primo aspetto, forse qualcosa si intuisce dal
II.2.2.8 Le dichiarazioni rese alla Commissione dai rappresentanti dell'Ilva in merito agli esiti dell'incidente probatorio
Dopo l'audizione del procuratore della Repubblica di Taranto, dottor Sebastio, è pervenuta alla Commissione una richiesta da parte dei rappresentanti dell'Ilva al fine di essere sentiti in sede di audizione in merito agli stessi temi sui quali è stato sentito il procuratore, ossia il procedimento in corso presso la procura di Taranto del quale si è ampiamente trattato nei paragrafi precedenti.
Sono stati, quindi, auditi Luigi Capogrosso, gestore dell'impianto Ilva di Taranto, Negri Eva, consulente dell'Ilva, Perli Francesco, avvocato e Tomassini Renzo, responsabile ecologia dello stabilimento Ilva di Taranto.
Naturalmente non è un contraddittorio instaurato a fini processuali, né si tratta di stabilire in Commissione se siano stati consumati reati, di che tipo, da quali soggetti. Come più volte è stato evidenziato, si tratta di accertamenti complessi e non rientra nei compiti della commissione stabilire chi abbia ragione, se l'accusa o la difesa. Sarà evidentemente il tribunale a doverlo decidere.
Quello che interessa alla Commissione è comprendere se gli animali abbattuti contenessero tracce di diossina dello stesso tipo di quella prodotta dallo stabilimento Ilva, se i responsabili dell'Ilva abbiano elementi per smentire tale dato inquietante, se si pone comunque un problema di accumulo di diossina che pregiudica anche la catena alimentare, a prescindere dal livello delle emissioni attuali, se vi sia un aumento di mortalità riconducibile all'attività dell'Ilva, o comunque degli insediamenti industriali tutti che insistono sull'area di Taranto.
Con riferimento al rilascio dell'Aia ha dichiarato: «Nel 2006 è iniziato il procedimento dell'autorizzazione integrata ambientale (Aia). È stata a Taranto per un anno intero una segreteria tecnica nominata dal Ministero dell'ambiente con lo scopo di instradare la procedura di Aia. Durante questo periodo questa segreteria ha analizzato le nostre proposte di adeguamento e migliori tecniche disponibili secondo il decreto-legge del 2005 e ha potuto effettuare verifiche sul campo degli impianti, dei processi e delle misure da prendere. Nel 2007 abbiamo presentato al Ministero dell'ambiente la procedura ufficiale di richiesta di Aia che si è conclusa nel 2012, con l'ultima conferenza di servizi avvenuta nel luglio 2011. Il decreto è stato emanato il 23 agosto 2011.
Il decreto di Aia è stato un importante passo autorizzativo per lo stabilimento di Taranto. Si tratta di un documento di 1.100 pagine diviso in tre parti fondamentali: la prima è sulla conformità di impianti, processi e procedure al decreto-legge del 2005 in materia di migliori tecniche disponibili; la seconda parte è il Pic, parere istruttorio conclusivo, che fissa i limiti di emissione dei vari processi e dei vari impianti. Questi limiti, rispetto a quelli vigenti precedentemente all'Aia, sono stati mediamente abbassati del 50 per cento diventando più severi. In alcuni casi, per esempio nel caso dell'agglomerato del cammino E312 per le polveri, è stato posto un limite di 40 milligrammi, più severo delle prestazioni previste con le bref vigenti nel 2001 che imponevano un valore limite per gli impianti di abbattimento dei fumi di 50 milligrammi.
Altro limite restrittivo è stato imposto sulla diossina, sempre per il camino E312, che a partire dal 1o gennaio 2011 è stato portato a 0,4 nanogrammi per normal metro cubo, limite abbastanza comune all'interno degli impianti dell'unione europea.
L'altro punto importantissimo dell'Aia è sviluppato nella terza parte e riguarda un piano di monitoraggio a supporto delle tecnologie e tecniche utilizzate per tenere sotto controllo costantemente sia le performance degli impianti sia i limiti emissivi che devono essere nei limiti di legge.
Questo piano di monitoraggio e controllo ha incrementato notevolmente le frequenze e i campionamenti di controllo, ma anche la quantità di variabili da controllare rispetto al precedente decreto n. 203, per cui è un piano di monitoraggio e controllo poderoso. Il 23 febbraio abbiamo presentato al ministero dell'ambiente, all'Ispra, preposta per questo controllo, il piano di attuazione di questo piano di monitoraggio e controllo.
Un altro studio riguarda gli effetti dell'inquinamento da particolato a lungo termine e si basa su dati che vanno dal 1998 al 2010, ma è uno studio a lungo termine in cui gli stessi periti asseriscono che la misura epidemiologica rilevante dal punto di vista eziologico sarebbe l'esposizione cumulativa fin dai venti-venticinque anni prima del decesso o dell'evento sanitario quando parlano di ricoveri.
Siccome loro considerano gli eventi sanitari e i decessi avvenuti tra 1998 e 2010, se si va indietro di 20-25 anni, si parla di esposizioni che partono perlomeno dal 1973, per cui anche questo non è pertinente alla situazione attuale, ma riguarda quello che è avvenuto in un passato piuttosto lontano.
Lo studio che riguarda, invece, l'attuale situazione è quello che indaga gli effetti dell'esposizione a PM a breve termine nel periodo tra il 2004 e il 2010, quindi guarda l'associazione tra i livelli giornalieri di particolato e la mortalità. Questo è lo studio di cui parlava l'avvocato Perli.
Per quel che riguarda questo studio a breve termine, hanno fatto una stima della mortalità associata a un incremento di 10 microgrammi per metro cubo di PM, poi hanno stimato la quota attribuibile ai superamenti dei 20 microgrammi a metro cubo (...) di PM10»
Il dato evidenziato dalla dottoressa è quello per cui nella perizia dei consulenti sarebbe stato stimato un inquinamento da PM legato alle fonti industriali - nulla di specifico per l'Ilva - stimate in 8,8 microgrammi al metro cubo come media annuale per tutta Taranto, più alta in alcuni quartieri, i più vicini a Ilva e l'area industriale in generale, ossia il quartiere di Tamburi e quello di Paolo VI.
«(...) Non c'è mai un dato di quanto PM è causato da Ilva. Affermano che, della quantità di quello industriale, siccome Ilva ne produce tanto, verosimilmente una buona parte è dovuto a Ilva, ma non è quantificata la parte che le è specificatamente legata.» In merito alla riconducibilità della diossina rinvenuta negli animali abbattuti a quella proveniente dall'Ilva, l'avvocato Perli ha evidenziato come l'Ilva abbia criticato i risultati della perizia su questo punto, in quanto nella perizia non sarebbero stati considerati i siti contaminati del comparto industriale di Taranto e vicini all'insediamento produttivo di Ilva, ex Matra ed Eurecology, l'inceneritore comunale, quello ospedaliero, il termovalorizzatore di Massafra.
Ha poi prodotto un certificato della diossina rinvenuta nell'area dell'ex Matra, che è vicina allo stabilimento di Ilva, e che non è stata mai bonificata: «per questo stabilimento, dove andavano a pascolare gli animali, in cui è stata ritrovata la diossina, il certificato evidenzia una concentrazione di 15.978 nanogrammi per chilo di diossine e
II.2.2.9 I dati rappresentati dall'arpa puglia nell'ambito del convegno «Industria e ambiente» tenutosi a Terni 22/23 marzo 2012)
Nell'ambito del convegno »Industria e ambiente - Storia e futuro dello sviluppo in Italia« tenutosi a Terni dal 22 al 23 marzo 2012, il dottor Roberto Giua, direttore del centro regionale Aria di Arpa Puglia ha illustrato il caso dell'Ilva di Taranto (40). I dati esposti dal dottor Giua sono di seguito sintetizzati.
Sulla base dei dati riportati dall'Eper (European pollutant emission register), nel 2004 il 94,25 per cento delle emissioni di impianti industriali in Italia proveniva dal comparto metallurgico e nello specifico il contributo dell'Ilva di Taranto rappresentava l'88 per cento del totale. Il contributo totale in termini di emissioni di diossine da parte dell'Ilva di Taranto è stato costantemente più alto della media nazionale e il più elevato tra quelli relativi alle province italiane. Nel corso dei monitoraggi effettuati da Arpa per la ricerca di diossine, pcb, ipa totali e benzo(a)pirene in aria nell'area potenzialmente interessata dalle emissioni provenienti dall'Ilva, sono state registrate concentrazioni elevatissime di tali inquinanti. In particolare i dati relativi al 2008 per la città di Taranto hanno mostrato il costante superamento del valore limite imposto dal decreto legislativo n. 152 del 2006 per il benzo(a)pirene nel PM10 nei mesi agosto-dicembre nell'area di via Machiavelli, nelle immediate vicinanze dell'Ilva. Proprio al 2008 risale l'allarme sanitario, con ampia eco sugli organi di stampa, conseguente alle analisi effettuate dalla Asl di Taranto sugli alimenti. Nel corso di tale campagna furono controllati sedici allevamenti ovi-caprini e furono prelevati ottantaquattro campioni da aziende zootecniche per
la ricerca di diossine e Pcb diossina-simili nel latte, nei prodotti caseari, nelle carni (muscolo, fegato e grasso). Sette allevamenti su sedici e trentuno campioni su ottantaquattro risultarono non conformi. In particolare fu registrato un picco di 279 pgTEQ/g grasso nel fegato degli agnellini di trenta giorni a fronte di un valore consigliato dalla EFSA (European food safety authority) di 12 pg/g.
Il dottor Giua ha quindi segnalato alcune criticità derivanti dai limiti di emissione imposti dalla vigente normativa nazionale (decreto legislativo n. 152 del 2006) per il parametro »diossine e furani« pari a 10mila ng/Nm3 a fronte di limiti ben più bassi applicati a livello europeo (vedi tabella seguente).
A fronte di tale situazione, la regione Puglia nel 2008 ha emanato una legge regionale (legge regionale n. 44 del 2008), fissando, per le emissioni di diossine e furani, limiti più bassi della norma nazionale.
In particolare, tale legge regionale riportava, nella prima versione quanto segue:
Successivamente nell'ambito del protocollo integrativo dell'accordo di programma per l'«area industriale di Taranto e Statte» è stato definito, da Ispra di concerto con Arpa Puglia, un protocollo
L'evoluzione dei risultati del monitoraggio al camino E312 di Ilva, in termini di emissioni dal 2007 al 2010 è rappresentata nella figura seguente.
Si osserva che, precedentemente all'introduzione dei nuovi sistemi di abbattimento delle emissioni, la quantità di diossine e furani emessa dall'Ilva era particolarmente rilevante (quasi un kg/anno).
Il dottor Giua, in merito alle perizie tecniche depositate dalla procura di Taranto, ha inoltre confermato che il fingerprint, cioè l'impronta, delle diossine riscontrate nelle matrici ambientali ed animali è quello tipico delle acciaierie.
II.2.2.10 Gli accertamenti dei Carabinieri del Noe
Con nota del 3 novembre 2011, la procura della Repubblica di Taranto ha comunicato alla Commissione che, a seguito di accadimenti che interessavano le due acciaierie dell'Ilva, documentati con comunicazione di notizia di reato del Noe di Lecce del 28 gennaio 2011, è stata delegata allo stesso nucleo un'attività di osservazione e di controllo il cui esito risulta annotato nelle informative di polizia giudiziaria del 22 febbraio 2011, del 29 aprile 2011, dell'11 maggio 2011 e del 26 maggio 2011. Con tale ultima informativa i verbalizzanti avevano avanzato richiesta di un «provvedimento cautelare reale diretto ad evitare il protrarsi delle attività illecite descritte e del conseguentemente inquinamento, e che obblighi, altresì l'azienda all'adeguamento degli impianti e delle relative autorizzazioni.»
In sintesi, sarebbero state accertate due situazioni:
1) da ciascuna delle due acciaierie, visibili rispettivamente dalla via per Statte e dalla via Appia Nuova, si sprigiona un'intensa e voluminosa nube polverosa di colore rosso definibile come fenomeno di «slopping» e cioè di generazione anomala di fumi di ossidi di ferro, il cui volume istantaneo è di entità tale da non potere essere totalmente eliminato dai sistemi di aspirazione dei fumi primari e secondari;
2) la sistematica attivazione di »torce« al servizio delle acciaierie. In particolare, ogni acciaieria è dotata di tre torce che bruciano, con evidenti fiamme, i gas di scarico che vengono espulsi dai camini. Le fiammate, e quindi l'emissione in atmosfera e la
Il procuratore Sebastio nel corso dell'audizione nel mese di febbraio 2012 ha inoltre aggiunto: «Nel frattempo parlando con i Carabinieri del Noe, quando l'incidente probatorio era già in corso, sono venuto a conoscenza che, improvvisamente, nelle ore più disparate, si verificano delle emissioni strane, di fumi variamente colorati, da varie zone dello stabilimento. Faccio riferimento alle emissioni fuggitive. Pertanto, d'accordo con i Carabinieri del Noe, installammo alcune telecamere ad alta risoluzione in una zona piuttosto distante dallo stabilimento che, in tutte le ore diurne, quindi almeno dodici ore su ventiquattro, hanno monitorato costantemente l'area per quaranta giorni consecutivi. I risultati di queste registrazioni sono stati inseriti in un dvd e messi a disposizione dei consulenti.
Debbo dire che è emerso un numero notevolissimo di questi episodi che in termine tecnici chiamiamo slopping, cioè, appunto, emissioni fuggitive. Infatti, in quei quaranta giorni, mi pare che in una certa zona abbiano superato duecento episodi; in un'altra, oltre cento. Non ricordo con precisione i numeri, ma siamo in questo ordine. A ogni modo, abbiamo allegato questa indagine agli atti dell'incidente probatorio.»
In sostanza, numerosi sono i procedimenti pendenti presso la procura di Taranto, ma si tratta, all'evidenza, di procedimenti molto complessi che richiedono approfondimenti tecnici altrettanto complessi.
Dovendo trarre necessariamente una sintesi, sia alla luce delle audizioni fatte con riferimento all'Ilva di Taranto, sia alla luce delle indagini pendenti, è possibile evidenziare quanto segue.
Ci si trova di fronte ad un'area altamente inquinata, per ragioni allo stato non riconducibili univocamente a questo o a quell'altro fattore, rispetto alla quale risultano del tutto carenti le attività di bonifica o di messa in sicurezza a tutela dell'ambiente e della salute umana. Altrettanto carenti e non coordinati risultano i controlli istituzionali da parte degli enti di controllo centrali e locali. Occorre inoltre provvedere in temi brevi alla realizzazione di studi sanitari ed epidemiologici »scientificamente solidi ed indipendenti« che tengano conto delle segnalazioni provenienti dal territorio e non di statistiche non aggiornate. In tal senso, particolarmente preoccupante è che in una zona a così elevato tasso di inquinamento per anni non sia stato costituito un registro dei tumori in modo da potere monitorare con precisione se e in quale misura gli inquinanti rinvenuti nella zona abbiano avuto influenza nell'insorgenza di particolari malattie.
II.2.3 Gli illeciti ambientali nella provincia di Taranto
II.2.3.1 Le dichiarazioni rese dal prefetto e dal questore di Taranto
Un dato importante evidenziato dal prefetto e dal questore di Taranto nel corso dell'audizione svoltasi il 14 settembre 2010 presso la prefettura di Taranto - e peraltro confermato anche dai magistrati
II.2.3.2 Le informazioni fornite dalla guardia di finanza di Taranto
In data 14 settembre 2010 sono stati auditi il comandante regionale della Guardia di finanza, Francesco Patroni, e il comandante provinciale, Giuseppe Stiletti. Sono state prodotte due relazioni sull'attività svolta nel settore del traffico dei rifiuti (42), nonché relazioni più specifiche in merito al traffico transfrontaliero dei rifiuti presso il porto di Taranto (43) e sull'operazione cosiddetta «Gold plastic» effettuata dalla Guardia di finanza di Taranto.
Con riferimento specifico alle attività svolte dalla Guardia di finanza di Taranto si riportano i dati indicati nella summenzionata nota 502/2, fermo restando che di alcune questioni di particolare interesse - indagini Ilva e indagini sul traffico transfrontaliero dei rifiuti - si tratterà più nel dettaglio in successivi paragrafi.
Le attività di indagine segnalate dalla Guardia di finanza testimoniano quanto grave sia il fenomeno del traffico transfrontaliero di rifiuti, rispetto al quale il porto di Taranto funge da luogo di transito, di partenza o di arrivo (44).
Quest'ultimo procedimento ha avuto di recente uno sviluppo investigativo che ha consentito l'applicazione da parte del Gip distrettuale di Lecce di misure cautelari, personali e reali.
II.2.3.3 Le informazioni fornite dal comandante regionale del Corpo forestale dello Stato
Nella nota inviata dal comando provinciale del Corpo forestale di Taranto è stato segnalato un fenomeno gravissimo di discariche abusive e di abbandono incontrollato di rifiuti.
In particolare, con riferimento alla provincia di Taranto, sono stati evidenziati due aspetti particolarmente critici legati, da un lato, alla presenza in loco di insediamenti industriali particolarmente importanti che hanno inciso sulla situazione di degrado ambientale, dall'altro, alla presenza di numerosissime discariche abusive. Il fenomeno che è stato sottolineato come particolarmente preoccupante dal punto di vista ambientale è il deposito incontrollato di rifiuti che interessa molte aree della provincia e anche aree protette, come il parco naturale della Terra delle Gravine, il parco nazionale del Gargano, il parco nazionale dell'Alta Murgia.
Alcune informazioni sono state acquisite tramite il documento prodotto dal Corpo forestale dello Stato (45).
In provincia di Taranto il fenomeno delle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, nel quale deve comprendersi oltre alle discariche abusive anche l'abbandono e il deposito incontrollato sul e nel suolo e nelle acque superficiali e nelle falde acquifere, sta assumendo proporzioni allarmanti con gravissime ripercussioni sugli aspetti ambientali e paesaggistici del territorio.
Particolare importanza riveste, altresì, il problema dell'abbandono dei rifiuti nelle aree protette. Nel territorio della provincia di Taranto è emerso che il 32 per cento dei SIN insistono su aree sottoposte a vincolo ambientale, dato, questo, fortemente allarmante se si considera il fatto che tali territori, per definizione, dovrebbero godere del massimo grado di attenzione e tutela.
Anche per la provincia di Taranto non sono finora emerse situazioni che inducano a pensare alla esistenza di sodalizi malavitosi. Le violazioni più diffuse rilevate fino ad oggi dal Corpo forestale dello Stato possono essere considerate nel complesso come azioni che pur se ascrivibili al settore penale, devono essere intese essenzialmente come comportamenti derivati da scarso senso civico.
Nell'arco temporale 2008-2010 sono stati accertati prevalentemente reati di discarica abusiva, abbandono di rifiuti speciali non pericolosi, trasporto illecito di rifiuti, mancato possesso del formulario, deposito di rifiuti incontrollato.
II.2.3.4 Le informazioni fornite dal procuratore della Repubblica di Taranto, Franco Sebastio, e dal sostituto procuratore Buccoliero
I magistrati della procura della Repubblica di Taranto sono stati auditi il 14 luglio a Roma, nonché nel corso della prima missione in Puglia (svoltasi dal 14 al 16 settembre 2010) presso la prefettura di Taranto.
II.2.3.4.1 Le indagini relative al traffico transfrontaliero dei rifiuti
In relazione al traffico transfrontaliero di rifiuti si rimanda alla parte IV della relazione in quanto l'argomento può essere adeguatamente trattato in una prospettiva più ampia che interessa in misura più o meno importante tutte le province pugliesi.
Conclusioni relative alla provincia di Taranto
Gli approfondimenti della Commissione hanno consentito di verificare una serie di evidenti e gravi problematicità dal punto di vista ambientale che caratterizzano il territorio della provincia di Taranto.
Le problematiche riscontrate possono essere affrontate seguendo tre filoni:
l'inquinamento derivante dalla presenza di imponenti attività industriali e dallo smaltimento illecito di rifiuti solidi e liquidi che hanno determinato nel tempo la contaminazione di vaste aree, sì da rendere necessarie consistenti attività di bonifica;
l'inquinamento derivante dalla presenza di numerose discariche abusive;
il traffico transregionale dei rifiuti, destinati illecitamente per lo smaltimento presso discariche site sul territorio della provincia di Taranto (discarica Vergine e discarica Ecolevante);
il traffico transfrontaliero dei rifiuti, che ha avuto quale principale punto di snodo il porto di Taranto.
A fronte di una situazione ambientale qualificabile in termini di vero e proprio disastro si rileva del tutto inadeguata l'attività di bonifica dei siti contaminati.
Con riferimento poi all'indagine che è in corso in merito all'inquinamento presumibilmente riconducibile all'attività dell'Ilva, i dati acquisiti nel corso dell'incidente probatorio, sia per ciò che concerne la perizia chimica che per ciò che concerne la perizia epidemiologica (pur fortemente contestati dall'Ilva, come sopra evidenziato)
II.3 La provincia di Brindisi
II.3.1 Il ciclo dei rifiuti nella provincia di Brindisi
La provincia di Brindisi risulta suddivisa in due ambiti territoriali ottimali e precisamente nei bacini Ato BR1 e Ato BR2.
Ato BR1
Attualmente l'Ato BR1 è servito dalla discarica nella titolarità del comune di Brindisi e gestito dal medesimo. Presso tale discarica, in forza di ordinanza del presidente della provincia di Brindisi, vengono smaltiti i rifiuti dell'intero bacino.
Questa gestione assume il carattere delle temporaneità in quanto, così come previsto nel piano regionale di gestione dei rifiuti, è già stato realizzato l'impianto complesso di biostabilizzazione, selezione e produzione di cdr nell'area industriale del comune di Brindisi e per il quale la regione Puglia ha rilasciato l'autorizzazione integrata ambientale che consentirà nel breve periodo l'entrata in esercizio del suddetto impianto.
Sempre nel comune di Brindisi è prevista la realizzazione di un impianto di compostaggio a servizio dell'intera provincia.
Ato BR2
I rifiuti prodotti dai comuni dall'Ato BR2, a fronte dell'esaurimento delle volumetrie disponibili presso la discarica in agro di Francavilla Fontana e nelle more del completamento dei lavori di realizzazione dell'impianto di biostabilizzazione e discarica di servizio, vengono conferiti presso la discarica della città di Brindisi a sevizio del bacino BR1.
Con l'avvio dell'impianto a regime, la frazione secca verrà avviata a produzione di cdr presso l'impianto di Brindisi.
La dotazione impiantistica verrà completata con la discarica di servizio da realizzarsi in agro di Oria.
II.3.2 Gli illeciti ambientali nella provincia di Brindisi
II.3.2.1 Le dichiarazioni rese dal procuratore della Repubblica di Brindisi, dal prefetto e dalle forze di polizia operanti sul territorio
Il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Brindisi, in sede di audizione innanzi alla Commissione il 14 luglio 2010, ha precisato come la zona di Brindisi sia una di quelle più utilizzate per lo smaltimento dei rifiuti pericolosi, di rifiuti tossici e di rifiuti nocivi, e ciò sia negli anni passati che attualmente.
I canali utilizzati sono di tre tipi:
conferimento in discarica non autorizzata di rifiuti pericolosi, tossici e nocivi, provenienti non solo dal Salento, ma anche dalle Marche, dal Lazio e dal Veneto, attraverso la falsificazione dei formulari di identificazione dei rifiuti, della indicazione di codici CER impropri e dell'utilizzazione di analisi compiacenti. Attraverso questo sistema sarebbero state avviate presso discariche non autorizzate decine di migliaia di tonnellate di rifiuti pericolosi, tossici e nocivi;
avviamento alla termovalorizzazione di rifiuti di probabile provenienza industriale. Il termovalorizzatore di Brindisi è stato sequestrato e al suo interno sono stati rinvenuti millecento fusti non etichettati contenenti rifiuti pericolosi (presso l'inceneritore si era infatti verificato un infortunio sul lavoro e l'operaio che aveva aperto uno dei fusti aveva subito contaminazioni da acido formico. Presso il sito ove è ubicato l'inceneritore sono state, inoltre, rinvenute otto vasche contenenti rifiuti liquidi non identificati, tra cui certamente il caprolattame. In sostanza, presso l'inceneritore venivano fatti confluire rifiuti non autorizzati che, a seguito della combustione, determinavano fuoriuscite dal camino dell'inceneritore di fumi bluastri, indice dell'emissione di sostanze contenenti zolfo. Ciò era stato possibile attraverso l'alterazione del software che annotava i dati dei rilevatori al camino);
il tombamento di rifiuti industriali (decine di migliaia di tonnellate) con materiale calcareo e con materiale da costruzione (decine di migliaia di tonnellate).
Con riferimento alle tecniche investigative utilizzate, il procuratore ha evidenziato come, operando con la proficua e professionale collaborazione del Noe e del Corpo forestale dello Stato, siano stati effettuati numerosi servizi di osservazione, videoriprese nonché, in modo massiccio, le intercettazioni ambientali e telefoniche che in molti casi sono riuscite a disvelare la falsa documentazione di accompagnamento ai rifiuti.
Particolarmente importante in questo tipo di indagini è poi l'accertamento diretto sui camion, in quanto, una volta giunti i camion in discarica, diventa molto più difficile, se non impossibile, ricostruire la provenienza dei rifiuti e quindi risalire agli autori dei reati.
Il procuratore della Repubblica di Brindisi ha anche sottolineato la scopertura di diversi posti di sostituto procuratore, il che ovviamente rende più difficile lo svolgimento di accurate indagini.
La prefettura, secondo quanto dichiarato dal prefetto, già da qualche anno svolge attività di sensibilizzazione nei confronti degli enti territoriali e di quelli aventi specifica competenza in ambito sanitario e ambientale per richiamarne l'attenzione sulla necessità di attivare ogni possibile forma di collaborazione sinergica per migliorare le attività di monitoraggio e vigilanza sulla corretta gestione delle discariche.
Analogo intervento è stato posto in essere nei confronti delle forze di polizia perché sviluppassero, nel quadro delle attività di prevenzione e controllo del territorio, una puntuale azione di vigilanza in relazione ad eventuali fenomenologie criminali e di sicurezza nello specifico settore.
Il prefetto al riguardo ha inteso sottolineare come l'attività delle forze di polizia, sia in funzione preventiva che repressiva, è stata molto intensa e ha permesso di conseguire importanti risultati in una provincia in cui numerosi sono gli illeciti che si registrano nel settore della gestione di rifiuti, sia di rilevanza penale, sia di rilevanza amministrativa e nelle diverse fasi della gestione: dal trasporto, al trattamento e recupero, allo smaltimento.
Al riguardo le forze di polizia impegnate sul territorio (Corpo forestale dello Stato, Guardia di finanza e Carabinieri) hanno condotto una significativa attività d'indagine e contrasto relativa al traffico illecito, sia per la gravità dell'ipotesi delittuosa e sia per le implicazioni che detti traffici possono determinare sull'ambiente e sulla salute della popolazione.
In tale ambito, una complessa attività di indagine coordinata dalla procura della Repubblica di Brindisi, conclusasi nel marzo del 2009, ha consentito di portare alla luce lo smaltimento illecito di rifiuti non pericolosi, pericolosi e tossico-nocivi, avvenuto in modo clandestino, ricorrendo anche all'artificiosa declassificazione dei rifiuti stessi, al fine di consentirne lo smaltimento nella citata discarica per rifiuti speciali non pericolosi sita in località Formica del territorio di Brindisi. Tale illecita attività ha visto coinvolti una pluralità di soggetti, collegati, a vario titolo, a società operanti nel settore dello smaltimento in ambito nazionale, delle quali tre con sede in Puglia, una a Montecassino e una in provincia di Treviso, colpite da sequestro preventivo per un valore di 30 milioni di euro. In particolare sono stati sottoposti a sequestro cinque impianti adibiti a raccolta, trasporto,
II.3.2.2 I procedimenti più significativi in materia ambientale effettuati presso la procura di Brindisi
In relazione all'incidenza della criminalità nel campo del ciclo dei rifiuti, la procura della Repubblica presso il tribunale di Brindisi ha comunicato che il numero dei procedimenti penali in corso, relativi ai reati previsti dall'articolo 256 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sono ventotto iscritti a modulo 44 contro ignoti e centotrentasei iscritti a modulo 21 contro persone note.
Fra questi è stato segnalato il procedimento penale n. 4077/06 R.G.N.R. mod. 21 a carico di Fiorillo Vincenzo + dodici per i reati di cui agli articoli 110 e 256, n. 1, e seguenti del citato decreto legislativo.
In relazione a questo procedimento le indagini condotte hanno consentito di svelare un vasto traffico di rifiuti articolato a livello interregionale con illecito conferimento nella discarica «Formica» di Brindisi. Al riguardo sono state richieste ed emesse numerose misure cautelari, personali e reali, con ampia risonanza mediatica nazionale (Noe di Lecce).
È stata inviata alla Commissione una nota da parte del procuratore di Brindisi (46) con la quale sono stati segnalati, in particolare, due procedimenti.
Il primo, recante n. 8206/07 R.G.N.R. mod. 21, a carico del legale rappresentante della società consortile «Francavilla Ambiente srl» (società autorizzata alla gestione della discarica sita in Francavilla Fontana esclusivamente con riferimento ai rifiuti solidi urbani), del trasportatore dei rifiuti speciali pericolosi e del legale rappresentante della società «Monteco Srl», proprietaria del mezzo, nonché di un dipendente della società «Lombardi ecologia Srl», consorziata nella Francavilla Ambiente, addetto alla suddetta discarica.
Agli imputati, in relazione ai quali è stata formulata richiesta di rinvio a giudizio, sono contestati i reati di cui agli articoli 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti), 256, comma 1, lettera b), commi 3 e 5, e articolo 187, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006 (attività di gestione di rifiuti non autorizzata e violazione del divieto di miscelazione di rifiuti pericolosi).
Considerazioni di sintesi in merito agli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti nel territorio rientrante nel distretto di corte d'appello di Lecce.
I dati acquisiti dalla Commissione con riferimento alla provincia di Lecce consentono di delineare un quadro preoccupante per quel che concerne la gestione del ciclo dei rifiuti e le infiltrazioni della criminalità organizzata.
Di particolare importanza si palesa la sentenza emessa dalla corte d'appello di Lecce con cui è stato riconosciuto valido e adeguatamente dimostrato l'impianto accusatorio della procura nel procedimento a carico di Rosafio Rocco + trentacinque. Non solo è stata riconosciuta l'esistenza di associazioni criminali riconducibili alla sacra corona unita, ma anche l'utilizzo del metodo mafioso per il controllo del settore dei rifiuti attraverso l'esercizio di una forza di intimidazione derivante proprio dal vincolo associativo.
Il settore dei rifiuti è stato caratterizzato, almeno per un certo periodo di tempo, da una sorta di monopolio di fatto, basato sulla disponibilità di mezzi e sulla possibilità di praticare prezzi concorrenziali in ragione delle modalità illecite dello smaltimento. Deve però osservarsi che diverse imprese sono oggi controllate dalla prefettura in quanto direttamente o indirettamente riconducibili a soggetti presumibilmente affiliati o vicini ad associazioni mafiose, il che evidenzia l'attualità del pericolo inerente a una pervasiva ingerenza di organizzazioni criminali nel settore dei rifiuti.
Sebbene anche con riferimento alla provincia di Lecce le informazioni fornite dagli auditi paiano in taluni casi divergenti, soprattutto con riferimento alle infiltrazioni della criminalità organizzata di stampo mafioso, tuttavia talune indagini che hanno riguardato sia il traffico transregionale che quello transnazionale dei rifiuti forniscono uno spaccato, necessariamente parziale, ma emblematico della ingerenza di associazioni criminali, locali e non, nel settore dei rifiuti.
In questa sede, peraltro, quello che maggiormente interessa al fine di comprendere la situazione realmente esistente sul territorio pugliese, non è solo di capire se vi siano organizzazioni endogene che presentino le connotazioni tipiche della criminalità organizzata di stampo mafioso; quello che è importante comprendere è se, nel momento in cui le organizzazioni criminose che operano sul territorio pugliese si interfacciano con la camorra napoletana o con la 'ndrangheta
Premessa
La terza parte della relazione tratta della pianificazione regionale e delinea il quadro relativo alle bonifiche dei siti contaminati. Le
III.1 L pianificazione regionale
III.1.1. Il ciclo dei rifiuti nella regione Puglia
In data 2 febbraio 2011 il presidente della regione Puglia, Nichi Vendola, ha prodotto nel corso dell'audizione un documento intitolato «Il ciclo dei rifiuti nella regione Puglia» (47).
Il piano regionale di gestione dei rifiuti, in fase di aggiornamento, prevede che:
il territorio venga suddiviso in quindici bacini di utenza;
entro il 2015 la produzione dei rifiuti sia ridotta del 10 per cento;
entro il 2015 si raggiungano valori del 60 per cento di raccolta differenziata e di successivo recupero di materia;
gli inceneritori non siano alimentati con rsu «tal quale», ma con cdr;
il recupero della frazione organica di qualità, da raccolta differenziata, raggiunga il fabbisogno di 1600 tonnellata/giorno al 2015;
la produzione di frazione secca permetta la produzione di cdr da utilizzare per il recupero energetico nei termovalorizzatori, con una potenzialità di 1.200 tonnellate/giorno al 2015;
la discarica sia utilizzata per un fabbisogno di 2.250 tonnellate/giorno al 2015;
il rifiuto biostabilizzato maturo da trattamento meccanico-biologico venga utilizzato per attività di ripristino ambientale.
Per quanto attiene ai trattamenti meccanici e biologici, il piano prevede che i rifiuti residuali da raccolta differenziata siano sottoposti a trattamento biologico a flusso unico della durata non inferiore a due settimane e, successivamente, a trattamento meccanico di separazione
- vagliatura a maglia < 80 mm - della frazione secca da quella umida. È previsto, ancora, che il materiale prodotto abbia un indice respirometrico dinamico potenziale (Irdp) non superiore a 800 mgO2 III.1.1.1 Dotazione impiantistica secondo le previsioni di piano
Discariche per rifiuti non pericolosi attive al 2008
Dotazione impiantistica complessiva per la provincia di Bari e Barletta-Andria-Trani
Dotazione impiantistica per la provincia di Brindisi
Dotazione impiantistica provincia di Foggia
Dotazione impiantistica provincia di Lecce
Dotazione impiantistica provincia di Taranto
Il numero di impianti per il trattamento di separazione secco/umido di tipo meccanico-biologico è esiguo. La capacità autorizzata di 370.155 tonnellate/anno è stata utilizzata nel 2008 per un totale di 312.159 tonnellate, secondo la seguente tabella:
(*) BS = biostabilizzato
Avendo la regione adottato come scelta strategica l'aumento delle percentuali di raccolta differenziata e del reimpiego di materia, in riferimento alla realizzazione di nuovi impianti per il recupero energetico della frazione secca dei rifiuti, si è scelto di escludere la previsione di realizzazione di impianti di incenerimento di rifiuti «tal quale» e, in riferimento all'utilizzo del cdr, di verificare la disponibilità di impianti industriali già esistenti sul territorio regionale in grado di utilizzare il cdr in sostituzione del combustibile convenzionale.
Nella seguente tabella si riportano i dati relativi agli impianti privati che attualmente utilizzano il cdr in co-incenerimento, che sono stati autorizzati per farlo o per cui è in corso il procedimento di approvazione da parte dell'ente competente:
Eta (Manfredonia-FG)
Ecoenergia - (Modugno-BA)
Appia Energy (Massafra-TA)
Amiu Taranto (Statte - TA)
L'impianto integrato Amiu si inserisce quindi in una diversa ottica di gestione integrata dei rifiuti che:
Sul territorio regionale insistono impianti di compostaggio privati che vengono utilizzati, sia pure in minima parte, per il trattamento della frazione organica raccolta in maniera differenziata:
Nel piano regionale è evidenziato come la regione Puglia abbia sottoscritto un protocollo d'intesa con il consorzio italiano compostatori (CIC) nel 2007 al fine di individuare le migliori strategie per la valorizzazione e l'implementazione della frazione organica.
III.1.2.2 La produzione e la gestione dei rifiuti speciali. I criteri di localizzazione degli impianti
Il piano ha previsto una più puntuale definizione dei criteri per l'individuazione delle zone idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti, nonché delle zone non idonee alla localizzazione di impianti di recupero e di smaltimento dei rifiuti.
Per quanto riguarda le discariche, oltre alla definizione degli aspetti localizzativi, sono stati definiti dei criteri costruttivi ulteriori per le discariche da autorizzare in sottocategorie relativamente alla gestione del percolato e del biogas.
III.1.2 Le dichiarazioni del presidente della regione, Nichi Vendola
III.1.2.1 Dalla dittatura delle discariche alla dittatura dei termovalorizzatori
Il presidente Vendola, sin dall'inizio dell'audizione tenutasi il 2 febbraio 2011, ha formulato due premesse:
Proprio con riferimento a questa seconda premessa, il presidente ha evidenziato che il rischio concreto che si corre nelle regioni del sud Italia è il passaggio dalla dittatura delle discariche alla dittatura degli inceneritori.
Inoltre presso l'inceneritore dell'Amiu Taranto viene conferito il rifiuto indifferenziato prodotto dalla città di Taranto. Presso il suddetto impianto sono stati conferiti, nell'anno 2010, 22.436,660 tonnellate di rifiuto urbano tal quale.
III.1.3.2 La raccolta differenziata.
Con riferimento alla raccolta differenziata il presidente Vendola, una volta evidenziato che i livelli di raccolta differenziata si attestano mediamente su percentuali basse (16 per cento), ha indicato le due strade che devono necessariamente essere percorse per potere far decollare in maniera uniforme sul territorio regionale la raccolta differenziata.
III.1.3.3 Gli illeciti ambientali e l'inserimento della criminalità organizzata nel ciclo dei rifiuti.
III.2 Il quadro relativo alle bonifiche dei siti contaminati
III.2.1 Il piano regionale delle bonifiche e il piano stralcio
La regione Puglia, nell'ambito del piano di gestione dei rifiuti urbani, ha adottato nel 2001, con decreto del commissario delegato per l'emergenza ambientale, un piano di bonifica dei siti contaminati. Tale piano assume particolare importanza perché rappresenta il primo strumento di pianificazione regionale in conformità a quanto disposto dalla normativa nazionale (decreto legislativo n. 22 del 1997).
In particolare, il piano stralcio individua i siti elencati nel piano del 2001 sui quali non si è intervenuto, i siti segnalati dalle province nell'ambito di tavoli di concertazione svolti nell'ultimo anno, i siti per cui gli stessi comuni hanno fatto istanza di finanziamento per caratterizzazione/bonifica ed i siti oggetto di segnalazione da parte delle forze dell'ordine nell'ambito di un accordo di programma quadro per il monitoraggio dei siti inquinati presenti nel territorio regionale.
Al fine di attualizzare le informazioni relative al quadro generale delle bonifiche in tutte le regioni italiane e nello specifico in Puglia, la Commissione ha ritenuto opportuno formulare una specifica richiesta agli assessorati regionali sui seguenti punti:
Sono stati inoltre richiesti i dati relativi ai quantitativi di rifiuti pericolosi e non pericolosi prodotti dalle operazioni di bonifica dei terreni e risanamento delle acque di falda (codici CER 19.13.01*
III.2.2 I siti di interesse nazionale
Alla perimetrazione dei SIN provvede il Ministero dell'ambiente, sentiti comuni, province, regioni ed altri enti locali. La procedura di bonifica è attribuita alla competenza del Ministero dell'ambiente, sentito il ministero delle attività produttive. Il Ministero può avvalersi anche dell'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (Apat ora Ispra), delle agenzie regionali per la protezione dell'ambiente (Arpa/Appa), delle regioni interessate e dell'Istituto Superiore di Sanità (ISS), nonché di altri soggetti qualificati pubblici o privati.
III.2.2.1 Sito di Manfredonia
Il sito di Manfredonia è incluso nell'elenco dei siti di bonifica di interesse nazionale, di cui all'articolo 1, comma 4, della Legge 9 dicembre 1998, n. 426 ed è stato perimetrato con decreto del Ministro dell'ambiente e tutela del territorio del mare del 10 gennaio 2000, pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 47 del 26 febbraio 2000. L'area perimetrata a terra è pari a circa 201 ettari mentre l'area a mare è circa 8,6 chilometri quadrati.
Inoltre, il sito si compone delle seguenti aree pubbliche:
Il sito è caratterizzato dalla presenza di alcune discariche non controllate di rifiuti urbani ed industriali. I contaminanti presenti nei suoli sono costituiti prevalentemente da benzene, etilbenzene, toluene, xilene, caprolattame, ipa, arsenico, mercurio, piombo e zinco, mentre nelle acque di falda sono presenti benzene, etilbenzene, toluene, xilene, caprolattame, ipa, arsenico, mercurio, zinco, alluminio, nichel, piombo, nonché azoto ammoniacale.
Su tale progetto, il ministero dell'ambiente, non ritenendo sufficientemente cautelativa per la salvaguardia ambientale la proposta, tenuto conto della possibilità di percolazione in falda dei fluidi delle discariche in assenza di impermeabilità certa del sottofondo, richiedeva una serie di integrazioni e prescrizioni connesse alla necessità:
Alla luce di ciò Sviluppo Italia aree produttive, società incaricata dalla struttura commissariale, ha provveduto, a partire da luglio 2005, ad una serie di approfondimenti di indagine mirati alla definizione del quadro quali-quantitativo del problema al fine di perseguire la possibilità di revisionare il progetto di bonifica e/o messa in sicurezza permanente secondo un approccio di intervento con maggiori garanzie ambientali.
Relativamente infine alle aree a mare, a seguito della conferenza di servizi del 15 gennaio 2008, è stata impedita la commercializzazione di molluschi coltivati nelle aree marine prospicienti il sito di Manfredonia, in attesa dell'acquisizione e convalida dei risultati della caratterizzazione del fondo marino che dimostrino concentrazioni dei contaminanti inferiori ai valori di intervento e compatibili con questo tipo di attività. Tali risultati sono stati oggetto di valutazione da parte dell'Ispra, che ha evidenziato la presenza di aree contaminate da mercurio anche nei sedimenti più profondi e la presenza di composti organici a concentrazioni non elevate ma significative. Sono state invece escluse, alla luce dei risultati delle indagini ecotossicologiche, situazioni di evidente tossicità e di contaminazione microbiologica. Attualmente si è in attesa delle analisi di validazione da parte dell'Arpa Puglia relativa allo stato di contaminazione, utili a verificare che le concentrazioni di contaminanti siano compatibili con le attività di molluschicoltura.
III.2.2.2 Il sito di Bari-Fibronit
Il sito di interesse nazionale di Bari - Fibronit è stato inserito tra i siti da bonificare d'interesse nazionale con il decreto n. 468 del 2001 ed è stato perimetrato con decreto ministeriale dell'8 luglio 2002 e pubblicato in Gazzetta ufficiale n. 230 del 1o ottobre 2002.
Dopo l'inserimento nell'elenco dei siti di interesse nazionale, questa area è stata oggetto di lavori di messa in sicurezza di emergenza, con eccezione dei sottosuoli e dei piani interrati, da parte sia del comune di Bari sia del commissario delegato per l'emergenza ambientale in Puglia. Gli interventi attuati sono stati finalizzati a bonificare una serie di capannoni con amianto sulle superfici di copertura ed una impermeabilizzazione temporanea dei terreni per evitare la dispersione in atmosfera di fibre di amianto.
III.2.2.3 Sito di Brindisi
L'articolo 1 della legge n. 426 del 1998 ha individuato, al comma 4, tra gli altri, il sito di Brindisi quale «area» industriale e sito ad alto rischio ambientale. Il sito è stato perimetrato con decreto del Ministro dell'ambiente del 10 gennaio 2000 e si affaccia sul Basso Adriatico con uno sviluppo costiero di circa 30 km. Le attività industriali e commerciali presenti nel sito perimetrato si possono suddividere in cinque tipologie:
Tra le aree pubbliche, insieme alle ultime due tipologie, rientrano anche le aree marine. Le principali criticità ambientali sono determinate dalle contaminazioni di seguito riportate.
All'interno del polo chimico ricadono le aree di proprietà Eni (Enipower e Syndial). Sulla base delle informazioni fornite alla Commissione durante la missione in Puglia del 14 settembre 2010 il quadro ambientale delle suddette aree può essere rappresentato come segue. L'accordo definisce una procedura semplificata, che permette ai soggetti privati l'utilizzo delle aree industriali in tempi ridotti e certi senza dover attendere la conclusione dell'intervento di bonifica. Diversamente, infatti, i soggetti privati che non intendano procedere alla sottoscrizione dell'atto transattivo dovranno completare l'intervento di bonifica, attestare il rientro dei livelli di inquinamento (dei suoli e/o della falda) nei limiti previsti dalla normativa e successivamente richiedere il riutilizzo dell'area. Inoltre il rispetto della tempistica stabilita è garantito dal coinvolgimento, definito puntualmente in specifici protocolli operativi, dei soggetti pubblici attuatori (es. Ispra, Arpa Puglia) nelle diverse fasi.
L'accordo, al fine di accelerare gli interventi di caratterizzazione del SIN (necessari per definire la presenza o meno di inquinamento e il successivo eventuale avvio delle attività di bonifica), ha previsto la definizione di uno specifico protocollo operativo, da parte di Ispra (ex Apat) e istituto superiore di sanità. Tale protocollo che è stato elaborato entro trenta giorni dalla sottoscrizione dell'accordo, rappresenta il quadro di riferimento per i soggetti privati mettendoli in condizione di operare secondo criteri operativi condivisi e anche in assenza di specifiche autorizzazioni. In particolare nel protocollo operativo sono definiti: la strategia da seguire per il campionamento; i parametri da ricercare; le metodologie da utilizzare; i criteri da adottare per l'esecuzione delle analisi e la validazione delle stesse.
I soggetti privati obbligati possono conguagliare gli oneri dovuti a titolo di danno ambientale, con i maggiori costi che gli stessi sosterranno qualora realizzino interventi di natura produttiva che permettano di ottenere performance ambientali superiori ai limiti previsti dalla normativa vigente. Tale differenza può infatti essere
III.2.2.4 Sito di Taranto
L'articolo 1 della legge n. 426 del 1998 ha individuato, al comma 4, tra gli altri, il sito di Taranto quale «area» industriale e sito ad alto rischio ambientale.
Tab. 1 - SIN di Taranto contaminazione dei sedimenti a mare
Si riportano di seguito gli aggiornamenti sulle attività di controllo relative all'area Ilva di Taranto (49) trasmessi dall'Arpa Puglia a questa Commissione nel mese di novembre 2011.
Si sottolinea che tutte le discariche all'interno dello stabilimento sono escluse dal provvedimento di Aia precedentemente citato, che rimanda, per la loro autorizzazione, ad una fase successiva, «data la complessità e la peculiarità dell'impianto» (l'Aia è stata successivamente rilasciata, come evidenziato nella parte della relazione relativa all'Ilva di Taranto ed attualmente è in fase di riesame).
Con la determinazione n. 178 del 16 novembre 2005 è stato altresì approvato il piano di adeguamento della discarica ai sensi del decreto legislativo n. 36 del 2003.
Inoltre, in asservimento all'intero sistema di discariche in area Cava Mater Gratiae, era prevista l'installazione di una stazione In particolare, con nota con prot. DVA-00-2011-0005570 dell'8 marzo 2011 la ditta ha specificato che il codice 10.02.99 si riferisce a tre tipologie di rifiuti prodotti in stabilimento: polveri da pulizia piazzali, polveri da pulizie industriali di impianti, polveri di sottovaglio e bricchette frantumata da impianto di produzione bricchette. Per tali rifiuti il gestore ha inviato le caratterizzazioni analitiche, prive però di specifiche analisi sulle diossine, su tal quale ed eluato, dimostrando la non pericolosità del rifiuto.
Per il controllo dell'eventuale impatto derivante dalle emissioni diffuse dovute all'esercizio della discarica si è proceduto al rilievo, con frequenza trimestrale, delle polveri raccolte in due deposimetri, denominati «A» e «B», ubicati rispettivamente ad una distanza dalla discarica di 500 e 750 metri in direzione del comune di Statte.
III.2.3 I siti di interesse regionale
III.2.3.1 Interventi sui siti di interesse pubblico
Dalla data di pubblicazione del decreto del commissario delegato n. 41 del 2001 fino al maggio 2009, il commissario delegato prima ed il Servizio gestione rifiuti e bonifica poi, hanno finanziato un totale di centonovantasette interventi, tra caratterizzazioni, messe in sicurezza d'emergenza e bonifiche/messe in sicurezza permanente.
Tab. 2 - Siti di interesse regionale: interventi finanziati
È da osservare che molti dei siti che hanno beneficiato di finanziamenti sono stati utilizzati in passato come luoghi di conferimento di rifiuti solidi urbani, mentre meno numerosi sono i siti affetti dalla presenza di rifiuti speciali. Siti regionali interessati dagli interventi
Le azioni a sostegno dell'ambiente effettuate sui siti contaminati hanno richiesto uno sforzo economico variabile da sito a sito. Nella successiva tabella sono riportati i costi medi per le singole tipologie di intervento su scala provinciale, nonché (sull'ultima colonna) quelli medi su scala regionale.
Costi medi per tipologia di intervento
III.2.3.2 Gli interventi sui siti privati
Con l'approvazione del decreto legislativo n. 152 del 2006, le competenze relative al rilascio delle autorizzazioni inerenti le varie fasi dell'iter di bonifica sono state trasferite dal comune alla regione, che ha costituito la segreteria tecnica bonifiche del Servizio regionale rifiuti e bonifica, assegnando ad essa il compito di realizzare l'elenco dei siti potenzialmente contaminati rilevati sul territorio regionale. Esso comprende tutti i siti sui quali è risultato necessario svolgere azioni finalizzate alla determinazione dello stato di contaminazione, al miglioramento della qualità ambientale, ovvero alla mitigazione dello stato di deterioramento. L'elenco dei siti potenzialmente contaminati comprende, inoltre, sia quelli per i quali sono stati erogati finanziamenti pubblici che i siti privati, le cui azioni di intervento sono state sostenute da risorse private. Situazione relativa alle tipologie dei siti potenzialmente contaminati in Puglia:
Distribuzione sul territorio della regione dei siti potenzialmente contaminati:
I siti nella banca dati dell'ufficio bonifica (piccole aree comprese) costituiscono il cuore di un database geografico. Ogni sito è stato perimetrato in ambiente GIS (geographical information system) e ad esso sono state associate alcune informazioni di base.
III.2.4 L'aggiornamento dell'elenco
Negli anni successivi all'adozione del piano delle bonifiche dei siti inquinati, l'amministrazione regionale e le amministrazioni provinciali hanno provveduto ad erogare ai comuni fondi per la caratterizzazione/bonifica di numerosi siti. Tuttavia, nonostante siano stati emanati diversi bandi per l'erogazione di risorse finalizzate alla bonifica/risanamento, molti comuni, anche quelli in cui ricadevano i siti presenti nel piano 2001, non hanno presentato richiesta di finanziamento. Ciò è spiegabile probabilmente con la circostanza che molte delle criticità elencate nel piano del 2001 non costituivano, in realtà, problematiche ambientali tali da richiedere un'azione di bonifica o di messa in sicurezza permanente.
III.2.5. Siti oggetto dell'infrazione comunitaria
Nel 2001 il Corpo forestale dello Stato ha svolto sull'intero territorio nazionale un censimento delle aree in cui si era verificato il reiterato abbandono di rifiuti o dei siti adibiti a discariche incontrollate non bonificate o non messe in sicurezza al momento della cessazione del conferimento dei rifiuti; sul territorio pugliese sono state censite circa milleduecento aree degradate. Il censimento ha determinato l'avvio, nei confronti dello Stato italiano, della procedura d'infrazione comunitaria n. 2003/2077, ai sensi dell'articolo 228 del Trattato - causa C - 135/05.
Siti oggetto di procedura di infrazione comunitaria sul territorio pugliese:
Con le procedure di concertazione per gli interventi in area vasta, la regione è in procinto di finanziare una serie di interventi di bonifica-messe in sicurezza permanente. Non sono previste operazioni di caratterizzazione, bonifica o messa in sicurezza permanente (misp) nel territorio afferente all'area Vasta Tarantina.
L'azione 2.5.4 «Bonifica dei siti inquinati di interesse nazionale e regionali» al p. 2) del P.P.A., rubricato elenco e descrizione dei singoli interventi-attività lettera b), prevede l'attivazione di iniziative riferite ad interventi di caratterizzazione, bonifica e/o messa in sicurezza permanente e di messa in sicurezza di emergenza di siti di interesse regionale potenzialmente contaminati definiti di intesa con le amministrazioni provinciali; sono stati definiti i criteri di selezione Elenco delle proposte che è possibile finanziare:
III.2.6 Approfondimenti sanitari e indagini epidemiologiche che hanno interessato il territorio pugliese.
III.2.6.1 Le risultanze dello studio Sentieri per i SIN di Bari-Fibronit, Brindisi, Manfredonia e Taranto.
Il progetto Sentieri (50) (studio epidemiologico nazionale territori e insediamenti esposti a rischio da inquinamento), coordinato dall'istituto
superiore di sanità tra il 2007 e il 2010 nell'ambito del programma strategico ambiente e salute, promosso dal ministero della salute, è stato realizzato in collaborazione con il Centro europeo ambiente e salute dell'organizzazione mondiale della sanità, il dipartimento di epidemiologia del servizio sanitario regionale del Lazio, il Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa e l'Università di Roma La Sapienza. Sentieri ha valutato la mortalità della popolazione residente in quarantaquattro siti di interesse nazionale per le bonifiche in un periodo di otto anni.
I risultati dello studio, pubblicati sul numero 35 della rivista «Epidemiologia e prevenzione» del mese di settembre - dicembre 2011, sono di seguito riassunti per ciascuna delle suddette aree.
Bari Fibronit.
Tra le principali cause di morte sia negli uomini sia nelle donne risulta un eccesso di mortalità per tutte le cause, per tutti i tumori e per malattie dell'apparato respiratorio, mentre nelle donne si rileva un eccesso per le malattie dell'apparato digerente. Una volta corretta per indice di deprivazione, risulta superiore all'atteso anche la mortalità per malattie dell'apparato circolatorio in entrambi i generi, dell'apparato digerente negli uomini e dell'apparato genito-urinario nelle donne.
Brindisi.
La maggior parte delle principali cause di morte analizzate mostra, in entrambi i generi, un numero di decessi osservati simile agli attesi. Nelle donne tutte le cause, le malattie del sistema circolatorio e le malattie del sistema genitourinario, risultano in difetto rispetto alla mortalità attesa. Per quanto riguarda le cause di morte per le quali vi è a priori evidenza sufficiente o limitata di associazione con Lo studio ha preso in considerazione anche una componente occupazionale del rischio, analizzando il rischio relativo per gruppi specifici di lavoratori con diverse mansioni (agricoltori, pescatori, allevatori, lavoratori della fonderia, dell'industria siderurgica, del comparto chimico, degli impianti del petrolchimico e dell'edilizia, minatori, operai stradali, altri lavori). I risultati di tale analisi evidenziano eccessi di rischio di tumore del polmone per gli addetti agli impianti di fonderia, i lavoratori dell'industria siderurgica, chimica e petrolchimica, gli addetti all'edilizia, i minatori e gli operai stradali, anche se tali eccessi sono basati su pochi casi e con stime affette da notevole imprecisione.
Manfredonia.
Il profilo di mortalità nel SIN di Manfredonia mostra un difetto, in entrambi i generi, per le principali cause di morte elencate in tabella.
Taranto.
Sulla base dei risultati compatibili con la presenza di un eccesso/difetto di rischio sanitario relativi alle principali cause di decesso elencate in tabella 1 e alle cause per le quali vi è a priori un'evidenza sufficiente o limitata di associazione con le fonti di esposizioni ambientali del SIN (tabella 2), si rileva il seguente profilo di mortalità nel SIN di Taranto:
I risultati di Sentieri evidenziano inoltre (tabella 3) un eccesso per la mortalità per condizioni morbose di origine perinatale (0-1 anno), con evidenza limitata di associazione con la residenza in prossimità di raffinerie/poli petrolchimici e discariche, e un eccesso di circa il 15 per cento per la mortalità legata alle malformazioni congenite, che non consente però di escludere l'assenza di rischio.
Le conclusioni della Commissione.
Alla luce del quadro complessivo descritto nei paragrafi precedenti, è possibile trarre le seguenti conclusioni:
Particolarmente diffusa è l'illegalità nella gestione delle terre e rocce da scavo e dei materiali provenienti da siti di bonifica. Anche in questo caso siamo in presenza di una problematica derivante dal quadro normativo che in questo caso è confuso e frammentato in numerosi atti normativi e non fa chiarezza sulle procedure da adottare sia da parte degli operatori che degli enti di controllo. In tal senso, in attesa dell'emanazione di una normativa tecnica organica che stabilisca i criteri di gestione delle terre e rocce da scavo, allo scopo di garantire la tracciabilità di quelle provenienti da siti oggetto di bonifica, sarebbe opportuno identificarne chiaramente la provenienza con i codici CER, attraverso l'utilizzo della classe 19.13 (rifiuti prodotti dalle operazioni di bonifica di terreni e risanamento delle acque di falda).
IV. Traffico di rifiuti. Aspetti legali e illegali.
Premessa.
Nella quarta ed ultima parte della relazione si è inteso affrontare nel dettaglio gli argomenti relativi al traffico transregionale e transfrontaliero dei rifiuti.
La recente attribuzione alle procure distrettuali antimafia della competenza per le indagini concernenti il reato di traffico illecito organizzato di rifiuti risponde evidentemente ad una duplice esigenza:
Nel corso delle indagini della Commissione è emerso che la struttura organizzativa posta alla base dei traffici illeciti di rifiuti si radica territorialmente in regioni diverse dalla Puglia, dove invece sono stati fatti confluire i rifiuti provenienti dai traffici medesimi.
IV.1 Rapporti tra la regione Campania e la regione Puglia per lo smaltimento dei rifiuti.
IV.1.1 Situazione normativa in merito alla conferibilità fuori regione dei rifiuti aventi codice CER 19.12.12.
Giova precisare, in questa sede, che la cronica situazione di emergenza rifiuti nella provincia di Napoli, in una certa fase è stata ulteriormente aggravata dagli effetti della sentenza emessa dal Tar Puglia in merito alla conferibilità presso altre regioni dei rifiuti aventi codice CER 19.12.12.
Il decreto precisava che tale smaltimento potesse avvenire in deroga al divieto di smaltimento extra-regionale disposto, per i rifiuti urbani, dall'articolo 182, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006 e alle procedure di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto-legge n. 196 del 2010.
IV.1.2 I contratti stipulati dalla Sapna per lo smaltimento dei rifiuti provenienti dalla provincia di Napoli.
Nel corso della missione svoltasi a Napoli il 6 dicembre 2011 sono stati auditi il dottor Claudio Roveda e il dottor Giovanni Perillo, rispettivamente amministratore delegato e direttore tecnico della società Sapna Spa, interamente partecipata dalla provincia di Napoli, avente ad oggetto la gestione e lo smaltimento dei rifiuti prodotti nella provincia medesima.
Dichiarazioni SAPNA - audizione del 6 dicembre 2011.
L'amministratore delegato della Sapna Spa, Claudio Roveda, nel corso dell'audizione, ha rappresentato le modalità operative della società provinciale in merito alla gestione del ciclo dei rifiuti nella provincia di Napoli. L'amministratore delegato ha sin dal principio precisato che la difficoltà di smaltire tutta la frazione secca nell'impianto di Acerra determina un aumento dei costi, quantificati nel 2011 in 5,5 milioni di euro.
I rifiuti speciali in uscita dagli impianti Stir vengono smaltiti come segue:
A seguito di specifica domanda, il dottor Perillo ha dichiarato che le aziende che gestiscono queste ultime discariche sono quasi tutte pubbliche, sono state selezionate con avviso ad evidenza pubblica, e la selezione è avvenuta in base al prezzo, ai quantitativi disponibili e alla tipologia dell'azienda.
CAPITOLO IV - RIFIUTI CONFERITI IN PUGLIA
Par. 1) Contratto 00-312-2011 stipulato il 20 maggio 2011 tra la SAPNA e la società D'Angelo Vincenzo s.r.l.;
Premessa
Gli altri contratti che hanno riguardato lo smaltimento dei rifiuti provenienti dagli Stir della provincia di Napoli sono stati stipulati dalla Sapna con il consorzio CITE, ed hanno riguardato sia lo smaltimento che il trasporto. Par. 1) Contratto 00-312-2011 stipulato il 20 maggio 2011 tra la Sapna e la società D'Angelo Vincenzo s.r.l.
Parti contraenti:
Procedimento seguito:
Oggetto del contratto:
Modalità di esecuzione:
Durata del contratto:
Corrispettivo:
In sostanza, sulla base di un accordo iniziale concernente un certo quantitativo di rifiuti (1.500 tonnellate), è stata prevista una proroga automatica fino «all'esaurimento delle quantità incrementali previste».
Par. 2) Contratto n. 00-034-2011, stipulato in data 1o febbraio 2011 tra la Sapna e il consorzio CITE con sede in Salerno.
Procedimento seguito:
Oggetto del contratto:
Quantitativi: 25.000 tonnellate.
Importo complessivo: 3.700.000 euro, 148 euro a tonnellata. Le componenti del prezzo non sono specificate.
Modalità del servizio:
Durata del contratto:
Par. 3) Contratto n. 591/2011 stipulato in data 7 settembre 2011 tra la Sapna e il consorzio CITE, definito «Appendice al contratto 034/2011»
Parti contraenti.
Oggetto:
Durata dell'appendice contrattuale:
Possibilità di subappalto:
Par. 4) Contratto n. 808/2011 stipulato in data 15 novembre 2011 tra la Sapna e il consorzio CITE, definito «Appendice n. 2 al contratto n. 034/2011»
Parti contraenti:
Procedimento seguito:
Oggetto:
Oggetto del contratto:
Corrispettivo:
Possibilità di subappalto:
I contratti che sono stati consegnati dalla Sapna alla Commissione riguardano un periodo temporale che abbraccia l'anno 2011.
IV.2 Il traffico transregionale di rifiuti.
IV.2.1 Il traffico di rifiuti dalla Campania alla Puglia.
Il tema del traffico illecito di rifiuti nella direttrice Campania-Puglia è un tema di particolare attualità, trattandosi, da un lato, di un traffico di rifiuti che vede coinvolte due regioni che per anni sono state in una condizione di emergenza (situazione che, peraltro, con riferimento alla Campania, non pare essere venuta sostanzialmente meno, nonostante la formale cessazione dello «stato di emergenza»), dall'altro, di un traffico che coinvolge una regione in cui diversi procedimenti giudiziari hanno dimostrato il profondo radicamento della criminalità organizzata di stampo camorristico in questo settore.
I rifiuti sarebbero poi stati abbandonati (grazie all'attività di trasportatore svolta dal Lopocarno) in vari territori della provincia di Bari e sui terreni di aziende agricole, sotto l'apparente fornitura di ammendante organico composto, ma in realtà abbandonando rifiuti di ogni tipo, quale plastica, siringhe, lacci emostatici, tubi di dentifricio.
IV.2.2 Il traffico transregionale di rifiuti che ha visto coinvolte regioni del nord e del centro-nord.
Sempre con riferimento al tema dei traffici transregionali di rifiuti, particolarmente importante è l'indagine condotta dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Milano che ha istruito (con risultati positivi) un'indagine concernente attività continuate di traffico illecito di rifiuti che venivano smaltiti in vari siti, tra cui le discariche pugliesi «Ecolevante» e «Vergine».
E quindi, la gran parte dei rifiuti provenienti dall'impianto di Giffoni Valle Piana veniva materialmente trasportata dapprima a Bologna, quindi a Olgiate Olona in provincia di Varese per poi proseguire, rectius ritornare, in Puglia, dove sarebbe stata smaltita in due discariche di Taranto e provincia.
IV.3 Il traffico transnazionale di rifiuti.
I reati ambientali, al pari di altre tipologie di reati, quali il traffico di stupefacenti, il traffico di esseri umani, il riciclaggio, sono reati a vocazione tipicamente transnazionale, il che significa che spesso gli organi investigativi si trovano di fronte alla necessità di superare i confini nazionali e instaurare collegamenti di indagine con l'autorità giudiziaria straniera e con la polizia giudiziaria di diversi paesi.
IV.3.1 L'attività svolta dalla Commissione nel corso di missioni all'estero in merito al traffico transnazionale dei rifiuti.
Una delegazione della Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti ha effettuato, dal 3 al 7 aprile 2011, una missione in Danimarca ed Olanda.
Va inoltre evidenziato come la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti abbia inviato, nel mese di maggio 2009, alla Rappresentanza italiana presso Eurojust un questionario finalizzato ad acquisire una serie di informazioni relative all'esistenza di una legislazione specifica nei paesi comunitari concernente il ciclo dei rifiuti comuni, pericolosi e radioattivi, nonché il loro trasporto frontaliero e transfrontaliero.
I dati acquisiti da Europol.
L'incontro con i rappresentanti di Europol - organismo internazionale con funzione di raccolta dati e attività di analisi in merito ad una serie di reati transnazionali - ha consentito di constatare come, con riferimento ai reati ambientali, lo scambio di informazioni tra le forze di polizia dei vari paesi sia stato quasi nullo.
I dati acquisiti da Eurojust.
Non sono state confortanti neppure le notizie acquisite presso la sede di Eurojust, organismo che ha il compito, nel quadro delle indagini e dei procedimenti giudiziari che interessano due o più stati membri, di promuovere e migliorare il coordinamento tra le autorità nazionali, tenendo conto di qualsiasi richiesta formulata da un'autorità competente di uno Stato membro, nonché di qualsiasi informazione fornita da un organo competente in virtù di disposizioni adottate nell'ambito di trattati (Rete giudiziaria europea, Europol, Olaf).
In sostanza, le problematiche appaiono le medesime nei paesi europei, eppure risultano scarsi i risultati investigativi effettuati per il tramite degli organismi internazionali summenzionati.
IV.3.2 I punti di snodo e di transito dei traffici illeciti transnazionale dei rifiuti.
I più importanti porti europei, compresi quelli italiani, rappresentano il punto di snodo dei traffici illeciti transazionali di rifiuti. Il trasporto via mare è infatti più economico di quello terrestre e rende obiettivamente più difficili i controlli.
IV.3.3 Le indagini coordinate dalla procura di Taranto e dalla procura distrettuale antimafia di Lecce. L'operazione cosiddetta «Gold Plastic».
Proprio alla luce delle considerazioni sopra svolte in merito alla difficoltà di effettuare indagini in merito ai reati ambientali che superino i confini nazionali, deve essere oggetto di particolare apprezzamento l'investigazione condotta Guardia di finanza - 1o Nucleo operativo del gruppo Taranto, unitamente all'ufficio antifrode dell'agenzia delle dogane di Taranto, e coordinata dalla procura della Repubblica di Taranto e dalla direzione distrettuale antimafia di Lecce.
Sono state individuate diverse associazioni a delinquere.
In ogni caso, con riferimento a tutti i partecipi dell'associazione criminosa sono stati delineati analiticamente i ruoli.
La contestazione della circostanza aggravante ha consentito alla procura di formulare la richiesta di sequestro per equivalente prevista dall'articolo 11 della legge n. 146 del 2006.
IV.4 Le infiltrazioni della criminalità organizzata di stampo mafioso nel ciclo dei rifiuti nella regione Puglia.
Premessa
IV.4.1 Il distretto di corte d'appello di Bari.
Il procuratore della Repubblica di Bari, dottor Laudati, ha posto in rilievo come in Puglia vi sia una sempre crescente criminalità organizzata, i cui moduli operativi sono in qualche modo anche più pericolosi di quelli classici della mafia siciliana che sono impostati su strutture rigidamente verticistiche.
IV.4.2 Il distretto di corte d'appello di Lecce.
Con riferimento alle infiltrazioni della criminalità organizzata nel territorio rientrante nel distretto di corte d'appello di Lecce, la Commissione ha richiesto la trasmissione della sentenza emessa dalla corte d'appello di Lecce (sentenza n. 278 del 21 febbraio 2011) che ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado e, per l'aspetto che qui interessa, ha riconosciuto l'esistenza della circostanza aggravante di cui all'articolo 7 del decreto-legge n. 152 del 1991.
Il territorio del distretto di corte d'appello di Lecce appare particolarmente permeabile alle infiltrazioni di organizzazioni criminali straniere, sicché è possibile che si consolidino accordi tra le organizzazioni criminali locali e quelle straniere nei settori che maggiormente possono essere sfruttati da un punto di vista economico, e quello dei traffici transnazionali dei rifiuti è uno di quelli.
Gli illeciti ambientali e la criminalità organizzata nel settore dei rifiuti
Proprio con riferimento alla criminalità organizzata mafiosa «endogena», deve segnalarsi, anche in sede di conclusioni, il procedimento avviato dalla procura distrettuale di Bari, nell'ambito del quale sono stati contestati fatti estorsivi aggravati dal metodo mafioso ai danni di società a capitale pubblico operanti nel settore dei rifiuti, nonché ai danni dei rappresentanti degli enti locali.
Già nel corso della prima missione in Puglia il sindaco e il questore di Foggia avevano rappresentato una serie di problematiche attinenti al servizio di raccolta rifiuti e ai conseguenti riflessi sull'ordine pubblico, tutte problematiche riconducibili alla società Amica Spa (totalmente partecipata dal comune di Foggia). Mentre in una prima fase dell'inchiesta della Commissione le problematiche venivano attribuite unicamente ad una situazione di grave crisi economica della società, teoricamente riconducibile solo ad una cattiva gestione, l'indagine summenzionata ha disvelato l'origine del «male».
Le infiltrazioni della camorra nel settore dei rifiuti
Reati ambientali ordinari
Considerazioni sulla attività della regione
È stata, tra le altre, stipulata una convenzione per il controllo delle cave, che oggi viene eseguito mediante osservazioni dai satelliti, dagli aeroplani, georeferenziazione, planimetrie che vengono digitalizzate e controllate dal Politecnico di Bari, definite e verificate con l'ufficio minerario della regione per accertare se effettivamente la cava sia coltivata o meno, se siano rispettate le condizioni autorizzative, in modo da monitorare con maggiore efficienza il fenomeno.
Le problematiche dei siti industriali di Taranto
Con l'approvazione della deliberazione della giunta regionale n. 2197 del 18 novembre 2008 recante: «Modalità di recupero della frazione secca da rifiuti solidi urbani residuali da attività di raccolta differenziata. Modifica e integrazione del piano di gestione dei rifiuti in Puglia approvato con decreti commissariali n. 41 del 6 marzo 2001, n. 296 del 30 settembre 2002 e n. 187 del 9 dicembre 2005. Adozione definitiva», sono state definite possibilità alternative per il recupero della frazione secca. Si è previsto in particolare che, laddove non ancora avviata la chiusura del ciclo per la frazione secca, nel rispetto - se tecnicamente possibile - delle localizzazioni degli impianti previsti dal piano, le autorità d'ambito possono programmare la realizzazione di impianti di titolarità pubblica a tecnologia alternativa e innovativa per assicurare un migliore, più efficace ed effettivo recupero delle frazioni secche dei rifiuti solidi urbani residuali da attività di raccolta differenziata, riducendo l'aliquota di rsu destinata allo smaltimento.
Si è definito a tecnologia alternativa e innovativa quell'impianto per il recupero della frazione secca dei rifiuti solidi urbani residuali da attività di raccolta differenziata, per il quale è dimostrato che la tecnologia utilizzata è consolidata, che il recupero della frazione secca è effettivo e ha costi contenuti, che le prestazioni ambientali sono migliori rispetto a quelle garantite dagli impianti a tecnologia tradizionale in termini di livello di emissioni in atmosfera, impatto paesaggistico, bilancio energetico e ambientale complessivo.
Secondo la pianificazione regionale il ciclo di trattamento dei rifiuti solidi urbani si chiude, a seguito del trattamento di biostabilizzazione del rifiuto e la separazione della frazione secca dalla frazione umida, con la produzione di cdr dalla frazione secca.
Ai sensi della vigente pianificazione in materia di rifiuti urbani, la titolarità pubblica del ciclo integrato di gestione dei rifiuti indifferenziati si chiude con la produzione, da un lato, di RBM (rifiuto biostabilizzato maturo da utilizzare in recuperi ambientali) o alternativamente RBD (rifiuto biostabilizzato da discarica, da utilizzare in discariche di servizio), dall'altro, di cdr da valorizzare energeticamente. Tale valorizzazione esula dalla privativa pubblica e può avvenire sia in impianti dedicati al recupero di rifiuti, sia in impianti termici industriali (centrali elettriche e cementerie).
Secondo le previsioni del piano, la dotazione impiantistica per il trattamento dei rifiuti solidi urbani indifferenziati è la seguente:
Provincia
Impianti (no)
Quantità smaltita ton/anno Foggia
Bari Taranto Brindisi Lecce regione Puglia
ATO
COMUNE
LOCALITÀ
TIPO IMPIANTO BA/1 Andria commada San Nicola la Guardia di biostabilizzazione + selezione + discarica di servizio e soccorso BA/1 Trani commada Puro Vecchio di selezione BA/1 Trani commada Puro Vecchio di biostabilizzazione BA/1 Trani commada Puro Vecchio Discarica di servizio e soccorso BA/2 Bari Area Amiu di biostabilizzazione BA/2 Bari Area Amiu di selezione BA/2 Bari Area Amiu Per produzione cdr BA/2 Giovinazzo San Pietro Pago di biostabilizzazione + selezione + discarica di servizio e soccorso BA/4 Spinazzola Grottelline di biostabilizzazione + selezione + discarica di servizio e soccorso BA/5 Conversano commada Martucci di selezione e biostabilizzazione BA/5 Conversano commada Martucci discarica di servizio e soccorso + produzione cdr
ATO
COMUNE
LOCALITÀ
TIPO IMPIANTO BR/1 Brindisi Autigno Discarica BR/1-2 Brindisi Area Industriale di compostaggio BR/1-2(cdr) Brindisi Area Industriale di biostabilizzazione + selezione + Per produzione cdr BR/2 Francavilla Fontana Mass. Feudo Inferiore di biostabilizzazione + selezione + discarica di servizio e soccorso
ATO
COMUNE
LOCALITÀ
TIPO IMPIANTO FG/1-3 -4- 5 Manfredonia Per produzione cdr FG/1 Sannicandro Garganico Gavetone Impianto di selezione, biostabilizzazione e discarica di servizio soccorso FG/3 Foggia Passo Breccioso Discarica FG/3 Foggia Passo Breccioso Discarica FG/3 Foggia Passo Breccioso di selezione e biostabilizzazione FG/4 Cerignola Forcone di Cafiero Discarica di servizio e soccorso FG/4 Cerignola Forcone di Cafiero di selezione e biostabilizzazione FG/5 Deliceto Masseria Campana Discarica FG/5 Deliceto Masseria Campana di selezione FG/5 Deliceto Masseria Campana di biostabilizzazione + compostaggio
ATO
COMUNE
LOCALITÀ
TIPO IMPIANTO LE/1 Cavallino Mass. Guarini di biostabilizzazione + selezione LE/1 Cavallino Mass. Guarini Discarica di servizio e soccorso LE/1-2-3 Cavallino Mass. Guarini Per produzione cdr LE/2 Corigliano d'Otranto Discarica LE/2 Poggiardo Pastorizze di biostabilizzazione + selezione LE/3 Ugento Mass. Burgesi di biostabilizzazione + selezione + discarica di servizio e soccorso
ATO
COMUNE
LOCALITÀ
TIPO IMPIANTO TA/1 Statte Statte Termovalorizzatore TA/1 Taranto Taranto Centro materiali raccolta differenziata TA/1-3 Massafra Console di biostabilizzazione + selezione + produzione cdr TA/3 Manduria La Chianca di biostabilizzazione + selezione + discarica di servizio e soccorso
Impianto Potenzialità autorizzata, ton/anno
Totale input all'impianto ton/anno
RU indiff. trattati CER 20.03.01
Altri codici di rifiuti trattati ton/anno
Prodotto ton
Prodotto ton Cerignola (FG)
BS in discarica BS (*) 27.354 in discarica FS (**) 50.965 in discarica Manduria (TA)
BS in discarica BS 27.354 in discarica FS 50.965 in discarica Massafra (TA) cdr 31.636 alla TMV BS 117.427, FS 20.548 discarica Fraz umida 5.781 in discarica metalli 386 1.001 depurazione Totale
(**) FS = frazione secca
In virtù di tale scelta di pianificazione sono state annullate le aggiudicazioni di gara che prevedevano la realizzazione di impianti di incenerimento di rifiuti «tal quale» come nel caso dei bacini BA1, BA2 e BR1.
L'ultimo aggiornamento del piano di gestione dei rifiuti urbani (decreto del commissario delegato n. 187 del 2005) prevedeva che l'utilizzo del cdr «sarà assicurato prioritariamente mediante la cessione del cdr ad impianti privati di produzione di energia..., ovvero, in mancanza di questi ultimi, in impianti dedicati ritenuti utili per
assicurare l'effettiva chiusura del ciclo di gestione dei rifiuti urbani da parte dei comuni associati in autorità di gestione, i quali li realizzeranno nel rispetto delle norme dettate ...in materia di opere pubbliche...».
Allo stato attuale, gli impianti autorizzati o in corso di autorizzazione per la combustione del cdr si possono dividere in impianti privati di combustione e impianti dedicati alla combustione del cdr.
Provincia
Impianto e potenzialità
Stato
Azioni necessarie per avvio utilizzo cdr (aggiornate alla data di presentazione del documento 654/1) Barletta-Andria-Trani Buzzi Unicem (Barletta):
CementeriaL'impianto è autorizzato al coincenerimento di 40000 t/a di cdr. Attualmente utilizza cdr da rifiuti speciali ed è stata presentato alla provincia Barletta-Andria-Trani istanza di VIA per aumentare il coincenerimento di cdr a 80.000 t/a In attesa di VIA dalla provincia Barletta-Andria-Trani Taranto Cementir (Taranto):
cementeriaL'impianto ha ottenuto VIA favorevole da provincia di Taranto per co-incenerimento di 50.000 t/a di cdr. In attesa di modifica Aia da parte di provincia di Taranto/regione Brindisi ENEL (Brindisi): centrale termoelettrica È stata definita una bozza di protocollo di intesa con l'ENEL per la co-combustione nel 2007 del cdr derivante dalla provincia di brindisi, stimabile attorno ai 130.000 t/a. Effettuando la co-combustione in due gruppi della centrale Federico II si potrebbe effettuare il recupero energetico di 120.000 t/a di cdr, avvicinandosi al quantitativo potenziale producibile nella provincia di Brindisi. È necessario avviare l'impianto di produzione cdr del comune di Brindisi e realizzare un impianto di raffinazione dello stesso cdr per renderlo conforme alle specifiche tecniche richieste da ENEL per il co-incenerimento. Lecce Colacem (Galatina):
cementeriaÈ stata presentato alla provincia di Lecce istanza di VIA per aumentare il coincenerimento di cdr In attesa di VIA dalla provincia di Lecce Bari Olearia Pugliese (Modugno): impianto combustione biomasse In possesso di autorizzazione provinciale per co-incenerimento cdr. Attualmente inattivo Impianto è in curatela fallimentare Marseglia (Monopoli): impianto combustione biomasse In possesso di autorizzazione provinciale per co-incenerimento cdr. cdr non viene utilizzato per scelte aziendali
Si tratta di due soli impianti dislocati in provincia di Foggia (Cerignola) ed in provincia di Taranto (Massafra) come segue:
Località
Potenzialità autorizzata (ton/anno)
Stato operativo Cerignola Operativo, non ha prodotto cdr Massafra Operativo
L'impianto per la combustione di cdr (potenzialità 135.000 ton/a) ha ottenuto il 14 settembre 2010 l'autorizzazione integrata ambientale ed utilizzerà prevalentemente il cdr prodotto dall'impianto di produzione cdr in contrada Paglia, nel comune di Manfredonia (FG), a servizio di tutta la provincia di Foggia.
L'iter autorizzatorio dell'impianto è ancora in corso, per le questioni di seguito sintetizzate. Con determinazione del dirigente del settore ecologia n. 450 del 25 settembre 2007 veniva espresso parere favorevole di compatibilità ambientale all'impianto di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, proposto da EcoEnergia S.r.l., ubicato in Via Fiordalisi - zona industriale -, nel comune di Modugno (Ba), con il rispetto delle prescrizioni riportate nello stesso atto.
L'impianto è stato prima sottoposto a sequestro e poi dissequestrato nel maggio 2009, per cui il procedimento amministrativo di rilascio della compatibilità ambientale è stato riavviato e si è concluso con il parere negativo del comitato VIA regionale a seguito di parere negativo vincolante, ai fini della concessione del permesso a costruire, della soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici.
L'impianto è dimensionato per un flusso in ingresso pari a circa 90 mila t/a di cdr e biomasse, per una potenzialità nominale di 10 MWe. Nell'impianto, in esercizio ormai dal 2006, viene conferito il cdr prodotto all'interno dell'impianto complesso di Massafra a servizio dell'Ato TA/1.
Va inoltre rilevato che è stato recentemente riavviato l'impianto di termovalorizzazione pubblico dell'Amiu di Taranto, già adeguato dal punto di vista impiantistico al decreto legislativo n. 133 del 2005
che disciplina gli impianti di incenerimento. L'impianto dell'Amiu, sito in agro di Statte, è stato indicato dal piano regionale di gestione dei rifiuti urbani della regione Puglia (decreti n. 296 del 2002 e n. 187 del 2005) come impianto pubblico di bacino ed è stato autorizzato all'esercizio nel maggio 2006 con decreto del commissario delegato per l'emergenza ambientale, volturato in favore di Amiu nel luglio 2009.
L'Amiu ha presentato richiesta di VIA alla provincia di Taranto nel gennaio 2010, in pendenza di una procedura di Aia presso la regione Puglia.
L'impianto integrato di smaltimento dei rifiuti solidi urbani di proprietà dell'Amiu Spa è stato recentemente adeguato alla più recente normativa vigente in materia (decreto legislativo n. 133 del 2005), che si pone come obiettivo principale quello di assicurare massima protezione dell'ambiente nei riguardi delle emissioni causate dalla termodistruzione dei rifiuti. Attualmente l'impianto è in funzione, in forza del provvedimento autorizzativo del commissario delegato ed è dotato di una sezione di tritovagliatura del rifiuto indifferenziato che consente di ottenere due flussi:
la frazione secca (FS), in quantità compatibile con il carico termico massimo dei forni, alimenterà le due linee di termodistruzione con recupero energetico.
la frazione umida (FU) alimenterà la linea di biostabilizzazione con produzione di rifiuto biostabilizzato maturo (RBM) che, a differenza del rifiuto biostabilizzato da discarica (RBD), potrà trovare un utilizzo come materiale di copertura, riempimento, capping.
permette una regolare chiusura del ciclo di gestione dei rifiuti nell'Ato TA/1 conforme alla vigente pianificazione di settore;
consente di recuperare materiali (RBM) ed energia elettrica;
minimizza lo smaltimento in discarica, allungando la vita utile della stessa;
non comporta un sostanziale aumento delle emissioni atmosferiche da combustione rifiuti in quanto il flusso complessivo di rifiuti da termovalorizzare viene suddiviso tra i due impianti termici: come FS presso l'impianto Amiu e come cdr presso l'impianto Appia Energy;
risulta flessibile, potendosi adattare agli attuali elevati flussi di rsu residuali e risultando progressivamente applicabile in fase di attuazione del piano d'ambito, con il graduale aumento della raccolta differenziata fino al previsto 60 per cento circa nell'anno 2016, con corrispondente progressiva riduzione dell'utilizzo della sezione termica dell'impianto fino alla dismissione definitiva di una delle due linee;
a regime, in concomitanza con il suddetto aumento della percentuale della raccolta differenziata, comporterà una riduzione del costo complessivo della gestione integrata dei rifiuti per il comune di Taranto (e quindi della attuale tarsu o futura tia) stimato in circa il 10 per cento dei costi attuali, così come da previsioni del piano d'ambito.
Tersan Puglia, comune di Modugno (BA), potenzialità: 219 mila ton/anno;
Progeva, comune di Laterza (TA), potenzialità: 44.895 ton/anno;
ASECO, comune di Ginosa Marina (TA), potenzialità: 79.935 ton/anno;
Eden 94, comune di Manduria (TA), potenzialità: 63.145 ton/anno.
Successivamente è stato siglato un protocollo d'intesa con la provincia di Taranto, l'Ato TA3 e gli impianti di compostaggio presenti sul territorio della provincia di Taranto per l'implementazione della raccolta della frazione organica e la sua valorizzazione negli impianti di trattamento consorziati CIC.
Con il decreto della giunta regionale n. 2668 del 28 dicembre del 2009 la regione ha approvato il piano regionale di gestione dei rifiuti speciali. È questo il primo documento di pianificazione adottato in via ordinaria dalla regione Puglia, dopo la fase di commissariamento.
Gli obiettivi generali e specifici del piano sono riassunti nella seguente tabella (si fa sempre riferimento ai dati riportati nel documento 654/1):
Obiettivi generali Obiettivi specifici 1. ridurre la produzione e la pericolosità dei rifiuti speciali promozione di interventi finanziari e fiscali volti a promuovere investimenti in termini di ricerca e/o sviluppo di sistemi di riduzione della quantità e della pericolosità dei rifiuti e il recupero di materia degli stessi sostenere l'applicazione di nuove tecnologie e forme di gestione incentivare la pratica del riutilizzo 2. razionalizzare la gestione dei rifiuti speciali (raccolta, recupero, trattamento, smaltimento) creare una rete integrata di impianti per il trattamento, recupero e lo smaltimento di specifiche tipologie di rifiuti smaltire i rifiuti in uno degli impianti appropriati più vicini al luogo di produzione, limitandone la movimentazione conseguire, a livello regionale, l'autosufficienza impiantistica per il recupero e lo smaltimento, contribuendo alla realizzazione di tale obiettivo su scala nazionale ottimizzare la gestione dei PCB (raccolta, decontaminazione e smaltimento) ottimizzare la gestione dei rifiuti da C&D anche contenenti amianto ottimizzare la gestione dei fanghi biologici prodotti nell'ambito del trattamento reflui favorire l'utilizzo degli aggregati riciclati aumentare la sicurezza e l'affidabilità dei sistemi di trasporto dei rifiuti assicurare che la localizzazione di nuovi impianti non pregiudichi la salute dei cittadini e la tutela dell'ambiente assicurare che la localizzazione delle discariche garantisca la tutela dei corpi idrici sotterranei e delle aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano. 3. promuovere la sensibilizzazione, la formazione, la conoscenza e la ricerca monitorare i flussi dei rifiuti prodotti, recuperati e smaltiti e la consistenza della dotazione impiantistica regionale attraverso l'istituzione dell'Osservatorio regionale sui rifiuti monitoraggio dei manufatti contenenti amianto e degli interventi di bonifica promuovere la cooperazione tra soggetti pubblici e privati per attività di ricerca, sviluppo e diffusione di sistemi anche innovativi e virtuosi di gestione dei rifiuti
In particolare le scelte sono state condotte secondo i seguenti criteri:
assicurare la congruità con la pianificazione già predisposta per i rifiuti urbani ed il coordinamento con gli altri strumenti di pianificazione regionali previsti dalla normativa vigente, ove adottati (articolo 199, comma 4, del decreto legislativo n. 152 del 2006);
favorire la minimizzazione dell'impatto ambientale degli impianti in considerazione dei vincoli ambientali, paesaggistici, naturalistici, antropologici e dei rischi sulla salute umana, alla luce dei fattori economici, sociali e logistici;
prevedere che la localizzazione di tutti i nuovi impianti, eccetto le discariche, nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia urbanistica, avvenga in aree industriali definite ai sensi del decreto ministeriale n. 1444 del 1968 come zone di tipo D, relative alle parti del territorio destinate a nuovi insediamenti per impianti industriali
o ad essi assimilati (articolo 196, comma 3, e 199, comma 3, lettera a), del decreto legislativo n. 152 del 2006);
abbinare a ciascun aspetto localizzativo (di natura urbanistica ed ambientale) un differente grado di prescrizione (vincolante, escludente, penalizzante, preferenziale);
localizzare nuovi impianti a una distanza sufficiente da quelli esistenti che consenta di distinguere e individuare il responsabile di un eventuale fenomeno di inquinamento, al fine di assicurare un'elevata protezione dell'ambiente e controlli efficaci, nel rispetto del principio comunitario «chi inquina paga» (articolo 178, commi 1 e 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006).
la prima riguarda il necessario superamento della fase di commissariamento, passaggio prodromico al superamento dell'emergenza nella regione (scelta del tutto condivisibile da parte della Commissione, in quanto il regime commissariale, alla lunga, determina una generalizzata deresponsabilizzazione e il radicamento, se non l'aggravamento, dell'emergenza medesima);
la seconda riguarda il modello di organizzazione del ciclo dei rifiuti, che non contempla la realizzazione e l'utilizzo dei termovalorizzatori che bruciano il rifiuto tal quale.
Ha aggiunto, infatti, che se la termovalorizzazione rientra in un ciclo industriale elimina in radice ogni possibilità di sviluppo della raccolta differenziata e del recupero del materiale, mentre se la termovalorizzazione riguarda soltanto il residuo consente, da un lato, di effettuare un recupero di energia, dall'altro di inserirsi in un ciclo di attività di smaltimento e recupero dei rifiuti rispetto al quale la termovalorizzazione rappresenta uno degli anelli, assumendo così un ruolo residuale e non esaustivo.
È stata quindi cancellata dall'originario piano rifiuti la realizzazione di tre impianti di incenerimento pubblici che prevedevano
l'utilizzo di tecnologie obsolete, bruciavano il rifiuto tal quale e proponevano un prezzo di conferimento eccessivo e fuori mercato.
Nel corso dell'audizione sono state poste domande con riferimento alle percentuali di rifiuti che vengono conferite in discarica e in impianti di incenerimento.
L'assessore all'ambiente della regione Puglia, Lorenzo Nicastro, il 9 marzo 2011 (data in cui è stato audito unitamente al presidente Vendola), ha fornito sul punto una serie di precisazioni, importanti per comprendere come concretamente vengano smaltiti i rifiuti.
«La gestione del ciclo dei rifiuti in regione Puglia, come previsto dalla legge comunitaria e nazionale e come recepito nella pianificazione regionale, prevede la biostabilizzazione dei rifiuti, la selezione secco/umido, l'avvio a produzione cdr della frazione secca e infine lo smaltimento in discarica della frazione umida biostabilizzata. Tutti i bacini sono dotati di impianti di biostabilizzazione fatta eccezione per gli Ato FG1, BA1 e BR1 e BR2.
In merito all'Ato FG1, i rifiuti prodotti dallo stesso vengono conferiti fuori bacino. Una parte dei comuni facenti parte del bacino Ato FG1 conferisce i rifiuti prodotti presso l'impianto complesso di Cerignola a servizio del bacino Ato FG4, i restanti conferiscono presso l'impianto complesso di Deliceto a servizio del bacino FG5.
Presso le discariche a servizio dell'Ato BA1 in agro di Andria e di Trani il rifiuto preliminarmente sottoposto a processo di tritovagliatura viene smaltito in discarica. I rifiuti dell'Ato BR1 vengono conferiti rifiuti tal quale, in forza di ordinanza del presidente della provincia di Brindisi, presso la discarica comunale di Brindisi, località Autigno.
È imminente l'avvio delle procedure di gara per l'entrata in esercizio dell'impianto complesso per il trattamento dei rifiuti già realizzato in agro di Brindisi.
Per quanto attiene al BR2, i rifiuti prodotti dal bacino vengono conferiti presso la discarica di Brindisi Autigno senza biostabilizzazione primaria. Ciò è possibile in quanto nel suddetto bacino vengono conferiti presso la discarica di brindisi Autigno senza biostabilizzazione primaria. Ciò è possibile perché nel suddetto bacino viene effettuata la raccolta porta a porta spinta con valori prossimi al 60 per cento.
I quantitativi di tal quale smaltiti in discarica nell'anno 2010 sono i seguenti:
discarica di Andria: 57.403,04 tonnellate;
discarica di Trani: 163.177,79 tonnellate (rifiuto tritovagliato);
discarica di Brindisi: 152.844,84 tonnellate.
In regione Puglia è attivo anche l'impianto di termovalorizzazione di Appia Energy in località Massafra presso il quale viene conferito
il cdr prodotto dall'impianto di biostabilizzazione della Cisa, sempre in località Massafra. Il suddetto impianto ha una capacità di trattamento autorizzato di 90 mila tonnellate/anno.
È in fase di realizzazione l'impianto di termovalorizzazione in agro di Manfredonia che avrà una capacità di trattamento di 135 mila tonnellate/anno».
Conclusivamente il 70 per cento dei rifiuti solidi urbani viene conferito in discarica, il 15 per cento è destinato a valorizzazione di materia e il 7 per cento a valorizzazione energetica.
Con riferimento al termovalorizzatore di Modugno, in relazione al quale sono stati richiesti chiarimenti dalla Commissione, è stato precisato che l'impianto è stato prima sequestrato dall'autorità giudiziaria e poi dissequestrato, sicché il procedimento relativo al rilascio della compatibilità ambientale è stato riavviato nel mese di maggio 2009 e si è concluso con il parere negativo del comitato VIA regionale a seguito di parere negativo vincolante, ai fini della concessione del permesso a costruire, della soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici.
La disponibilità di discariche nella regione Puglia, ha sottolineato il presidente Vendola, rende più conveniente lo smaltimento sia per l'impresa legale che per quella illegale, con la conseguenza che moltissimi rifiuti rischiano di essere smaltiti nelle discariche pugliesi.
La regione Veneto, ad esempio, smaltisce 21 mila tonnellate all'anno di rifiuti nelle discariche private della regione, mentre dalla Puglia partono per la regione Veneto 40 mila tonnellate di rifiuti speciali, che però sono rappresentati da materiale proveniente da demolizioni, oggetto di recupero.
In sostanza, mentre la Puglia invia nelle altre regioni materiali recuperabili, che rappresentano quindi delle risorse, incamera rifiuti che vanno semplicemente smaltiti e che rappresentano un problema.
Concentrare quindi l'attenzione sulle discariche e sugli inceneritori vuol dire segnare il futuro di un territorio che rappresenterà inevitabilmente il punto di destinazione dei rifiuti provenienti da varie regioni italiane e non, oltre che il punto di catalizzazione degli interessi della criminalità organizzata, particolarmente presente nel settore dei trasporti.
In primo luogo, la raccolta differenziata procede di pari passo con la raccolta dell'umido, sicché è necessario che operino a pieno regime gli impianti di compostaggio, e dovrà essere approvato un provvedimento con cui si riconosceranno incentivi agli agricoltori per l'uso del compost.
In secondo luogo, sono state trasferite dalla regione importanti risorse economiche alle province per incentivare la raccolta differenziata,
ma, ha precisato il presidente Vendola, in molti casi le risorse non sono state trasferite ai comuni, sicché il presidente ha emanato provvedimenti con cui sono stati trasferiti direttamente ai comuni capoluogo 15 milioni di euro e a tutti gli altri comuni direttamente 23 milioni di euro «in modo da eliminare questa intermediazione che dai comuni viene spesso utilizzata come alibi per la mancata partenza della raccolta differenziata».
Il problema da affrontare, però non è solo quello di incentivare la produzione del compost e la raccolta differenziata, ma anche di non mandare in discarica il compost e i rifiuti differenziati.
In sostanza, ha senso la raccolta differenziata solo se è efficacemente avviata un'attività d'impresa finalizzata al recupero dei materiali, ovvero se i materiali provenienti dalla raccolta differenziata trovano un mercato.
Il presidente ha infatti aggiunto, realisticamente: «Naturalmente non è positivo che i cittadini scoprano che, dopo avere fatto la raccolta differenziata, questa viene raccolta e conferita nella medesima discarica. Gli episodi della cronaca anche nella mia regione hanno in qualche maniera disilluso il cittadino sulla raccolta differenziata. Dobbiamo renderla credibile completando il ciclo impiantistico».
Sulla gestione del rifiuto differenziato sono state fornite informazioni anche dall'assessore Nicastro il quale ha precisato che vi è una netta prevalenza di impianti privati che ritirano le frazioni raccolte in maniera differenziata dai gestori dei servizi comunali di raccolta e che avviano (è il caso delle frazioni secche) i flussi di materiali, dopo la selezione al circuito Conai secondo le tariffe previste nell'accordo Anci-Conai 2010. Tutte le frazioni raccolte in modo differenziato vanno in questi impianti e vengono recuperate, al netto delle perdite del processo di selezione che genera scarti che vanno in discarica. Il quantitativo degli scarti generati dalle operazioni di recupero e selezione è tanto maggiore quanto più bassa è la qualità della raccolta differenziata; occorre quindi migliorare la qualità delle frazioni da sottoporre alle operazioni di selezione e conseguentemente aumentare i quantitativi che vengono recuperati con un valore aggiunto.
Al fine di incentivare il riciclo dei rifiuti, è stato ulteriormente precisato, occorre implementare la dotazione impiantistica e in primo luogo gli impianti pubblici di compostaggio.
Il presidente ha sottolineato nel corso dell'audizione come i contenziosi amministrativi appesantiscano molto le procedure per la messa in esercizio degli impianti. Ha, esemplificativamente, richiamato la vicenda relativa all'impianto di Conversano: il gestore proprietario aveva vinto la gara, il Tar aveva escluso un altro consorzio di imprese. Nel momento in cui sono stati completati gli impianti e avrebbero dovuto essere messi in funzione, il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso promosso dal consorzio escluso che però non ha più ritenuto di gestire gli impianti complessi.
Tutto ciò ha comportato la necessità di bandire una nuova gara, con l'inevitabile ritardo della messa in esercizio dell'impianto.
Particolarmente interessanti sono le dichiarazioni rese dal presidente Vendola in merito alle resistenze che ha avuto modo di registrare a livello diffuso con riferimento all'incentivazione della
raccolta differenziata: «In alcuni casi non c'era da parte delle istituzioni diffuse soltanto un pregiudizio politico-ideologico o la sua strumentalità, c'era anche la realtà di un interesse e una cointeressenza tra appalti e amministrazioni locali molto diffusa. Il ciclo dei rifiuti è una forma di finanziamento inappropriata, come sapete, della politica, ma è una verità, credo, lapalissiana, è una verità che è sotto gli occhi di tutti. Le cointeressenze sono forti, così come si tratta di un territorio sempre a rischio di penetrazione mafiosa (...) Non c'è organizzazione mafiosa che ormai non ambisca a tracimare dai propri confini territoriali. La mafia non è più un problema territoriale. Il ciclo dei rifiuti insieme all'organizzazione dei sistemi di potere in sanità sono i luoghi di maggiore capacità di drenaggio di risorse pubbliche e private, è una giostra di denaro di dimensioni ciclopiche, e quindi l'interesse delle organizzazioni criminali su questo terreno è sempre attuale».
Più in generale, è evidente che coloro che gestiscono le discariche o i termovalorizzatori hanno interesse a che vengano smaltiti in discarica o nell'inceneritore quanti più rifiuti possibile, e dunque si tratta di interessi esattamente opposti a quelli che si perseguono attraverso la raccolta differenziata, il riciclo e il recupero dei rifiuti (rispetto ai quali la termovalorizzazione e le discariche devono considerarsi modalità di smaltimento residuali).
È stata poi posta una domanda con riferimento ai costi sostenuti per le campagne informative finalizzate all'incremento della raccolta differenziata. Ebbene, la regione Puglia ha finanziato con fondi POR 2000-2006 direttamente campagne di comunicazione ed informazione per l'incremento della raccolta differenziata per un importo complessivo di euro 3.192.035,47 a cui vanno aggiunti gli interventi a regia regionale finanziati con fondi ecotassa pari ad euro 2.403.500.
Le problematiche connesse agli ambiti territoriali ottimali sono state affrontate nel corso delle audizioni del 2 febbraio e del 9 marzo 2011.
È stato precisato che non vi è stata la proroga del termine per lo scioglimento delle autorità d'ambito e la regione Puglia ha in corso di approvazione una proposta di legge per l'abolizione delle autorità d'ambito dal primo aprile 2010.
È stata infatti avviata la procedura di aggiornamento del piano regionale di gestione dei rifiuti urbani, nell'ambito del quale si prefigurerà il modello di distribuzione ottimale delle funzioni.
Nelle more dell'approvazione la regione Puglia, per assicurare la transizione verso il nuovo regime, deve nominare un commissario per ciascun Ato che si occuperà, anche, di definire un quadro delle consistenze patrimoniali e finanziarie delle autorità soppresse, e d'intesa con i sindaci sovrintenderà alle procedure di definizione e approvazione dei piani d'ambito.
La regione Puglia si trova tra i primi posti nella graduatoria delle regioni in cui è stato accertato il maggior numero di reati ambientali, secondo il rapporto di Legambiente.
Il presidente Vendola ha dichiarato: «Noi abbiamo il vanto di essere al secondo posto e di averlo raggiunto in pochi anni, come un obiettivo cercato, conquistato attraverso protocolli di intesa fra la regione Puglia e Guardia di finanza, che sono stati considerati all'avanguardia e che sono oggi emulati dalla regione Lombardia e dalla regione Emilia-Romagna. Abbiamo, infatti, finanziato attività specifiche di contrasto a reati ambientali che, per varie ragioni, non erano messi a fuoco, non erano radiografati (...); non facendo nulla non emerge nulla, facendo molto emerge molto, è il rischio è di essere curiosamente stigmatizzati per un processo logico-mentale un po' capovolto. Il punto è che abbiamo chiuso con la stagione dell'illegalità sommersa che accompagnava il ciclo dei rifiuti.
Faccio notare che abbiamo svolto un lavoro specifico su uno dei rischi più gravi che correva la nostra regione, ossia di diventare la pattumiera dei rifiuti speciali dell'area balcanica a causa della permeabilità della nostra costa; abbiamo realizzato a questo proposito un progetto ad hoc di una frontiera intelligente, ossia la mescolanza di tutte le metodologie oggi conosciute, da quelle del monitoraggio a campione a quelle dell'intervento satellitare; abbiamo costruito - è testimoniato in un tomo che io porterò alla Commissione antimafia perché è stato assunto dalla Commissione europea come una buona pratica in termini di lotta al terrorismo - un modello di impermeabilizzazione della frontiera e ad oggi l'effetto è che noi non siamo la terra di transito di rifiuti speciali dell'area balcanica».
In sostanza, i dati elevati corrispondono ai risultati di un controllo del territorio molto più serrato, basato su accordi programmatici ed operativi tra enti forze di polizia giudiziaria.
Di sicuro, ha aggiunto il presidente Vendola, la «dittatura delle discariche» che vorrebbe imporsi sul territorio pugliese ci ha reso territori a disposizione sia dei traffici leciti che dei traffici illeciti, pattumiera del mondo e abbiamo provato a mettere un punto e a capovolgere la situazione.
Proprio con riferimento al tema dell'illegalità e delle possibili infiltrazioni della criminalità organizzata, non solo pugliese, ma anche di altre regioni, sono state precisate le modalità attraverso cui sono stati smaltiti i rifiuti campani in discariche pugliesi, e ciò a seguito di esplicita domanda da parte di un componente della Commissione.
Nella nota prodotta nel corso dell'audizione del 9 marzo 2011 è stata data risposta ad una serie di domande poste dalla Commissione, riguardanti, in particolare, i costi dei conferimenti, la destinazione presso impianti pubblici o privati, i controlli eventualmente eseguiti sui rifiuti provenienti dalla Campania, e, infine, la capacità residua delle discariche pugliesi per i rsu.
Nell'estate 2010 l'unità operativa costituita nell'ambito della presidenza del Consiglio dei ministri - dipartimento di protezione civile per la chiusura dell'emergenza rifiuti in Campania ha ritenuto di assumere un'iniziativa volta ad alleggerire la pressione sulle discariche campane. Ha quindi pubblicato un bando indicendo una gara d'appalto per l'affidamento a terzi, dietro corrispettivo a carico della protezione civile, del servizio di trasporto e smaltimento fuori regione
di 61 mila tonnellate di rifiuti, qualificati come rifiuti speciali non pericolosi e contrassegnati da codice CER 19.12.12 prodotti dagli Stir della regione Campania.
Della gara d'appalto è risultato aggiudicatario il consorzio interprovinciale trasporti ecoambientali (Cite) di Salerno che in sede di offerta ha indicato come impianti finali di smaltimento tre discariche di rifiuti speciali ubicate nella provincia di Taranto in regione Puglia.
Le discariche sono: discarica di Taranto gestita dalla Italcave Spa, discarica di Taranto gestita dalla Vergine Spa e la discarica di Grottaglie gestita da Ecolevante Spa.
In seguito le regioni Campania e Puglia hanno sottoscritto in data 3 dicembre 2010 un protocollo d'intesa con il quale si è provveduto a disciplinare l'ingresso o lo smaltimento in Puglia di una parte dei rifiuti (45 mila tonnellate di rifiuti speciali provenienti dagli Stir di Tufino, Giuliano, Santa Maria Capua Vetere, Battipaglia e Caivano). Nella nota si legge inoltre che, tra le modalità tecnico operative di conferimento dei suddetti rifiuti, il protocollo d'intesa prevede un ruolo attivo delle agenzie regionali per la protezione ambientale della regione Campania e della regione Puglia alle quali competono i controlli tecnici sui rifiuti.
L'operazione non ha comportato conseguenze sugli smaltimenti di rifiuti solidi urbani pugliesi in quanto i conferimenti sono avvenuti in discariche per rifiuti speciali e non per rsu.
Il tema dei rapporti con la Campania è particolarmente importante perché si tratta di una regione in cui la criminalità organizzata è fortemente presente nel settore dei rifiuti, ed, ovviamente, ha interesse a gestirlo anche laddove la destinazione finale sia rappresentata da luoghi diversi dalla Campania. Peraltro sono state segnalate indagini concernenti proprio questi temi.
Il successivo piano stralcio bonifiche, predisposto per ottemperare al decreto legislativo n. 152 del 2006 ed approvato con decreto della giunta regionale n. 617 del 29 marzo 2011, raccoglie, organizzandole, tutte le informazioni che hanno come fonte principale le indagini effettuate negli anni precedenti a seguito di interventi (di caratterizzazione, bonifica e/o messa in sicurezza). Il piano stralcio effettua inoltre una prima ricognizione delle aree contaminate di titolarità pubblica e fornisce infine il metodo da adottare per la definizione dell'ordine di priorità degli interventi.
Con un documento di completamento ed aggiornamento del piano la regione Puglia provvederà poi a definire la gerarchia dei siti da sottoporre ad interventi di bonifica, classificati secondo la metodologia proposta nel piano stralcio ed inseriti nell'elenco degli interventi di
bonifica da realizzare. Infatti, in conformità a quanto previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006, nella pianificazione degli interventi è necessario assicurare che l'ordine di priorità sia stabilito sulla base di una valutazione del rischio dei siti censiti a livello regionale secondo un metodo elaborato dall'Apat, (oggi Ispra - Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale).
In base allo stesso riferimento normativo, il censimento spetta alle regioni insieme alla costituzione dell'anagrafe. La regione Puglia ha ottemperato a questo compito ma, poiché l'aggiornamento dell'anagrafe ad oggi non risulta completato, l'obiettivo prioritario del piano stralcio consiste nell'aggiornamento dello stato dell'arte degli interventi di bonifica e caratterizzazione.
In aggiunta a questi obiettivi, di carattere prettamente pianificatorio, nel piano stralcio sono state definite le linee guida per l'aggiornamento più rapido e funzionale dell'anagrafe, per la presentazione delle garanzie finanziarie necessarie alla realizzazione degli interventi di bonifica e per la selezione delle tecnologie di bonifica da adottare secondo una dettagliata analisi «costi-tempi-benefici».
Sulla base dei dai raccolti e riportati nel piano stralcio sono state individuate tre tipologie di siti:
siti contaminati pubblici o di interesse pubblico già precedentemente individuati o censiti che hanno goduto di finanziamenti per interventi di caratterizzazione e/o bonifica;
siti pubblici o privati potenzialmente inquinati o che hanno avviato le procedure di bonifica/caratterizzazione;
siti di interesse nazionale.
Al fine di garantire un continuo aggiornamento dell'anagrafe dei siti contaminati, nel piano stralcio sono definite le linee guida per la presentazione dei dati degli interventi di caratterizzazione e bonifica effettuati.
Nello stesso piano stralcio sono stati definiti:
i criteri per il calcolo della percentuale delle garanzie finanziarie e si è fornito uno schema di regolamento per la presentazione di tali garanzie ed uno schema di polizza bancaria o assicurativa;
le metodiche già applicate con successo a livello nazionale o internazionale per l'analisi costi-efficacia e/o costi-benefici come strumenti di supporto nel processo decisionale che porta alla scelta della «migliore tecnica disponibile»;
i criteri di sostenibilità degli interventi di bonifica che si ritiene debbano costituire il nuovo paradigma nell'approccio del risanamento dei siti contaminati.
stato di implementazione dell'anagrafe dei siti contaminati;
struttura dell'anagrafe (informazioni e dati inseriti/inseribili);
numero di siti potenzialmente contaminati (esclusi i siti per i quali è già stata accertata una contaminazione);
numero di siti contaminati accertati;
numero di siti per i quali sono stati avviati interventi di messa in sicurezza;
numero di siti per i quali sono stati avviati interventi di bonifica;
numero di siti bonificati (con certificazione da parte della provincia).
La regione Puglia, con nota pervenuta il 13 febbraio 2012 (48), ha dichiarato di aver predisposto un'anagrafe, attualmente in fase di implementazione attraverso l'introduzione di nuovi campi. Attualmente i dati sono archiviati in formato excel pertanto si deve ritenere che l'anagrafe, pur essendo stata istituita, non sia stata popolata.
Le informazioni trasmesse in merito al numero di siti potenzialmente contaminati, contaminati e bonificati sono riportate nelle tabella seguente.
Come si evince dalla tabella, è stato bonificato un solo sito, rientrante nella tipologia «distributori», mentre sono stati eseguiti novantacinque interventi di messa in sicurezza permanente, prevalentemente su ex discariche. Per quarantacinque siti sono in corso gli interventi di bonifica o, comunque, manca la certificazione di avvenuta bonifica da parte della provincia.
In merito alle richieste inerenti i rifiuti prodotti da attività di bonifica, la risposta della regione Puglia è meramente apparente in quanto, a fronte di una rappresentata complessità derivante dall'assenza di interoperabilità tra l'anagrafe e il sistema Sistri (peraltro non entrato in vigore), nessun dato è stato fornito. Anche a volere ritenere plausibile la difficoltà evidenziata dalla regione non può non evidenziarsi come sarebbe stato sufficiente trasmettere i dati risultanti dalle banche dati Mud, così come fatto da altre regioni.
Ai sensi degli articoli 17 e 18 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (decreto Ronchi), il Ministero dell'ambiente ha individuato, tenendo conto della lista delle aree ad elevato rischio di crisi ambientale di cui alle leggi n. 305 del 1989 e n. 195 del 1991, i siti di interesse nazionale.
Il decreto ministeriale n. 471 del 1999 (articolo 15, comma 1) e successivamente il decreto legislativo n. 152 del 2006 all'articolo 252 definiscono i seguenti criteri direttivi per la individuazione dei siti di interesse nazionale:
1. i siti di interesse nazionale, ai fini della bonifica, sono individuabili in relazione alle caratteristiche del sito, alle quantità e pericolosità degli inquinanti presenti, al rilievo dell'impatto sull'ambiente circostante in termini di rischio sanitario ed ecologico, nonché di pregiudizio per i beni culturali ed ambientali;
2. all'individuazione dei siti di interesse nazionale si provvede con decreto del ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, d'intesa con le regioni interessate, secondo i seguenti principi e criteri direttivi:
a) gli interventi di bonifica devono riguardare aree e territori, compresi i corpi idrici, di particolare pregio ambientale;
b) la bonifica deve riguardare aree e territori tutelati ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;
c) il rischio sanitario ed ambientale che deriva dal rilevato superamento delle concentrazioni soglia di rischio deve risultare particolarmente elevato in ragione della densità della popolazione o dell'estensione dell'area interessata;
d) l'impatto socio economico causato dall'inquinamento dell'area deve essere rilevante;
e) la contaminazione deve costituire un rischio per i beni di interesse storico e culturale di rilevanza nazionale;
f) gli interventi da attuare devono riguardare siti compresi nel territorio di più regioni.
Nel caso in cui il responsabile non provveda o non sia individuabile oppure non provveda il proprietario del sito contaminato né altro soggetto interessato, gli interventi sono predisposti in via sostitutiva dal Ministero dell'ambiente, avvalendosi (dell'Apat ora Ispra), dell'Istituto Superiore di Sanità e dell'Enea nonché di altri soggetti qualificati pubblici o privati.
Se un progetto di bonifica prevede la realizzazione di opere sottoposte a procedura di valutazione di impatto ambientale, l'approvazione del progetto di bonifica comprende anche tale valutazione.
I SIN presenti nel territorio della regione Puglia sono quattro: Manfredonia, Bari-Fibronit e i petrolchimici di Brindisi e Taranto.
All'interno del perimetro definito dal predetto decreto del ministero dell'ambiente sono presenti i seguenti aree private:
1. stabilimento Agricoltura Spa in liquidazione, ora Syndial Spa (sito dismesso) ed aree contermini;
2. area «ex Enel», ora Syndial Spa, ubicata ad est dello stabilimento ora Syndial Spa;
3. area interna allo Stabilimento ora Syndial Spa di proprietà Agip Fuel (ex Atriplex).
4. area delle discariche pubbliche denominate Conte di Troia, Pariti I (rsu e liquami) e Pariti II, ubicate nel comune di Manfredonia;
5. aree attigue allo Stabilimento Agricoltura Spa in liquidazione, ora Syndial Spa, costituite da piccole aree di proprietà di soggetti privati a destinazione d'uso agricola;
6. tratto di mare antistante lo stabilimento industriale, esteso per 3 km dalla costa.
Per quanto riguarda le aree private, relativamente allo stato dell'arte della bonifica dei suoli, la Syndial è responsabile delle attività di messa in sicurezza, di emergenza e di bonifica esecuzione delle aree ex Enichem e Agricoltura. Finora è stata effettuata la messa in sicurezza di emergenza di sette porzioni di terreno contaminato da arsenico situati all'interno di aree adibite a discarica. È invece in corso l'intervento di bonifica dell'area ex-Enel.
Relativamente alla bonifica della falda, le operazioni sono entrate a regime nel febbraio 2006. Sulla base dei dati di funzionamento del sistema di bonifica, si è potuto verificare che l'impianto integrato di estrazione ed immissione delle acque dal sottosuolo funziona secondo i parametri di progetto e che gli interventi di estrazione ed immissione non hanno apportato sostanziale modificazione della superficie di interfaccia acqua dolce-salata. Al fine di aumentare l'estrazione di arsenico dalla falda nella porzione occidentale del sito, a partire da aprile-maggio 2007 sono state incrementate le portate di estrazione dai pozzi in corrispondenza dei punti di maggior contaminazione.
In riferimento alle aree di competenza pubblica occorre osservare quanto segue.
Il sito di Pariti 1 rsu consiste in una cava di calcarenite per la produzione di tufi, con pareti verticali di altezza media di 23-25 m, dismessa nel 1963. Da rilievi aerei precedenti il conferimento dei rifiuti, si evidenzia una quota di fondo cava intorno ai 18 m sul livello del mare. Dal gennaio 1968 l'area è stata utilizzata come discarica comunale di rsu e assimilabili non autorizzata, fino all'utilizzo di tutta la volumetria disponibile (agosto 1988). Quando la discarica fu esaurita i rifiuti furono conferiti alla limitrofa area di Conte di Troia. Il conferimento dei rifiuti nel sito è stato effettuato per strati, periodicamente ricoperti con terreno di riporto. Il volume stimato dei rifiuti presenti era pari a circa 350-380.000 metri cubi. La discarica risultava priva di impermeabilizzazione di fondo vasca e delle pareti laterali, di un sistema di raccolta ed estrazione del percolato, di pozzi di captazione del biogas, dell'impermeabilizzazione superficiale e del convogliamento delle acque superficiali. Come copertura era stato posto uno strato di spessore variabile di terreno vegetale, il quale era visibilmente franato parzialmente in corrispondenza dei punti a maggiore pendenza, scoprendo localmente i rifiuti. La discarica Pariti 1 rsu è posta lungo la Valle di Mezzanotte. Originariamente la valle
proseguiva fino al mare, laddove sfociavano le acque meteoriche provenienti dal relativo bacino idrografico. La modificazione dell'utilizzo del suolo nell'area circostante ha interrotto il percorso della valle, la quale termina in corrispondenza della discarica. Ivi le acque si infiltrano nei rifiuti e da ultimo percolano in falda. Oltre al problema connesso alla propagazione della contaminazione nel sottosuolo causata dall'infiltrazione delle acque meteoriche nel corpo dei rifiuti, si segnala anche il pericolo di erosione al piede della discarica associato a franamento dei rifiuti e possibile trasporto a valle nel caso di piene di eccezionale importanza.
Anche la discarica di Conte di Troia era in origine una cava di calcarenite con produzione di tufi, dismessa negli anni '70, con pareti verticali di altezza variabile da 3 a 8 metri. Dal mese di agosto del 1988 al mese di settembre del 1991 la cava è stata destinata a discarica comunale di rsu e rsau. Oltre a queste tipologie di rifiuti sono stati conferiti in discarica rifiuti speciali provenienti dalla società Enichem Agricoltura. Dal settembre 1991 al mese di luglio 1992 su ordinanza comunale è stato coltivato un ulteriore lotto in corrispondenza dell'adiacente ex Cava Gentile. I rifiuti presenti nella discarica di Conte di Troia erano stimati in circa 80 mila metri cubi mentre nella ex Cava Gentile si calcolavano circa 20 mila metri cubi. La discarica presentava pareti e fondo dei primi comparti (zona alta dell'area) impermeabilizzati con teli hdpe spessi 2,00 mm sovrapposti tra loro. Nella discarica non erano state realizzate opere per la captazione del biogas, e l'area di accumulo dei rifiuti era ricoperta da terreno vegetale.
Anche l'ex discarica Pariti Liquami, è un ex cava di calcalcarenite abbandonata fin dagli anni '60 e per circa quindici anni (1968/1970-1983) utilizzata come discarica di rifiuti sia urbani che industriali. In quest'area sono state eseguite opere di bonifica parziale immediatamente successive alla chiusura della discarica stessa (maggio 1983). Tali lavori di bonifica sono consistiti nella «copertura di liquami con pietrame grande già esistente in cava, con uno spessore di circa 2 m, effettuato con pala meccanica», nella «pulizia intorno alla cava di erba e massi, buste di rifiuti, ...» e nel «carico e trasporto di immondizie di 400 metri cubi circa». Non era nota, almeno fino al 1988, la natura e lo stato effettivo dei rifiuti. Successivamente (1989), all'interno della discarica, sono stati rinvenuti ulteriori rifiuti non assimilabili agli urbani, con presenza di zolfo e materiali plastici, interessati da fenomeni di auto-combustione. Prima delle indagini svolte nel 2005 - 2006, la discarica si presentava come una vasca con pareti sub-verticali, sgombra da rifiuti solidi fatta eccezione per pochi materiali abbandonati sul bordo della discarica stessa.
Sulle discariche pubbliche sopra indicate, nel 1998 la UE ha aperto una procedura di infrazione (n. 1998/4802), con conseguente causa (C-447/03) relativa alla violazione degli articoli 4 e 8 della direttiva 75/442/CEE, che impongono agli Stati membri di prendere le misure necessarie per assicurare che i rifiuti vengano smaltiti «senza pericolo per la salute dell'uomo e senza recare pregiudizio all'ambiente»; tale procedura, in caso di perdurante inadempimento del diritto comunitario, e di nuova condanna da parte della Corte, avrebbe comportato pesanti sanzioni pecuniarie (successivamente
valutate fino a circa 100 milioni di euro). A tale primo provvedimento sono seguiti avvisi, intimazioni a procedere e lettere tra la Commissione ed il Ministero dell'ambiente italiano e, nel frattempo, sono state avviate da parte delle pubbliche amministrazioni coinvolte le prime azioni sulle discariche in oggetto.
Infatti, in ragione dell'ordinanza del presidente del Consiglio dei ministri n. 3077 del 4 agosto 2000 e successive, il commissario delegato, responsabile per la realizzazione degli interventi di competenza pubblica e per le attività di progettazione nel caso di cui all'articolo 15, comma 2, del decreto ministeriale 5 ottobre 1999 n. 471, presenta il «piano di caratterizzazione relativo alla bonifica delle discariche rsu Pariti I e Conte di Troia», che viene approvato dalla conferenza dei servizi decisoria del 18 aprile 2003 con prescrizioni.
Da tale data si sono susseguiti fino al settembre 2004 una serie di indagini di caratterizzazione e di elaborati progettuali, preliminari, che il commissario delegato ha trasmesso al Ministero e che sono stati poi discussi in sede di conferenze di servizi, le quali esprimono una serie di prescrizioni, sia relativamente agli interventi di messa in sicurezza e/o bonifica previsti per le discariche che, soprattutto, per le acque di falda.
Nel frattempo, con provvedimento del 25 novembre, la V Sezione della Corte di giustizia UE ha emesso la sentenza di condanna nei confronti dello Stato italiano «non avendo adottato le misure necessarie per assicurare che i rifiuti stoccati o depositati in discarica, presenti nel sito dell'ex stabilimento Enichem di Manfredonia (provincia di Foggia) e nella discarica di rifiuti urbani Pariti I, sita nella zona di Manfredonia, fossero ricuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all'ambiente, e non avendo adottato le disposizioni necessarie affinché il detentore dei rifiuti stoccati o depositati in discarica presenti nel sito Enichem e il detentore dei rifiuti presenti nella discarica Pariti I e nella discarica di rifiuti urbani Conte di Troia, anch'essa sita nella zona di Manfredonia, consegnassero tali rifiuti ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un'impresa che effettua le operazioni previste nell'allegato II A o II B della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/Cee, relativa ai rifiuti, come modificata della direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/Cee, oppure provvedessero essi stessi al loro ricupero o smaltimento, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli articoli 4 e 8 della detta direttiva», nonchè la condanna agli oneri ed alle spese previste dall'applicazione delle direttive di cui trattasi.
Nel dicembre 2004 il commissario delegato trasmetteva quindi al ministero dell'ambiente il progetto definitivo di messa in sicurezza permanente delle discariche «Pariti I rsu - Pariti Liquami e Conte di Troia»; tale progetto non prevedeva di rimuovere i rifiuti ma, molto sinteticamente:
la predisposizione, realizzazione ed interpretazione di un test pilota (in campo) di stabilizzazione biochimica dei rifiuti mediante
insufflazione aerobica in situ, limitato ad un'area di prova di dimensioni 24 m x 24 m ritenuta particolarmente rappresentativa dello stato della discarica;
l'implementazione a scala reale della tecnologia di insufflazione aerobica in situ per la stabilizzazione biochimica del corpo rifiuti, limitatamente alle aree corrispondenti ad una profondità complessiva di rifiuto maggiore di 5.5 m;
la messa in sicurezza, con la tecnologia dei «rifiuti rinforzati», del limitato fronte della discarica che si affaccia sul Vallone Mezzanotte (CA 45 m in corrispondenza dell'area ex Cava Gentile) e che, nel corso del più recente sopralluogo, ha evidenziato problemi di instabilità e di affioramento di rifiuti;
la realizzazione di una copertura superficiale su tutta l'area esposta (conforme a quella descritta dal decreto legislativo n. 36 del 2003) e di un sistema di drenaggio delle acque meteoriche;
l'esecuzione del piano di ripristino ambientale finale, per un importo complessivo lordo dei lavori pari a circa 6 milioni di euro.
di un più accurato inquadramento idrogeologico;
di una verifica dello stato effettivo dei rifiuti (soprattutto in termini di produzione di biogas e di percolato) e della loro classificazione ai sensi del decreto legislativo n. 36 del 2003;
di una analisi di rischio di estremo dettaglio.
Per la discarica Pariti Liquami è stato quindi realizzato un primo progetto di bonifica. L'intervento operativo si è svolto nel periodo marzo 2008-gennaio 2009. A causa di nuovi rinvenimenti di rifiuti in corso d'opera è stato necessario operare una variante progettuale e l'intervento risolutivo è stato concluso nel 2010. Per le discariche Pariti rsu e Conte di Troia, il progetto di bonifica è stato presentato alla fine del 2008. Nel novembre 2008 la Corte di giustizia europea ha emesso la sentenza di condanna per il mancato completamento della bonifica dei due siti con severe sanzioni da parte della Corte di giustizia. La disposizione veniva sospesa a seguito dell'impegno dello Stato italiano di sanare la situazione entro il 2010. A seguito di un iter burocratico complesso nel maggio 2009 veniva dichiarato con
ordinanza del presidente del Consiglio dei ministri n. 3739 del 2009 e n. 3836 del 2009 lo stato di emergenza, veniva nominato un commissario delegato per la bonifica, nella persona del presidente della regione Nichi Vendola e un soggetto attuatore nella persona del dottor Maurizio Croce. Nell'arco di diciotto mesi sono stati realizzati, da Siap in collaborazione con Sogesid, gli interventi di bonifica delle discariche Pariti rsu e Conte di Troia e il 6 aprile 2011 la Commissione europea ha deciso di archiviare la procedura di infrazione. L'importo complessivo degli interventi è stato di circa 42 milioni di euro, dei quali 32 di risorse regionali e circa 10 di risorse del ministero dell'ambiente. Contemporaneamente alla progettazione e realizzazione degli interventi di bonifica e messa in sicurezza permanente delle tre discariche Pariti rsu, Conte di Troia e Pariti Liquami, è stato realizzato e messo in opera un impianto di messa in sicurezza d'emergenza della falda, costituito da pozzi di recupero e da un impianto di trattamento delle acque emunte.
È importante sottolineare che al fine di poter eliminare, o ridurre al massimo, le criticità derivanti dalla movimentazione dei rifiuti, mantenendo comunque l'obiettivo fondamentale dei tempi accelerati di esecuzione finalizzati agli obblighi connessi alla procedura di infrazione dell'unione europea, è stata definita ed approvata da parte del Ministero dell'ambiente e del commissario delegato una soluzione finale piuttosto innovativa se comparata con le soluzioni adottate per situazioni analoghe, ovvero il completo isolamento della massa di rifiuti, tramite impermeabilizzazione in sito sia del fondo che delle pareti, senza movimentazione all'esterno di rifiuti, oltre alla copertura, impermeabilizzazione e rinaturalizzazione superficiale con essenze vegetali e arboree compatibili ambientalmente.
La perimetrazione riguarda le aree interamente private dell'ex stabilimento di produzione di cemento-amianto Fibronit ed aree ad esso connesse e si estende per circa 150 mila metri quadrati. Le attività dello stabilimento sono cessate nell'anno 1985 e nel 1995 l'area è stata sottoposta a sequestro giudiziario e posta sotto la tutela di una curatela fallimentare. Una prima sentenza giudiziaria aveva sottratto ai privati la proprietà dell'area, a beneficio del patrimonio dello Stato.
La confisca dell'area è stata bloccata in seguito alla sentenza della Cassazione del marzo 2007.
Le principali criticità ambientali vengono riportate di seguito:
Settore
Aziende
Principali criticità Produzione
di cemento-amiantoEx - Fibronit Inquinamento da amianto per la presenza di manufatti, rifiuti, coperture e impianti contenenti amianto.
In particolare alcune aree presentano una contaminazione consistente e diffusa che raggiunge lo spessore di 6 m.
Si stima una volumetria di materiale contaminato pari a circa 90.000 m3
Anche al di sotto dei capannoni il terreno risulta contaminato.
I sottoservizi ed il sistema fognario presentano contaminazione da polveri di amianto e residui di lavorazione.
Una volta garantite le condizioni di sicurezza per evitare pericoli per i lavoratori coinvolti nelle operazioni e per l'ambiente circostante, sono stati attivati gli interventi di caratterizzazione ambientale. Tali interventi hanno evidenziato una generalizzata e diffusa presenza di riporti contaminati da frammenti e fibre di amianto, in alcuni punti presenti anche al di sotto del riporto e l'assenza di contaminazione di amianto nelle acque di falda.
Il progetto di messa in sicurezza permanente (misp) dell'area è stato approvato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel luglio 2008 e prevede la realizzazione di interventi di riqualificazione atti ad una futura destinazione dell'area a parco urbano.
L'area marina compresa nel perimetro del sito raggiunge un'estensione di circa 56 chilometri quadrati.
Aree
Pubbliche
Private a terra marine
polo chimico;
polo elettrico;
agglomerato artigianale-industriale;
aree agricole;
aree di pertinenza dell'autorità portuale.
Settore Criticità Polo chimico Mercurio, Idrocarburi C>12 e C>2, Arsenico, Cadmio, Mercurio, Rame, Vanadio, BTEXS, IPA, 1,2dicloroetano, Clorobenzene. Arsenico, Manganese, Ferro, Selenio, Nichel, Alluminio, Piombo, Fluoruri, Nitriti, Cobalto Selenio, Cromo VI, Boro, Fenoli, Idrocarburi totali, BTEXS, IPA, PCB, Idrocarburi alifatici alogenati, Clorobenzene, Alifatici clorurati, Anilina. Polo elettrico Arsenico Solfati, Boro, Ferro, Arsenico, Manganese, Selenio, Composti alifatici clorurati. Agglomerato artigianale-industriale Arsenico, Cadmio, Piombo, Rame, Selenio, Zinco, IPA, Fitofarmaci Arsenico, Solfati, Fluoruri, Boro, Nichel, Selenio, IPA, Alifatici clorurati Organoalogenati Aree agricole Metalli (Arsenico, Berillio, Stagno, Cobalto, Rame, Cadmio, Mercurio, Nichel), Fitofarmaci e Pesticidi clorurati Manganese, Nichel, Selenio e Idrocarburi totali. Aree marine di pertinenza dell'Autorità Portuale SEDIMENTI: Arsenico, Cadmio, Mercurio, IPA e Toluene Aree a terra di pertinenza dell'Autorità Portuale Manganese, Boro, Solfati, Arsenico, Ferro, Alluminio, Piombo, Nichel, Tallio
Syndial occupa un'area di circa 300 ettari di cui 100 interni al sito e 200 ettari esterni. Prima dell'entrata in vigore del decreto ministeriale n. 471 del 1999 era stata realizzata la messa in sicurezza permanente mediante diaframma impermeabile di due aree per complessivi 18,4 ettari di terreno adibiti in passato a discariche (area sud - sud est). I lavori sono stati completati nel 2003. In base alla legge 426 del 1998 il sito di Brindisi è stato dichiarato sito di interesse nazionale e successivamente perimetrato con decreto del ministero dell'ambiente del 10 gennaio 2000. L'iter di bonifica è stato avviato con la dichiarazione prevista dall'articolo 9 del decreto ministeriale 471 del 1999. Per le aree interne al perimetro del SIN è stata effettuata la caratterizzazione e sono stati presentati i progetti di bonifica. Non risultano invece ad oggi emessi da parte del Ministero dell'ambiente i decreti di approvazione degli stessi. Per le aree esterne è stata effettuata la caratterizzazione, ma devono essere validati i risultati da parte dell'Arpa Puglia. È stata inoltre avviata la messa in sicurezza della falda e sono stati presentati i relativi progetti di bonifica per i quali non risultano emessi i decreti di approvazione da parte del ministero dell'ambiente. In riferimento alle discariche, in data 4 novembre 2008 è stato emesso da parte della provincia di Brindisi il provvedimento autorizzativo no 270 che approva il progetto di rimozione e smaltimento dei rifiuti contenuti nelle discariche. Il contratto è stato assegnato alla società Teseco Spa e la società ha comunicato come data di inizio lavori dicembre 2010.
La società Enipower ha acquisito aree per 380 mila metri quadrati all'interno del petrolchimico di Brindisi allo scopo di realizzare nuove centrali a ciclo combinato. Per tali aree sono state concluse nel 2004 le attività di caratterizzazione che hanno evidenziato il seguente quadro di contaminazione (in riferimento ai limiti normativi):
Acque sotterranee
in maniera puntuale: metalli (nichel, selenio, mercurio, arsenico, piombo);
in modo diffuso: benzene e solventi alogenati alifatici.
Suoli
In maniera puntuale: pcb, vanadio.
In modo diffuso: idrocarburi, rame zinco, mercurio, diossine.
In funzione della realizzazione delle nuove centrali, il terreno è stato in gran parte escavato e conferito in discarica, mentre per un volume di circa 15.000 m3 è stata applicata la tecnologia di phytoremediation, ovvero la bonifica attraverso la piantumazione di specie vegetali in grado di assorbire e accumulare i contaminanti presenti nel suolo. Le piante, una volta ultimata la loro funzione, vengono poi inviate ad un inceneritore.
Il polo energetico di Brindisi consta di due centrali termoelettriche, la centrale di Brindisi Nord e la centrale di Cerano. Oltre a questi impianti, alimentati a carbone e olio combustibile, vanno menzionate tutte le strutture, le opere e i servizi di pertinenza gestiti dal consorzio Sisri, tra cui una piattaforma polifunzionale per il trattamento dei rifiuti ed una discarica per rifiuti pericolosi.
Una problematica particolare del SIN di Brindisi riguarda le aree agricole che ricadono nel settore meridionale del sito. Occorre infatti sottolineare che, a distanza di dodici anni dall'emanazione del primo regolamento tecnico sulle bonifiche, non sono stati individuati criteri per la derivazione degli obiettivi di bonifica per le aree agricole, pertanto il ministero dell'ambiente, in presenza di un «buco normativo», nella prassi assimila la destinazione d'uso agricola a quella verde/residenziale. Secondo tale approccio, le aree agricole sono state suddivise in tre aree omogenee per alto, medio e basso grado di rischio presunto, che coprono rispettivamente l'8 per cento, il 6,9 per cento e 84,3 per cento della superficie totale del sito di interesse nazionale con destinazione d'uso agricola.
Una campagna di indagine ambientale condotta dalla società Sviluppo Italia Aree Produttive (Siap ora confluita in Invitalia) nell'area ad »alto rischio di contaminazione potenziale« ha evidenziato, per la matrice suolo/sottosuolo, la presenza di superamenti dei limiti di riferimento indicati dal ministero dell'ambiente (riferiti all'uso verde/residenziale) per metalli, pesticidi clorurati idrocarburi pesanti. La caratterizzazione della matrice acque sotterranee ha appurato uno stato di contaminazione dovuto a manganese, selenio, nichel e idrocarburi.
Le aree caratterizzate in prossimità del nastro trasportatore e della centrale Enel di Cerano sono state oggetto nel giugno 2007 di un'ordinanza sindacale che vietava le coltivazioni e la commercializzazione dei prodotti agricoli ivi prodotti. Al fine di verificare la reale sussistenza di un rischio sanitario, il commissario delegato all'emergenza rifiuti in Puglia ha provveduto a stipulare una convenzione con l'Arpa Puglia e l'Università del Salento per lo studio di tale problematica. Gli esiti di questo studio, pur confermando che i risultati della caratterizzazione lasciano ipotizzare un elevato rischio per la salute dell'uomo, rilevano che la maggior parte dell'arsenico non è trasferibile dalla matrice suolo alla catena alimentare e che l'analisi svolta per i vari percorsi di migrazione evidenzia un rischio prossimo ai livelli di accettabilità e, conseguentemente, modulabile attraverso una serie di misure di mitigazione.
Il 18 dicembre 2007 è stato stipulato per il SIN di Brindisi un accordo di programma. Si riassumono di seguito i contenuti di tale accordo, con particolare riferimento alla messa in sicurezza e bonifica delle aree private da parte dei soggetti obbligati, in quanto responsabili del danno ambientale, che intendono aderire all'accordo mediante la sottoscrizione di apposita transazione con il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Nello specifico, l'accordo, stipulato tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e i soggetti pubblici locali, riconosce ai soggetti privati obbligati la possibilità di usufruire, attraverso la sottoscrizione di specifico atto transattivo con la pubblica amministrazione, di una serie di benefici di natura sia procedurale sia economica. In questo modo si vuole garantire ai soggetti privati:
certezza e rapidità, sia rispetto ai tempi per il riutilizzo ai fini produttivi delle aree inquinate sia rispetto alle modalità attuative degli interventi. Ciò si realizza attraverso l'introduzione di procedure semplificate, l'adozione di protocolli operativi che definiscono chiaramente
attività, soggetti e relative responsabilità, nonché poteri sostitutivi tra enti attuatori (es. poteri sostitutivi di Ispra, ex Apat, nei confronti dell'Arpa Puglia in caso di mancato adempimento delle attività nella fase di caratterizzazione della aree);
riduzione del 50 per cento dei costi per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica della falda e possibilità di conguagliare interamente la quota dovuta (restante 50 per cento ripartito tra tutti i soggetti in ragione della superficie delle proprie aree), qualora l'azienda realizzi sull'area investimenti di natura produttiva, in coerenza con la disciplina degli «aiuti di stato a finalità regionale»;
pagamento del danno ambientale in dieci anni senza interessi con la possibilità di conguagliare interamente la quota dovuta con i maggiori oneri sostenuti dalle imprese per realizzare interventi di natura produttiva che permettano di ottenere performance ambientali superiori ai limiti previsti dalla normativa vigente, in conformità con la «disciplina comunitaria degli aiuti di stato per la tutela dell'ambiente» (2008/C 82/01);
importante impegno di cofinanziamento da parte delle risorse pubbliche centrali e regionali di natura ordinaria (programma nazionale di bonifica - decreto ministeriale n. 468 del 2001 e decreto ministeriale n. 308 del 2006) nonché aggiuntiva (Fondo per la aree sottoutilizzate - FAS - 2007/2013).
I soggetti privati obbligati possono riutilizzare l'area alle seguenti condizioni:
in caso di sola falda inquinata, presentazione al Ministero dell'ambiente della sola indagine sito specifica, sulla base della quale il Ministero stesso rilascerà il decreto direttoriale. Ai fini del riutilizzo dell'area sarà poi necessario presentare al comune di Brindisi copia del suddetto decreto direttoriale unitamente al progetto preliminare di utilizzazione dell'area e alla stima del rischio sanitario ed ambientale (per la valutazione di tali stime di rischio il comune di Brindisi ha attivato un'apposita convenzione con Ispra);
in caso di falda e suoli inquinati, presentazione al ministero dell'ambiente del progetto di messa in sicurezza e bonifica dei suoli, di una indagine sito specifica e il rilascio della fideiussione, sulla base dei quali il Ministero stesso rilascerà il decreto direttoriale. Ai fini del
riutilizzo dell'area sarà poi necessario presentare al comune di Brindisi copia del suddetto decreto direttoriale unitamente al progetto preliminare di utilizzazione dell'area, e alla stima del rischio sanitario ed ambientale.
Il soggetto obbligato deve: definire il piano di caratterizzazione sulla base del protocollo operativo predisposto da Ispra ed istituto superiore di sanità; inviare il piano al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e procedere alla caratterizzazione dei suoli e delle acque di falda, comunicare all'Arpa Puglia i risultati della caratterizzazione e, successivamente alla loro validazione da parte dell'Arpa, presentare gli stessi al ministero per l'approvazione.
I soggetti obbligati che scelgono di aderire all'accordo possono fruire dei benefici di natura economica in esso previsti e in particolare:
le attività di progettazione e realizzazione dell'intervento di messa in sicurezza e bonifica delle acque di falda, localizzato all'interno delle aree demaniali, sarà effettuato dalle parti pubbliche nell'ambito dell'intero SIN secondo una logica di intervento unico e coordinato, già di per sé meno dispendioso rispetto alla somma dei singoli interventi a cui sarebbero tenuti individualmente i soggetti obbligati. A ciò si aggiunge che le parti pubbliche si impegnano a garantire un contributo del 50 per cento rispetto al costo di detto intervento, mentre la restante quota del 50 per cento, ripartita tra tutti i soggetti privati in ragione della superficie delle proprie aree, può essere oggetto di conguaglio qualora l'azienda realizzi sull'area investimenti di natura produttiva, in coerenza con la disciplina degli «aiuti di stato a finalità regionale». Pertanto, i soggetti obbligati che aderiscono all'accordo sono liberati in via definitiva dagli obblighi relativi alla messa in sicurezza e bonifica delle acque di falda, in relazione alle aree interne al sito, mentre restano in capo ad essi, in quota parte, solo gli oneri relativi alla gestione dell'impianto di trattamento delle acque emunte.
oggetto di specifico finanziamento statale ai sensi della «disciplina comunitaria degli aiuti di stato per la tutela dell'ambiente». L'eventuale quota residua tra importo dovuto a titolo di danno ambientale e la parte conguagliata, potrà essere corrisposta dal soggetto privato in dieci anni senza interessi.
Il 4 agosto 2010, con un atto di transazione firmato presso il Ministero dell'ambiente, l'Enel ha aderito all'accordo di programma per la bonifica del sito di interesse nazionale di Brindisi.
Il sito è stato perimetrato con decreto del Ministro dell'ambiente del 10 gennaio 2000.
La superficie complessiva interessata dagli interventi di bonifica e ripristino ambientale è di circa 114,9 chilometri quadrati di cui 22,0 chilometri quadrati di aree private e 10,0 chilometri quadrati di aree pubbliche, cui si aggiungono 22,0 chilometri quadrati (Mar Piccolo), 51,1 chilometri quadrati (Mar Grande), 9,8 chilometri quadrati (Salina Grande). Lo sviluppo costiero è di circa 17 chilometri.
In particolare, all'interno dell'area perimetrata a terra, è compreso un polo industriale di rilevanti dimensioni, con grandi insediamenti produttivi, e differenti tipologie di aree, quali industria siderurgica (Ilva), Raffineria Eni (ex-Agip), industria cementiera (Cementir). Nell'area sono, inoltre, presenti industrie manufatturiere di dimensioni medio-piccole.
Sono state inoltre individuate zone interessate da cave che presentano fenomeni di degrado e dissesto localizzato nonché siti di discarica di rifiuti urbani non adeguatamente conterminati e numerosi siti di smaltimento abusivo di rifiuti di varia provenienza.
Sono comprese nel perimetro del sito anche lo specchio di mare antistante l'area industriale comprensiva dell'area portuale (Mar Grande ed area ad ovest di Punta Rondinella, nel Golfo di Taranto), lo specchio marino rappresentato dal Mar Piccolo e la Salina Grande.
Le criticità ambientali sono determinate dalla presenza di industrie siderurgiche, petrolifere e cementiere, che rappresentano le principali fonti di inquinamento per il suolo, il sottosuolo e per le acque di falda nonché per i sedimenti dell'area marina antistante il SIN.
Lo stato di qualità delle matrici ambientali può essere così rappresentato:
suolo e sottosuolo: antimonio, arsenico, berillio, cadmio, cobalto, cromo totale, cromo esavalente, mercurio, piombo, nichel, zinco, cianuri, rame, vanadio, idrocarburi C<2 e C>12, ipa singoli e totali, benzene, xilene, diossine.
Acque sotterranee: arsenico, selenio, alluminio, arsenico, ferro, manganese, nichel, piombo, cianuri, cobalto, cromo totale, cromo
esavalente, cianuri, solfati, nitriti, btexs, alifatici clorurati cancerogeni e non cancerogeni, ipa singoli e totali, idrocarburi totali, mtbe. È da segnalare la presenza di concentrazioni significative di coliformi totali.
Sedimenti marini: arsenico, nichel, piombo, cromo totale, rame, mercurio, zinco, ipa totali, pcb.
Per quanto riguarda l'area Ilva, la falda superficiale è risultata contaminata per il 7 per cento delle determinazioni analitiche complessive e la falda profonda per il 4 per cento. Gli inquinanti presenti sono manganese, ferro, alluminio, arsenico, cromo, cromo esavalente e cianuri totali per gli inorganici, mentre, per quanto attiene ai contaminanti organici, sono stati riscontrati idrocarburi policiclici aromatici, solventi organici aromatici e diversi composti clorurati. Nonostante i ripetuti solleciti delle conferenze di servizi ad attuare con urgenza gli idonei interventi di messa in sicurezza di emergenza della falda, ad oggi non risultano attivate misure in tal senso né risulta pervenuta documentazione relativa ai progetti di bonifica dei suoli e delle acque.
In riferimento alle aree marine (22 chilometri quadrati del Mar Piccolo e 51,1 chilometri quadrati del Mar Grande), nel documento «Schema attuativo del piano di caratterizzazione ambientale dell'area marino costiera prospiciente il sito di interesse nazionale di Taranto e successive integrazioni - dicembre 2006» redatto da Icram (ora Ispra), sono stati definiti i relativi piani di caratterizzazione ambientale, da attuare ad opera del commissario delegato per l'emergenza ambientale della regione Puglia.
In riferimento al Mar Piccolo, il commissario delegato ha incaricato l'Icram di redigere il piano di caratterizzazione dell'area prospiciente l'arsenale militare, definita «area 170 ettari». Nei sedimenti marini sono stati riscontrati superamenti sia dei valori di intervento definiti dall'Icram, sia del 90 per cento dei valori limite per siti ad uso industriale. Per i volumi dei sedimenti eccedenti quest'ultimo limite, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha richiesto di attivare idonei interventi di messa in sicurezza di emergenza. A seguito di opposizioni da parte delle associazioni di mitilicoltura preoccupati degli effetti del dragaggio sulla qualità dei mitili, è stato proposto dalla provincia di Taranto di effettuare uno studio di dettaglio sull'area in modo da colmare alcune lacune individuate in fase di caratterizzazione e verificare, con un'analisi costi-benefici, il miglior sistema di intervento da attuare. Ad oggi tale progetto non risulta ancora avviato. Le quattro aree restanti del Mar Piccolo da caratterizzare sono state indicate come aree interne e come aree interessate alla mitilicoltura, mentre restano escluse dalla competenza del commissario delegato le aree dei «Cantieri Buffoluto» (di pertinenza della Marina militare), e di «Torre Aviazione» e «Pontile Carburanti» (di pertinenza dell'Aeronautica militare).
Relativamente alle aree del Mar Grande, l'ufficio del commissario delegato ha incaricato Sviluppo Italia Aree Produttive (SIAP, ora confluita in Invitalia) di eseguire il piano di caratterizzazione Icram nelle aree «Ovest punta Rondinella» e «Mar grande I lotto». Le caratterizzazioni sono state completate nell'ottobre 2008. La tabella che segue illustra il quadro complessivo della contaminazione, indicando i volumi di sedimento classificato secondo le diverse fasce.
Opera Portuale
Sedimento incontaminato
Sedimento con concentrazioni comprese tra il 90 per cento Tab. 1 col. B All. 1 del DM 471/99 ed i limiti intervento ICRAM
Sedimento con concentrazioni superiori al 90 per cento Tab. 1 col. B All. 1 del DM 471/99
Volume totale di sedimento interessato alla caratterizzazione Ampliamento
IV sporgente
Darsena servizi
Rettifica molo San Cataldo
Cassa di colmata
Totale
All'interno dello stabilimento Ilva di Taranto esistono diverse discariche, in area Mater Gratiae (ex cava di calcare). Tra queste vi è una una discarica ex seconda categoria di tipo «B Speciale» ed una discarica classificata come ex seconda categoria di tipo «C» denominata «Nuove vasche», avente una capacità ricettiva complessiva di 51.600 me, suddivisa in 3 vasche, V I (7.600 me), V2 (18.000 me) e V3 (26.000 me). Allo stato attuale risultano colmate le vasche VI e V3, mentre è in esercizio la vasca V2. Sono stati inoltre ultimati i lavori per la realizzazione del primo modulo di una nuova discarica ex seconda categoria di tipo «C» (per rifiuti pericolosi), sempre in area Mater Gratiae, di capacità ricettiva pari a 300.000 me, suddivisa in due moduli da 150.000 me, ed è stato presentato il Sia per una nuova discarica.
Si premette che, come da piano di monitoraggio e controllo del 19 luglio 2011 e come da «parere stabilimento Ilva di Taranto» da parte della commissione istruttoria IPPC, entrambi documenti allegati all'«autorizzazione integrata ambientale per l'esercizio dello stabilimento siderurgico della società Ilva Spa ubicato nel comune di Taranto», emessa dal ministero dell'ambiente con protocollo DVA DEC- 2011 - 0000450 del 4 agosto 2011, dalle tabelle riepilogative delle produzioni di rifiuti, si evince che non sono prodotte dal gestore polveri contenenti diossine. Sempre dallo stesso piano di monitoraggio, si evince che la discarica destinata a contenere le polveri derivanti dagli elettrofiltri e le polveri in genere è la discarica di tipo 2B esistente, precedentemente citata e di seguito descritta. Essa ha una capacità ricettiva complessiva di 1.200.000 mc, suddivisa in 4 lotti da 300.000 mc cadauno. Allo stato attuale il primo ed il secondo lotto risultano esauriti, il terzo e quarto lotto sono in esercizio. Con il provvedimento di autorizzazione all'esercizio del terzo lotto è stato altresì approvato il piano di adeguamento presentato ai sensi del decreto legislativo n. 36 del 2003.
La realizzazione della discarica in oggetto è stata autorizzata con delibera della giunta provinciale di Taranto n. 620 del 4 giugno 1998. L'esercizio dei singoli lotti è stato autorizzato con i provvedimenti di seguito riportati:
1o lotto: decreto del commissario delegato per l'emergenza ambientale nella regione Puglia n. 101 del 27 settembre 2001;
2o lotto: determinazione del dirigente del servizio ecologia ed ambiente della provincia di Taranto n. 51 del 17 marzo 2004;
3o lotto: determinazione del dirigente del servizio ecologia ed ambiente della provincia di Taranto n. 178 del 16 novembre 2005;
4o lotto: determinazione del dirigente del settore ecologia ed ambiente della provincia di Taranto n. 144 del 6 ottobre 2008.
L'intervento, in base a quanto riportato nell'allegato all'istanza di Aia numero C.13.1., scheda VR3, consisteva nella realizzazione del secondo, terzo, e quarto lotto della discarica, secondo quanto previsto nel progetto approvato con le modifiche apportate con la presentazione, ai sensi del decreto legislativo n. 36 del 2003, del «piano di adeguamento». Tali modifiche riguardavano, in particolare, il sistema di impermeabilizzazione di fondo per i lotti 2 - 3 - 4 (il primo lotto era già realizzato ed in fase di coltivazione) ed il sistema di ricopertura finale.
I principali stadi realizzativi per ogni lotto erano rappresentati da:
predisposizione degli argini;
posa in opera dello strato impermeabilizzante limoso-argilloso con permeabilità K <10-7 cm/sec sul fondo (spessore 2 metri) e sulle pareti (spessore 1 metro);
posa in opera della geomembrana in hdpe di spessore 2 mm sul fondo e sulle pareti;
posa in opera di geotessuto a protezione della geomembrana;
posa in opera dello strato drenante e delle tubazioni in hdpe di drenaggio del percolato;
posa in opera di geotessuto a protezione dello strato drenante.
meteoclimatica dotata dei richiesti sensori. Tutte le infrastrutture necessarie per l'esercizio della discarica sono state realizzate congiuntamente al primo lotto.
Si evidenzia che, per quanto riguarda il quarto lotto, la relativa determinazione del dirigente del settore ecologia ed ambiente della provincia di Taranto n. 144 del 6 ottobre 2008, è stata emessa visto l'articolo 2 - «norma transitoria», della legge 19 dicembre 2007, n. 243 - «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 ottobre 2007, n. 180, recante differimento di termini in materia di autorizzazione integrata ambientale e norme transitorie», secondo il quale: «fino alla data del rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale, gli impianti esistenti di cui al decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59, per i quali sia stata presentata nei termini previsti la relativa domanda, possono proseguire la propria attività, nel rispetto della normativa vigente e delle prescrizioni stabilite nelle autorizzazioni ambientali di settore rilasciate per l'esercizio e per le modifiche non sostanziali degli impianti medesimi; tali autorizzazioni restano valide ed efficaci fino alla scadenza del termine fissato per l'attuazione delle relative prescrizioni, ai sensi dell'articolo 5, comma 18, del citato decreto legislativo n. 59 del 2005, come modificato dall'articolo 1, comma 1, del presente decreto».
Come riportato nell'allegato tecnico, «Parere stabilimento Ilva di Taranto» da parte della commissione istruttoria Ippc, a corredo della «Autorizzazione integrata ambientale per l'esercizio dello stabilimento siderurgico della società Ilva Spa ubicato nel comune di Taranto», emessa dal ministero dell'ambiente con protocollo DVA DEC- 2011 - 0000450 del 4 agosto 2011, al capitolo 4.15 «Gestione rifiuti», nello stabilimento non sono prodotte polveri di tipo pericoloso provenienti dalla depurazione delle emissioni atmosferiche. Nella tabella n. 37 del suddetto capitolo, riportante il riepilogo quali-quantitativo delle tipologie di rifiuti pericolosi prodotti dallo stabilimento nel 2005 ed estrapolazione alla massima capacità produttiva, tra tutti i codici in elenco, identificativi dei rifiuti prodotti, infatti, mancano i codici riferiti alla categoria di rifiuto identificata con codice 10.02.07
base alle scelte della ditta, come specificato nel piano di monitoraggio e controllo, sono inviate a smaltimento presso la discarica interna esistente ex 2B, per rifiuti non pericolosi, in area Mater Gratiae.
Nell'ambito delle campagne di monitoraggio per le diossine, Arpa Puglia eseguì nel giugno 2007 anche analisi di caratterizzazione delle polveri provenienti dagli elettrofiltri, avvalendosi del supporto del consorzio interuniversitario nazionale per la chimica e l'ambiente (INCA), che a sua volta richiese il supporto di Sgs Italia Spa. Furono analizzati quattro campioni di polveri, di cui due provenienti dagli elettrofiltri primari e due da quelli secondari. I risultati sul rifiuto tal quale evidenziarono che tre dei quattro campioni erano classificabili come non pericolosi, mentre uno risultava pericoloso a causa della concentrazione di piombo. Tutti i campioni, comunque, non presentavano concentrazioni di diossina oltre i limiti di pericolosità. Il test dell'eluato, effettuato secondo i dettami del decreto 3 agosto 2005, ha dimostrato per tutti i campioni la non ammissibilità in discarica per rifiuti non pericolosi a causa di esigui superamenti delle concentrazioni di alcuni paramenti. Per due campioni nell'eluato si ritrovavano superamenti per piombo e selenio; per un campione superamenti di doc, tds, cloruri, solfati e Selenio; per il campione identificato come pericoloso l'eluato evidenziava superamenti per tds, cloruri e selenio. I rifiuti, in base alla caratterizzazione effettuata, una volta entrato in vigore il decreto 3 agosto 2005, avrebbero potuto essere smaltiti solo in discarica per rifiuti pericolosi.
L'azienda addusse controdeduzioni ai risultati presentati da Arpa, che sono poi state recepite anche nell'autorizzazione del quarto lotto della discarica interna allo stabilimento (determinazione del dirigente del settore ecologia ed ambiente della provincia di Taranto n. 144 del 6 ottobre 2008). In particolare nella determinazione si riporta che, vista la discordanza tra le analisi Arpa e quelle della ditta, erano necessari ulteriori approfondimenti a carico della ditta che ha in carico l'obbligo di classificazione rifiuti, fermo restando che il test dell'eluato non è vincolante, e quindi il rifiuto è accettabile, finché l'entrata in vigore del decreto ministeriale 31 agosto 2005 continua ad essere prorogata. Nella stessa determina si riporta anche che il gestore aveva poi specificato, come controdeduzioni alle analisi conoscitive Arpa, con nota del 1o ottobre 2008, che gli autocontrolli fino allora eseguiti avevano dimostrato che le polveri provenienti dalla linea di produzione dell'agglomerato erano compatibili con una discarica ex seconda categoria di tipo «B speciale», confrontando anche i risultati analitici con le condizioni di accettabilità fissate nella deliberazione del comitato interministeriale del 27 luglio 1984, allora vigenti. Rispetto agli ultimi dati disponibili, forniti dal gestore con la relazione annuale del dicembre 2010 relativa all'attività del 2009, in merito all'ammissibilità dei rifiuti, tra cui le polveri, che vengono smaltiti nella discarica ex 2B speciale esistente e situata all'interno dello stabilimento, in area Mater Gratiae, il gestore dichiara di aver effettuato la caratterizzazione di base secondo le modalità previste dall'allegato 3 del decreto 3 agosto 2005.
Si dichiara che le analisi sono state effettuate in corrispondenza del primo conferimento e ripetuta anche ad ogni variazione significativa del processo che ha originato il rifiuto e, comunque, almeno
una volta l'anno. Nel corso del 2009 sono stati analizzati circa settanta campioni, tutti risultati ammissibili nella discarica in oggetto. Si informa che Arpa Puglia ha effettuato ulteriori controlli e campionamenti per l'analisi delle polveri, durante il 2010, nell'ambito di indagini svolte dalla procura di Taranto in tema di inquinamento da diossine e pcb.
Secondo quanto riportato negli allegati tecnici a corredo della istanza di autorizzazione da parte di Ilva e recepite nel «parere stabilimento Ilva di Taranto» da parte della commissione istruttoria Ippc, al capitolo 4.15 «Gestione rifiuti», risulta che nello stabilimento sono prodotte polveri provenienti da varie attività svolte all'intero dello stabilimento. I rifiuti sono identificati con i codici:
a) 10.02.99 - rifiuti non specificati altrimenti, corrispondenti alle attività accessorie come pulizia piazzali o impianti;
b) 10.13.06 - polveri e particolato (eccetto quelli delle voci 101312 e 101313), proveniente dall'impianto di produzione calce.
I rifiuti, come da caratterizzazione effettuata dal gestore, non sono pericolosi e quindi non contengono diossine in quantità tali da conferire caratteristiche di pericolosità al rifiuto. Le polveri sono anch'esse destinate ad essere smaltite nella medesima discarica precedentemente citata.
Per lo smaltimento di queste polveri valgono le stesse modalità e considerazione di cui al precedente paragrafo.
In base al decreto legislativo n. 36 del 2003, l'azienda ha effettuato una serie di autocontrolli i cui risultati sono stati consegnati con la relazione annuale del 27 dicembre 2010, relativa ai controlli dell'anno 2009. Sono stati esaminati:
tipi e quantitativi di rifiuti smaltiti: nella discarica sono stati complessivamente conferiti 86.126 tonnellate di rifiuti, tra cui tre codici CER identificativi di polveri non contenenti sostanze pericolose. In particolare risultano smaltiti 103,66 tonnellate di rifiuti prodotti da trattamento dei fumi diversi da quelli di cui alla voce 100207 (CER 10.02.08), 4.351,8 ton di 10.02.99 e 768.35 ton di 10.13.06;
materiali per la ricopertura finale delle celle: per la ricopertura periodica dei rifiuti, sono stati altresì impiegati complessivamente 1220,16 metri cubi di materiale costituito sia da terre e rocce che da scoria non trattata;
acque sotterranee: il controllo delle acque sotterranee, circolanti nell'area di interesse, è attuato mediante quattro piezometri. Uno dei piezometri (denominato «P6») è ubicato a monte dell'intero sistema
di discariche e tre (denominati «P2» - «P4» - «P5») sono ubicati a valle della discarica in esame. Su tali piezometri, con frequenza mensile, sono stati rilevati i livelli piezometrici della falda profonda. Dagli stessi piezometri sono stati inoltre prelevati, per una valutazione della qualità della falda, campioni sottoposti alle determinazioni analitiche previste nel piano di sorveglianza e controllo approvato. I risultati delle suddette attività analitiche, relative ai campioni prelevati, dimostrano che non ci sono superamenti rispetto ai limiti dei parametri fissati nella tabella 2 dell'allegato 5 alla parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006;
percolato: nell'anno 2009, dai lotti realizzati della discarica, sono stati estratti complessivamente 5.957 metri cubi di percolato e successivamente avviati all'impianto di trattamento realizzato in asservimento alle discariche. Si è proceduto, inoltre, al prelievo di campioni del percolato prodotto, per sottoporlo a determinazioni analitiche (sei analisi in un anno).
Sono stati eseguiti, nel corso del 2009, prelievi con campionatori ambientali e con frequenza semestrale al fine di verificare la presenza di fibre di amianto aerodisperse.
Come indicato nel piano di adeguamento presentato, nell'area in cui insiste il sistema di discariche Ilva, è stata installata una stazione meteoclimatica mediante la quale si rilevano, attualmente con frequenza giornaliera, i seguenti parametri meteoclimatici: precipitazioni, temperature, direzione e velocità del vento, evaporazione, umidità atmosferica.
Al fine di mantenere sotto controllo lo stato di riempimento della discarica, sono stati eseguiti rilievi plano-altimetrici, con frequenza semestrale. La volumetria complessivamente occupata al 31 dicembre 2009 è di circa 46.139,6 metri cubi, con una volumetria residua, pari a circa 320.777 metri cubi.
Nell'ambito delle ultime attività di controllo svolte da Arpa Puglia, Dap di Taranto, per il controllo della discarica, è emerso dal campionamento ed analisi dei pozzi spia della discarica, durante il 2010, che sono presenti superamenti delle Csc, per il nichel ed il piombo.
Durante il 2010, inoltre, sono stati analizzati anche cinque campioni di percolato di discarica. Il 13 ottobre 2011 è stato effettuato un nuovo campionamento.
Per quanto riguarda i rifiuti conferiti in discarica, ed in particolare delle polveri, a partire dai primi controlli Arpa Puglia sulle polveri abbattute dagli elettrofiltri dell'impianto di agglomerazione AGL/2, ed alle valutazioni conseguenti, l'azienda ha rivisto le modalità di gestione interne, tra l'altro conferendo detti rifiuti pericolosi all'esterno presso terzi. Arpa ha già appreso da tempo questa informazione. Tale informazione si riferisce, in ultimo, al primo
semestre 2010, ed è stata acquisita nel corso delle indagini, precedentemente citate, della procura di Taranto, in merito all'inquinamento da diossina e pcb.
In merito ai dati sanitari raccolti sulle matrici alimentari a cura della Asl/Izs sulla contaminazione da pcdd/pcdf della catena alimentare, sono state riscontrate numerose eccedenze dei limiti di riferimento per i prodotti ad uso alimentare. Tali riscontri sono stati confermati dallo stesso direttore generale di Arpa Puglia, dottor Assennato, nel corso del convegno del 22 novembre 2011 dal titolo «Il sistema dei controlli ambientali: le buone pratiche in Italia», svoltosi a Taranto. Nel corso di tale convegno il dottor Assennato ha presentato le risultanze del monitoraggio delle emissioni di diossina. A partire dai dati derivanti dalle autodichiarazioni aziendali, che individuavano a Taranto la presenza della principale sorgente emissiva industriale italiana di diossine, e cioè l'impianto di sinterizzazione dello stabilimento siderurgico di Taranto, Arpa ha effettuato, a partire dal 2007, una serie di prelievi a camino che hanno corretto verso l'alto le stime aziendali, con un valore di diossine emesse in aria in un anno confrontabile con il quantitativo di diossina liberato durante l'incidente di Seveso, sia pure in un tempo infinitamente più breve. I controlli, dopo un iniziale periodo di contrapposizione con l'azienda, derivante anche dalla promulgazione di una specifica legge regionale che colmava una fondamentale carenza normativa nazionale, ha portato, attraverso un protocollo Ilva-Ispra-Arpa, alla sperimentazione e attuazione di specifici sistemi di abbattimento ad urea e, successivamente, a carbone attivo, che hanno ridotto sostanzialmente le emissioni in aria di diossine, passando da circa 2 etti annui a meno di 15 grammi per anno.
Il prospetto che segue ne fornisce il riepilogo:
INTERVENTO PROVINCIA
TOTALE BA BR BT FG LE TA Caratterizzazione Messa in sicurezza d'emergenza Bonifica/messa in sicurezza permanente Totale siti di intervento
L'elenco del piano concepito nel 2001 è stato confrontato con l'elenco dei siti potenzialmente contaminati noti al servizio regionale di gestione rifiuti e bonifica in cui, con risorse pubbliche, dal 2002 fino ad oggi sono state effettuate (o solo previste) azioni a tutela dell'ambiente, quali caratterizzazioni e/o messa in sicurezza e/o bonifiche. La tabella di seguito riportata mostra l'esito di questa operazione.
PROVINCIA
siti del piano 2001
siti su cui sono stati effettuati interventi dal 2002 fino al maggio 2009
siti presenti nel piano 2001 su cui sono stati effettuati interventi
siti residui del piano 2001
siti residui del piano 2001 e sede di discariche di rsu BA BR BT FG LE TA
RISORSE IMPEGNATE (euro) Interventi BA BR BT FG LE TA Intera regione (media pesata) C MISE B C: caratterizzazione; MISE: messa in sicurezza di emergenza; B: bonifica/messa in sicurezza definitiva
Questo elenco è, però, al momento, incompleto. Infatti sono stati elencati tutti i siti su cui si è intervenuto a partire da quella data fino ad oggi, mentre i siti noti in precedenza vengono di volta in volta inseriti a ritroso nel tempo, sino al loro esaurimento. Continuano inoltre a rimanere in elenco anche quei siti per i quali si è chiuso il procedimento di messa in sicurezza/bonifica/ripristino, mentre ne sono esclusi quelli di ridotte dimensioni sui quali lo stato ambientale viene ripristinato nel giro di alcune ore/giorni dal verificarsi dell'evento di contaminazione. Per questa tipologia di siti esiste un elenco speciale che viene periodicamente aggiornato.
abbandono/discarica abusiva
64 discarica distributore di carburanti incidente sito industriale Totale
La banca dati geografica è completata da carte topografiche a diversa scala, mappa geologica in scala 1/100.000, set di foto aeree prodotte in tempi diversi e mappe tematiche (per esempio: carta del piano regionale delle attività estrattive, carta delle aree protette, cartografia del PUTT, ecc.).
Molti dei siti potenzialmente contaminati residuano dal piano di bonifica del 2001, mentre diverse sono le criticità segnalate dalle province nell'ambito di tavoli di concertazione i cui lavori sono stati svolti nell'ultimo anno. Alcuni siti sono stati oggetto di istanza di finanziamento (per operazioni di caratterizzazione/bonifica ecc.) da parte dei comuni nei quali questi ricadono. Numerose, infine, sono le segnalazioni scaturite dai lavori di ricognizione sul territorio regionale da parte delle forze dell'ordine, eseguiti nell'ambito di un accordo di programma quadro.
Per far fronte alla situazione di degrado, nel marzo 2007 la regione Puglia ha sottoscritto un accordo di programma quadro di tutela ambientale con le forze dell'ordine (Guardia di finanza, Corpo forestale dello Stato e Carabinieri del Noe), l'Arpa Puglia e l'istituto di ricerca sulle acque del Cnr (Cnr-Irsa). Scopo principale dell'accordo è l'aggiornamento continuo dello stato dell'ambiente sul territorio regionale, con la finalità di porre in essere interventi volti al recupero degli ecosistemi ed al ripristino ambientale dei siti inquinati nel segno della prevenzione e della deterrenza. Le attività dei soggetti firmatari dell'accordo hanno portato a circoscrivere a seicentocinque il numero delle situazioni di degrado censite dal Corpo forestale nel 2001. Nel 2009 il numero residuo dei siti oggetto della procedura di infrazione risultava essere sessanta. Al fine di procedere con urgenza alla risoluzione della procedura d'infrazione e quindi di scongiurare la
sentenza di condanna (con conseguenti aggravi economici per la regione), fermo il principio «chi inquina paga» e fatte salve le assunzioni formali degli oneri di bonifica da parte del responsabile del degrado, la regione Puglia ha ritenuto di dover finanziare le operazioni di ripristino erogando fondi in favore delle amministrazioni comunali competenti per territorio.
La tabella successiva mostra la distribuzione, su base provinciale, dei sessanta siti interessati dalla procedura di infrazione. Al momento della stesura di questo testo, in gran parte dei siti risultano ripristinate le condizioni iniziali. Per alcuni grandi abbandoni le modalità di caratterizzazione del materiale abusivamente abbancato sono state definite in sede di tavolo tecnico; per tutte le ex discariche i piani di caratterizzazione ambientale sono stati approvati in sede di conferenza dei servizi.
Provincia
n. siti Bari Barletta-Andria-Trani Brindisi Foggia Lecce Taranto Totale
IV. 13 - Interventi nell'ambito P.O. FESR 2007-2013, Linea 2.5, asse II, azione 2.5.4 - Procedura di concertazione con le Aree Vaste
Si è in attesa della conclusione della procedura di concertazione per le aree vaste «Monti Dauni» e «Capitanata 2020».
Area vasta
Comune
Località
Sito
Tipologia intervento VISION 2020 Barletta San Procopio discarica rsu MISP SALENTO 2020 Maglie ex impianto comunale di incenerimento rifiuti Caratterizzazione SALENTO 2020 Spongano Specchiaturi discarica rsu MISP SALENTO 2020 Taurisano vari siti vari siti Bonifica-MISP AREA VASTA
BRINDISINASan Pancrazio ex discarica
LepetitMISP AREA VASTA
BRINDISINABrindisi Autigno discarica rsu MISP e monitoraggio falda TERRA DI BARI Giovinazzo Lama Castello ex Acciaierie
e Ferriere PugliesiBonifica, MISP e riqualificazione TERRA DI BARI Palo del Colle ex discarica
comunale rsuMISP TERRA DI BARI Adelfia ex SAPA Bonifica TERRA DI BARI Corato Maccarone Sant'Elia Caratterizzazione (prima fase) LA CITTÀ
MURGIANAAltamura La Graviscella ex discarica MISP LA CITTÀ
MURGIANASanteramo Colacicco discarica abusiva Caratterizzazione LA CITTÀ
MURGIANAGravina Iazzo dei Preti Caratterizzazione LA CITTÀ
MURGIANAGravina Fontana
La Stella Caratterizzazione LECCE 2005 Lecce ex SASPI ex discarica MISP LECCE 2005 Squinzano Puppo Ustini ex discarica MISP LECCE 2005 Calimera Ponzio ex discarica MISP LECCE 2005 Melendugno Larghi ex discarica MISP VALLE D'ITRIA Monopoli Caramanna ex discarica Bonifica - MISP VALLE D'ITRIA Martina Franca Finimondo Bonifica-MISP
III.2.5.1 Interventi di bonifica nell'ambito della procedura negoziale avviata con le amministrazioni provinciali della regione Puglia, di cui al PO FESR 2007/2013 Linea d'intervento 2.5 Azione 2.5.4.
degli interventi, stabilendo di dare priorità al completamento d'interventi già attivati e finanziati con precedenti programmazioni o attraverso altre fonti di finanziamento pubblico.
L'amministrazione provinciale di Barletta-Andria-Trani non ha ancora trasmesso le indicazioni utili all'individuazione puntuale degli interventi e l'amministrazione provinciale di Foggia ha trasmesso segnalazioni che necessitano di approfondimenti e puntualizzazioni.
Provincia
Comune
Località
Sito
Tipologia intervento BA Triggiano Lama
Centopiediex discarica rsu MISP BA Conversano Martucci ex discarica rsu MISP BR Francavilla Fontana Matroccolo ex discarica rsu Bonifica e MISP BR Cisternino Pico ex discarica rsu Bonifica e MISP LE Surano Chiano discarica rsu MISP LE Scorrano La Favorita discarica rsu completamento MISP LE Nociglia Pastorizze discarica rsu MISP TA Manduria Li Cicci discarica rsu MISP TA Taranto Praia a Mare abbandoni MISP TA Statte area vasta all'interno del SIN di Taranto Caratterizzazione TA Ginosa Calace discarica rsu MISP
Sono stati selezionati 295 comuni, 5.534.492 abitanti, circa il 10 per cento del totale della popolazione italiana al censimento 2001, ventuno siti sono situati al nord, otto al centro e quindici al sud e sono classificati in base alla presenza di una o più delle seguenti esposizioni: produzione/uso di sostanza/e chimica/he (C), impianto petrolchimico o raffineria (P/R), centrale termoelettrica (CE), industria siderurgia (S), amianto/altre fibre minerali (A), aree portuali (AP), miniere/cave (MC), discariche (D) e inceneritore (I).
In particolare in riferimento alla regione Puglia, sono state analizzate le aree incluse nei seguenti siti di interesse nazionale (SIN):
Bari Fibronit;
Brindisi;
Manfredonia;
Taranto.
Per le cause di morte per le quali vi è a priori un'evidenza sufficiente o limitata di associazione con le fonti di esposizioni ambientali del SIN, elencate nella tabelle, si ha un eccesso per tumore del polmone nelle donne. È presente un eccesso per tumore maligno della pleura tra gli uomini e tra le donne.
L'azienda Fibronit di Bari è stata oggetto di due studi di coorte. Lo studio di Belli ha riguardato duecentotrentatré lavoratori dell'azienda, titolari di rendita Inail per asbestosi, e ha osservato un
aumento significativo della mortalità per asbestosi, tumore del polmone, della pleura e del mediastino.
I risultati dello studio di Coviello, riguardante l'intera coorte di quattrocentoventisette lavoratori, ha mostrato eccessi di mortalità per tutte le cause, per le pneumoconiosi, tutti i tumori, per i tumori maligni del polmone, della pleura e del peritoneo.
L'impatto dell'esposizione ambientale ad amianto, in quartieri limitrofi all'insediamento produttivo, è stato stimato da Musti con uno studio caso-controllo che ha valutato la distribuzione spaziale di quarantotto casi di mesotelioma di origine non professionale (dati del registro mesoteliomi della Puglia) e di duecentosettantatré controlli e ha osservato nella popolazione residente entro 500 metri dall'impianto un significativo incremento di rischio.
Visti i risultati presentati nella tabella 1, e considerata la particolare complessità della città di Bari (ambiente urbano, area portuale, altri insediamenti produttivi), si ritiene opportuna una caratterizzazione ambientale più ampia e un approfondimento del quadro dello stato di salute della popolazione.
le esposizioni ambientali presenti in questo SIN (tabelle 2 e 3), in entrambi i generi si osserva un eccesso per il tumore della pleura, anche se la stima nelle donne risulta imprecisa.
La mortalità nell'area di Brindisi è stata analizzata per il periodo 1990-1994. Negli uomini sono stati segnalati eccessi di mortalità per tutte le cause e per la totalità dei tumori, in particolare per il tumore polmonare, pleurico e per i linfomi non-Hodgkin (LNH), cause compatibili con le esposizioni ambientali e occupazionali dell'area. Mediante un'analisi spaziale di eterogeneità a livello comunale che ha utilizzato come riferimento i comuni limitrofi all'area in studio compresi in un'area circolare di 37 km con centro in Brindisi, sono stati confermati eccessi di mortalità negli uomini residenti a Brindisi per il tumore pleurico e per i linfomi non-Hodgkin.
Lo studio caso-controllo di Belli e altri, condotto per valutare la mortalità per tumore del polmone, della pleura, della vescica e del sistema linfoematopoietico nel periodo 1996-1997, ha messo in evidenza eccessi di rischio per il tumore del polmone, della vescica e per i tumori del sistema
linfoematopoietico per le popolazioni residenti entro 2 chilometri dal petrolchimico di Brindisi. È plausibile che l'eccesso di mortalità per il tumore del polmone sia maggiormente attribuibile a esposizioni occupazionali e al fumo di sigaretta, e sia in minima parte dipendente dalle esposizioni ambientali dovute alle attività del petrolchimico.
Uno studio di coorte occupazionale di Pirastu e altri sugli addetti alla produzione e polimerizzazione del cloruro di vinile del petrolchimico di Brindisi nel periodo 1969-1984 ha evidenziato eccessi di mortalità per i tumori del sistema linfoematopoietico, per il morbo di Hodgkin e per le leucemie, basati su un numero esiguo di casi. Per le cause risultate in eccesso c'è evidenza a priori di associazione con le esposizioni ambientali presenti nell'area, ma è da notare che i tumori del sistema linfoematopoietico e le leucemie hanno una evidenza epidemiologica a priori almeno limitata con le esposizioni occupazionali.
Uno studio geografico di Gianicolo e altri ha analizzato la mortalità a livello comunale nella provincia di Brindisi in un periodo più ampio che va dal 1991 al 2001. Nel comune di Brindisi sono stati evidenziati eccessi per il tumore del polmone e per il tumore pleurico negli uomini, e per il tumore pleurico nelle donne.
Rispetto alle esposizioni ambientali presenti nel SIN è possibile che la componente professionale abbia maggiormente contribuito all'aumento di rischio per tumore della pleura tra gli uomini. Tale risultato, messo in evidenza anche in altre indagini effettuate per periodi precedenti, è compatibile con le attività industriali presenti nell'area. L'area presenta ancora oggi una rilevante quantità di amianto, diffusamente utilizzato in passato per l'isolamento termico degli impianti. L'eccesso di mortalità per tumore alla pleura, presente anche nelle donne, potrebbe essere in parte attribuibile a esposizioni ambientali dovute presumibilmente al trasporto di fibre di amianto
dagli ambienti lavorativi contaminati alle abitazioni attraverso gli indumenti da lavoro, anche se l'entità delle diverse componenti del rischio non sono state quantificate con studi ad hoc.
Per le malformazioni congenite risultate in eccesso è plausibile un ruolo delle esposizioni ambientali presenti nel SIN, in particolare è ipotizzabile un ruolo eziologico delle esposizioni a inquinanti prodotti sia dal petrolchimico sia dai siti di discarica.
La conduzione di uno studio di coorte dei dipendenti del petrolchimico e di alcuni comparti dell'area portuale con un'analisi di mortalità e di incidenza contribuirebbe a dimensionare il ruolo eziologico della componente professionale per alcune patologie, in particolare i tumori pleurico e del polmone.
Per approfondire il ruolo delle esposizioni sia occupazionali sia ambientali sulla salute dei residenti sarebbe opportuno acquisire dati sullo stato attuale dell'inquinamento ambientale e condurre studi geografici a livello sub-comunale. Inoltre, sarebbe necessario valutare l'esposizione umana alle concentrazioni di inquinanti presenti nell'ambiente attraverso uno studio di biomonitoraggio, in modo da distinguere il ruolo delle esposizioni occupazionali da quelle ambientali.
Tra le cause di morte per le quali vi è a priori un'evidenza sufficiente o limitata di associazione con le fonti di esposizioni ambientali presenti in questo SIN si osservano, negli uomini e nelle donne, un eccesso per tumore dello stomaco e un difetto per le malattie dell'apparato respiratorio (tabella 2).
Lo studio delle aree a elevato rischio ambientale includeva l'area di Manfredonia, comprendente tre comuni, nella quale, utilizzando per il confronto la mortalità provinciale, non si osservavano incrementi rilevanti; si segnalavano, però, trend temporali in aumento rispetto ai dati provinciali e nazionali per tutti i tumori e per il tumore del polmone in uomini e donne.
Nell'area è localizzato un polo petrolchimico nel quale nel settembre 1976 l'esplosione della colonna di lavaggio dell'ammoniaca portò all'emissione di una nube tossica con la fuoriuscita di circa 10 tonnellate di arsenico che ricadde, sotto forma di polveri, nei pressi dello stabilimento e fino all'estrema periferia di Manfredonia. La distribuzione delle polveri non era correlata con la distanza dal luogo dell'incidente e i valori di arsenicuria nei circa 1700 soggetti professionalmente esposti non erano associati alla durata di esposizione, ma al luogo di residenza. Pertanto l'importanza relativa della contaminazione professionale e ambientale non è chiara, anche perché gli effetti occupazionali possono essere diluiti nella popolazione generale. Il punto sull'incidente è stato presentato a cinque e a trenta anni dall'avvenimento. La conduzione dello studio di coorte dei lavoratori presenti in stabilimento al momento dell'incidente che ha portato alla
fuoriuscita di arsenico potrebbe identificare un rischio occupazionale per il tumore del polmone per il quale la precedente indagine sulle aree a rischio aveva osservato un trend in aumento.
eccesso tra il 10 per cento e il 15 per cento nella mortalità generale e per tutti i tumori in entrambi i generi;
eccesso di circa il 30 per cento nella mortalità per tumore del polmone, per entrambi i generi;
eccesso, in entrambi i generi, dei decessi per tumore della pleura;
eccesso compreso tra il 50 per cento (uomini) e il 40 per cento (donne) di decessi per malattie respiratorie acute;
eccesso di circa il 15 per cento tra gli uomini e 40 per cento nelle donne della mortalità per malattie dell'apparato digerente, anche quando si tiene conto dell'ID;
incremento di circa il 5 per cento dei decessi per malattie del sistema circolatorio soprattutto tra gli uomini.
Molteplici studi di monitoraggio ambientale e campagne di misura delle emissioni industriali effettuati nell'area di Taranto hanno evidenziato un quadro di inquinamento ambientale diffuso, ma anche
il contributo rilevante del polo industriale cittadino, in particolare il complesso dell'acciaieria, ai livelli ambientali di inquinanti di interesse sanitario.
Per quanto riguarda i dati relativi a misure effettuate ai camini e a misure ambientali si vedano anche alcune relazioni e documenti dell'Arpa Puglia.
Risultati di campagne di monitoraggio, effettuate dalla Asl di Taranto dal marzo 2008 a oggi, hanno segnalato che in alcune aziende zootecniche presenti sul territorio del comune e della provincia di Taranto è presente una importante contaminazione della catena trofica da composti organoalogenati.
In particolare, fino a ottobre 2008, su un totale di quarantuno aziende localizzate entro 10 chilometri dal polo industriale sono stati raccolti centoventicinque campioni di matrici alimentari. In trentadue campioni (26 per cento) raccolti complessivamente in otto aziende (20 per cento) la concentrazione di diossine (pcdd e pcdf) e di pcb-diossina simili ha superato i limiti in vigore.
Uno studio caso-controllo sui casi incidenti a Taranto di tumore maligno del polmone, della pleura, della vescica e del sistema linfoemopoietico (periodo 2000-2002), in relazione alla distanza della residenza principale da diverse fonti emissive, sembra avvalorare l'ipotesi di un ruolo eziologico delle esposizioni ambientali a cancerogeni inalabili sulle neoplasie dell'apparato respiratorio. Lo studio evidenzia inoltre un trend del rischio di tumore polmonare e della pleura in funzione della distanza della residenza dalla maggior parte dei siti di emissione considerati (compresi l'acciaieria e i cantieri navali). Dopo «correzione per la storia lavorativa» viene comunque confermato un possibile contributo della esposizione residenziale, già suggerito dalla analisi di mortalità su tutta la popolazione.
La popolazione di Taranto, insieme a quella delle altre principali città italiane, è stata oggetto di diversi studi epidemiologici multicentrici e di impatto sanitario che hanno documentato il ruolo dell'inquinamento atmosferico sull'incremento di effetti a breve e a lungo termine, quali in particolare la mortalità e la morbosità per malattie cardiache e respiratorie nelle popolazioni residenti (adulti e bambini). Tra i principali studi si ricordano il progetto Misa (Metanalisi italiana degli studi sugli effetti a breve termine dell'inquinamento atmosferico) che nella seconda fase ha riguardato quindici città sul periodo 1996-2002; lo studio sull'impatto sanitario dell'inquinamento atmosferico in tredici città italiane per il periodo 2002 2004 e il più recente progetto Epiair. Quest'ultimo studio, che ha riguardato dieci città italiane sul periodo 2001-2005, documenta come a Taranto, a differenza di altre città, i coefficienti di correlazione tra PM10 e NO2, e il loro rapporto, individuino nelle emissioni industriali la fonte principale dell'inquinamento atmosferico. I risultati sulla mortalità evidenziano, nel complesso, un aumento di 0.69 per cento del rischio di mortalità totale per incrementi di 10 µg/m3 di PM10, effetto superiore a quello riscontrato nelle principali analisi pubblicate in Europa (0.33 per cento), nel nord America (0.29 per cento) e nei precedenti studi italiani (Misa, 0.31 per cento). Per quanto riguarda i ricoveri ospedalieri, i risultati principali sono coerenti in tutte le città.
A partire dal 1990 i territori comunali di Taranto, Crispiano, Massafra, Statte e Montemesola sono stati definiti «area ad elevato rischio ambientale» e successivamente inclusi tra i quattordici siti a interesse nazionale che richiedevano interventi di bonifica (decreto del Presidente della Repubblica n. 196 del 1998). L'area di Taranto, in quanto area a elevato rischio di crisi ambientale, è stata oggetto di due studi di mortalità residenziale. Il primo studio, sul periodo 1980-1987, evidenziò come il quadro di mortalità rilevato nel comune di Taranto suggerisse la presenza di fattori di inquinamento ambientale diffusi, in particolare amianto, e una rilevante esposizione della popolazione maschile ad agenti di rischio di origine occupazionale. Il secondo studio, sulla mortalità nei comuni dell'area sul periodo 1990-1994, ha evidenziato un quadro di mortalità caratterizzato da eccessi in numerose cause di morte sia tra gli uomini sia tra le donne, suggerendo un ruolo delle esposizioni ambientali. Le analisi di eterogeneità spaziale per comune hanno indicato, inoltre, che molti degli eccessi di rischio relativi all'intera area erano presenti anche nel solo comune di Taranto, confermando l'ipotesi di un rischio sanitario di origine industriale, e in particolare il possibile ruolo di numerosi inquinanti atmosferici, gassosi e particolato, quali fattori di rischio per la mortalità per cause respiratorie, cardiovascolari e polmonari. L'analisi temporale della mortalità sui periodi 1981-1984, 1985-1989 e 1990-1994, ha mostrato un gradiente di crescita per tutti i tumori e i tumori polmonari in entrambi i generi, e per il tumore della mammella e le malattie dell'apparato respiratorio tra le donne.
Lo studio di Vigotti e colleghi riporta un'analisi del profilo di mortalità per causa condotta sulla popolazione di Taranto e Statte per i periodi 1970-1974, 1981-1989 e 1990-1999 con i dati Istat, e per il 1998-2004 con i dati Asl. I risultati mostrano un chiaro andamento crescente, nel corso dei decenni esaminati, dei rischi di mortalità per alcune patologie.
Oltre a incrementi di rischio per cause di morte associate tipicamente a esposizioni di tipo occupazionale, si rileva un aumento di mortalità per patologie potenzialmente legate anche a probabili esposizioni residenziali, che in effetti sono in aumento anche tra le donne. Si sottolinea, infatti, che nella realtà tarantina le donne sono meno coinvolte in lavori con esposizioni altamente nocive rispetto agli uomini. Un confronto dei tassi di mortalità, standardizzati sulla popolazione europea, a Taranto e nella regione Puglia, ha mostrato, inoltre, nell'ultimo periodo analizzato, una mortalità più elevata tra gli uomini per tutti i tumori rispetto alle malattie cardiovascolari. Questo fenomeno, non osservato nella regione Puglia nel suo insieme, viene descritto dagli autori come tipico di altre realtà industriali italiane.
Un recente studio geografico ha analizzato l'incidenza di tumori nei ventinove comuni della provincia di Taranto sul periodo 1999-2001, relativamente alle sedi del polmone, pleura (mesotelioma), vescica (solo tumori maligni), encefalo e sistema linfoemopoietico (solo linfoma non-Hodgkin e leucemie).
Sono stati calcolati rapporti standardizzati di incidenza (SIR), stimando rischi di area e validandoli attraverso un'analisi spaziale bayesiana. I risultati, corretti per indice di deprivazione socioeconomica, confermano l'evidenza proveniente da precedenti studi di morta
lità
di un aumento di rischio nell'area di Taranto per i tumori del polmone, pleura e vescica tra gli uomini. Lo studio rileva anche eccessi significativi di linfomi non-Hodgkin tra gli uomini a Taranto e tra le donne a Pulsano, e un incremento di rischio di leucemie tra le donne a Statte. Gli autori, oltre a evidenziare un ruolo rilevante delle esposizioni professionali nell'area industriale, ipotizzano anche un'associazione dei rischi osservati con fattori ambientali quali gli inquinanti chimici di origine industriale, con particolare riferimento alle imponenti emissioni di diossine nell'ambiente a opera dell'impianto Ilva.
Un'analisi geografica della mortalità tumorale sul periodo 2000-2004 nelle cinque province pugliesi basata sui dati del registro regionale delle cause di morte nominative ha mostrato che la distribuzione del rischio di mortalità nella provincia di Taranto presenta un eccesso del 10 per cento per tutti i tumori nell'anello di territorio circostante l'area industriale, ove si registra anche il massimo livello di rischio per il tumore del polmone (24 per cento). Inoltre, nella stessa area è stato evidenziato un incremento della mortalità per nove (70 per cento) dei tredici tipi di tumore maligno considerati nell'analisi.
Nel SIN di Taranto non risultato essere stati pubblicati i risultati di studi epidemiologici analitici (caso-controllo, coorte) sullo stato di salute dei lavoratori in servizio presso le aziende operanti nel polo industriale.
Uno studio trasversale sull'esposizione professionale a idrocarburi policiclici aromatici (ipa) è stato effettuato su trecentocinquantacinque lavoratori (impiegati nelle operazioni di manutenzione e nelle ditte di pulizia) della cokeria delle acciaierie Ilva di Taranto. Lo studio ha evidenziato livelli urinari di 1-idrossipirene (1-ohp, biomarcatore della dose interna di ipa) significativamente più elevati nel gruppo di lavoratori addetti alla manutenzione, mentre nessuna differenza è stata osservata in relazione alle abitudini al fumo. Lo studio ha mostrato, altresì, che il 25 per cento dei lavoratori presentava livelli superiori al proposto valore guida limite di 2.3 µMol/Molcreat. Per quanto riguarda il potenziale contributo delle esposizioni lavorative nello spiegare il dato di mortalità, l'evidenza epidemiologica di associazione con l'occupazione è stata valutata sufficiente per il tumore del polmone, della pleura, per le malattie dell'apparato respiratorio, polmonari croniche e per l'asma (limitata per le malattie respiratorie acute).
L'evidenza epidemiologica disponibile suggerisce inoltre un ruolo della componente occupazionale per gli incrementi di rischio per il tumore del polmone in attività produttive presenti nel SIN, quali la raffinazione del petrolio.
I risultati delle analisi di Sentieri sul periodo 1995-2002 mostrano un quadro della mortalità per la popolazione residente nel sito di Taranto che testimonia la presenza di un ambiente di vita insalubre. Questo quadro è in linea con quanto emerso nei precedenti studi descrittivi sulla mortalità condotti nell'area, ma anche con dati di incidenza e morbosità.
Il sostanziale corpo di evidenza relativo alla dimostrazione di un ambiente sfavorevole è dovuto alla generale convergenza dei dati di monitoraggio ambientale e biologico, dei dati relativi al tipo e all'entità delle emissioni industriali e, parallelamente, alla disponibilità di
risultati di studi epidemiologici di tipo analitico, descrittivo geografico, e di indagini epidemiologiche multicentriche e di valutazione di impatto sanitario.
Gli incrementi di rischio osservati sono riferibili a esposizioni professionali a sostanze chimiche utilizzate e/o emesse nei processi produttivi presenti nell'area. Il fatto che gli stessi inquinanti siano riscontrati anche nell'ambiente di vita, a concentrazioni spesso rilevanti, depone anche a favore di una componente ambientale non trascurabile. Questo ultimo dato sembra essere avvalorato dalla distribuzione degli eccessi di rischio in entrambi i generi e anche tra i sottogruppi di popolazione in età pre-lavorativa (nelle classi inferiori a un anno e a quattordici anni).
Inoltre, per alcune cause di morte si osservano incrementi di rischio, evidenziati anche in alcuni precedenti studi effettuati nell'area, solo tra le donne, come per esempio per i tumori del sistema nervoso centrale, per i linfomi non-Hodgkin, per il tumore del pancreas, della mammella, dell'utero, del fegato, delle demenze nel complesso e in particolare del morbo di Parkinson.
Complessivamente, il profilo di mortalità della popolazione residente nell'area di Taranto mostra un andamento temporale e una distribuzione geografica che sono in linea con la cronologia e la distribuzione spaziale dei processi produttivi ed emissivi che caratterizzano l'area industriale di questo SIN da molti decenni. Tra i suggerimenti di attività future da intraprendere alla luce dei risultati di Sentieri, si segnala l'esigenza di avviare programmi di sorveglianza sanitaria ed epidemiologica, quali quello suggerito da Epiair per gli effetti dell'inquinamento atmosferico, basati anche sul monitoraggio biologico umano.
Specifici studi epidemiologici di tipo analitico, informativi per l'area in studio, sono rappresentati da studi di coorte/caso controllo residenziali di nuova generazione, che utilizzino modelli predittivi per stimare il contributo delle emissioni industriali sull'esposizione personale a inquinanti ambientali.
Sarebbe inoltre opportuno condurre studi di coorte o caso controllo, anche per i lavoratori impiegati nelle diverse realtà produttive del polo industriale di Taranto.
è apprezzabile lo sforzo conoscitivo operato dalla regione Puglia nella costruzione ed aggiornamento dell'anagrafe dei siti contaminati che, seppure con alcune criticità, peraltro comuni alle elaborazioni effettuate da altre regioni, consente di definire un quadro della distribuzione geografica e della tipologia dei siti potenzialmente contaminati e contaminanti. Tuttavia il piano stralcio delle bonifiche, pubblicato sul bollettino ufficiale della regione Puglia n. 124 del 9 agosto 2011, non riporta né una definizione degli interventi prioritari né un quadro chiaro dei meccanismi di finanziamento degli stessi, almeno per la parte di competenza pubblica. Pertanto, a fronte di un approccio mirato alla pianificazione, si rileva un forte ritardo nell'attuazione degli interventi, con l'unica eccezione delle attività di bonifica delle discariche pubbliche del SIN di Manfredonia che hanno avuto la loro spinta propulsiva nella procedura di infrazione da parte della Commissione europea, dopo uno stallo di tredici anni;
come in altre regioni, anche in Puglia la gestione commissariale in tema di rifiuti e bonifiche ha prodotto, in generale, scarsi risultati, dal momento che il primo censimento dei siti contaminati della regione Puglia è stato pubblicato nel 1994 dall'Enea e quindi da allora si aveva contezza dello stato di degrado ambientale del territorio. In particolare in Puglia, attraverso la costituzione della banca-dati tossicologica e l'elaborazione di vari studi di carattere sanitario ed epidemiologico, sono note da tempo anche le conseguenze sulla salute di tale stato di degrado ambientale;
in riferimento alla bonifica dei siti di interesse nazionale, si valutano positivamente l'approccio delineato dall'accordo di programma sottoscritto nel 2007 per il SIN di Brindisi e l'attuazione degli interventi di competenza pubblica nel SIN di Manfredonia. Si osserva tuttavia un forte ritardo nelle operazioni di risanamento delle aree incluse nel SIN di Taranto e in generale delle aree perimetrate a mare che rappresentano una risorsa economica e
sociale particolarmente rilevante per la Puglia. L'analisi della tipologia di illeciti accertati dalle autorità giudiziarie, di cui si è trattato in altre parti della relazione, porta a formulare le seguenti considerazioni:
la Puglia, in virtù della vocazione prevalentemente agricola della sua economia, subisce i maggiori impatti ambientali a seguito degli illeciti connessi all'abbandono e allo sversamento illegale di rifiuti nelle aree agricole, già martoriate dalle emissioni industriali dei principali insediamenti attivi (Brindisi e Taranto). La contaminazione delle aree agricole è forse la più insidiosa in termini di potenziali rischi per la salute umana in quanto i contaminanti dal terreno passano nella catena alimentare attraverso i prodotti agricoli di consumo. La normativa vigente in tema di bonifiche, così come la previgente normativa, specificamente il decreto ministeriale n. 471 del 1999, prevede all'articolo 241 che «il regolamento relativo agli interventi di bonifica, ripristino ambientale e di messa in sicurezza, d'emergenza, operativa e permanente, delle aree destinate alla produzione agricola e all'allevamento è adottato con decreto del ministro dell'ambiente e della tutela del territorio di concerto con i ministri delle attività produttive, della salute e delle politiche agricole e forestali». Ad oggi tale regolamento non è stato ancora emanato e le situazioni di contaminazione di aree agricole vengono gestite «caso per caso», rendendo di fatto inefficaci le richieste di intervento dal momento che, in assenza di un quadro normativo, la legittimità delle richieste è lasciata alla valutazione dei tribunali amministrativi regionali ai quali i soggetti responsabili delle attività di bonifica sempre più frequentemente presentano i loro ricorsi contro le decisioni della pubblica amministrazione.
In riferimento agli studi sanitari ed epidemiologici condotti per le aree di Bari-Fibronit, Brindisi, Taranto e Manfredonia, appare accertata la correlazione tra attività industriali ed incremento della morbilità e mortalità per i SIN di Brindisi e Taranto, quest'ultimo definito nello studio Sentieri «area insalubre», così come la correlazione tra malattie polmonari e presenza di amianto (sito di Bari Fibronit). È quindi evidente come, anche dal punto di vista sanitario, misure urgenti debbano essere intraprese per la bonifica delle aree.
Si tratta infatti di argomenti che meritano una trattazione specifica, in quanto il reato di cui all'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (traffico illecito organizzato di rifiuti) ha una evidente vocazione transnazionale e la regione Puglia, sia per la collocazione geografica che per le caratteristiche geomorfolofiche, nonché per la presenza di numerosi e importanti porti, particolarmente si presta a tali tipologie di traffici.
da un lato, quella di poter disporre degli strumenti investigativi più pregnanti e incisivi che possono essere messi in atto dalle dda;
dall'altro, le maggiori possibilità di un coordinamento investigativo tra le varie procure distrettuali da parte della direzione nazionale antimafia.
Sin d'ora può affermarsi che, mentre nel caso dei traffici transregionali la Puglia ha rappresentato il punto di confluenza dei rifiuti, nel caso dei traffici transnazionali la Puglia ha rappresentato un luogo di transito.
Nella prima parte verrà trattato il tema dei rapporti fra la Puglia e la Campania in relazione alla cronica situazione di emergenza rifiuti in cui versa la Campania, e in particolare la provincia di Napoli.
La regione Puglia infatti, nei periodi di maggiore emergenza, ha in diverse occasioni ricevuto i rifiuti di Napoli e provincia, al fine di contribuire alla cessazione dello stato di crisi ed allo svuotamento degli Stir campani, la cui saturazione ha in diverse occasioni determinato le situazioni di più acuta emergenza e l'impossibilità finanche di prelevare i rifiuti dalle strade.
E però, come si avrà modo di esplicitare nel prosieguo della relazione, le modalità attraverso cui sono stati stipulati i contratti per l'affidamento del servizio e per l'individuazione dei contraenti (sia con riferimento ai trasportatori che con riferimento ai siti di destinazione) sono state condizionate dalla situazione di emergenza e, quindi, non sono state tali da garantire il rispetto dei principi di trasparenza nell'affidamento di appalti pubblici.
La ragione giustificatrice va evidentemente ricercata nella situazione di indifferibilità ed urgenza che ha rappresentato il presupposto
per il ricorso a procedure di affidamento «semplificate», ma si tratta di modalità che rappresentano un evidente rischio in termini di trasparenza, soprattutto con riferimento alle possibili infiltrazioni della criminalità organizzata che trae le proprie aspettative proprio dalle situazioni di emergenza nelle quali sono ammesse talune deroghe rispetto alle procedure ordinarie di affidamento dei servizi.
Sono seguiti una serie di provvedimenti, sia governativi che giudiziari, che è opportuno richiamare per punti, in modo da disporre di un quadro chiaro e sintetico della situazione normativa sul punto:
la sentenza del Tar Lazio n. 4915 del 31 maggio 2011 ha disposto la cessazione dei conferimenti dei rifuti contrassegnati dal codice CER 19.12.12., provenienti dagli Stir della regione Campania, presso l'impianto Italcave di Taranto, in considerazione del fatto che tali rifiuti sono da classificare come «rifiuti urbani» e, come tali, sono sottratti al principio di libera circolazione ex articolo 182, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006 (51);
il Consiglio di Stato, con l'ordinanza n. 3073 del 18 luglio 2011, ha sospeso l'esecutività della sentenza di primo grado, ritenendo quantomeno «da riconsiderare» l'interpretazione fornita dal Tar relativamente alla caratterizzazione dei rifiuti contrassegnati dal codice CER 19.12.12. I giudici di secondo grado hanno infatti privilegiato l'impostazione in base a cui i rifiuti tritovagliati negli Stir campani, che sono stati smaltiti fuori regione, sono da qualificarsi «rifiuti speciali non pericolosi», per i quali vige il principio di libera circolazione e la possibilità di trasferirli e smaltirli fuori dalla regione di produzione, sulla base di soli accordi commerciali tra le imprese interessate;
il decreto-legge 1o luglio 2011, n. 94 (Gazzetta ufficiale n. 151 del 1 luglio 2011) «Disposizioni urgenti in tema di rifiuti solidi urbani prodotti nella regione Campania», ha consentito, in considerazione dello stato di criticità derivante dalla non autosufficienza del sistema di gestione dei rifiuti urbani non pericolosi, lo smaltimento fuori regione, fino al 31 dicembre 2011, dei rifiuti prodotti dall'attività di tritovagliatura negli impianti della regione Campania.
La Lega nord ha posto il suo veto sul decreto, pretendendo che nel decreto restasse, almeno, la norma in base alla quale i rifiuti della Campania potranno essere accolti solo dopo «nulla osta» della regione di destinazione. La necessità dell'atto di assenso regionale è stata dunque mantenuta, pur eliminando la necessità di un intesa in sede di conferenza Stato-regioni.
Il comma 3 dell'articolo 1 prescriveva che, in attuazione del principio comunitario della prossimità per lo smaltimento dei rifiuti, i trasferimenti extraregionali consentiti dal comma 1 avessero come destinazione prioritaria gli impianti ubicati nelle regioni limitrofe alla Campania.
Dal 31 agosto 2011, tuttavia, le previsioni del decreto-legge hanno perso efficacia ex tunc, in quanto il Parlamento non ha provveduto alla sua conversione in legge entro i sessanta giorni successivi alla sua approvazione.
Si è ora in attesa della decisione definitiva del supremo organo della magistratura amministrativa, dopo che, lo scorso 6 dicembre 2011, si è svolta l'udienza di discussione del ricorso presso il Consiglio di Stato.
L'udienza pubblica di discussione è fissata per il 26 giugno 2012.
Nel contempo il decreto-legge 25 gennaio 2012, n. 2, recante misure straordinarie e urgenti in materia ambientale, aveva inizialmente previsto la possibilità, fino al 31 dicembre 2012, di avviare i rifiuti trattati negli impianti Stir della Campania presso impianti idonei ubicati nel territorio nazionale a prescindere «dall'osservanza dei passaggi procedimentali» contenuti nel decreto-legge n. 196 del 2010, che imponeva al governo di promuovere, nell'ambito della conferenza Stato-regioni, un accordo interregionale volto allo smaltimento dei rifiuti campani anche in altre regioni.
Tuttavia, la Commissione ambiente della Camera dei deputati ha approvato un emendamento recante il ripristino dell'obbligo di un previo accordo interregionale al fine di trasferire i rifiuti tritovagliati fuori dalla regione Campania.
La legge di conversione del suddetto decreto, legge 24 marzo 2012, n. 28 (Gazzetta ufficiale n. 71 del 24 marzo 2012), mantiene dunque la previsione per cui i rifiuti tritovagliati provenienti dagli Stir campani possono essere smaltiti fuori regione «in conformità al principio di leale collaborazione, mediante intesa tra la regione Campania e la singola regione interessata».
Durante l'audizione i rappresentanti della società provinciale hanno prodotto una serie di documenti, tra cui i contratti stipulati per lo smaltimento di rifiuti tritovagliati e biostabilizzati (codice CER 19.12.12 e codice CER 19.05.01) dalla SAPNA nel periodo ricompreso tra il mese di dicembre 2010 e il mese di novembre 2011. È stato inoltre prodotto l'avviso pubblico di manifestazione d'interesse del 1o settembre 2011 emesso da Sapna, nonché la relazione tecnica del 18 agosto 2011.
Lo studio della documentazione è stato effettuato raggruppando i contratti in ragione del luogo di destinazione dei rifiuti e la finalità è quella di verificare la correttezza delle procedure per l'affidamento del servizio, gli importi corrisposti dalla Sapna e i siti di destinazione.
La Sapna riceve i rifiuti dai novantadue comuni della provincia di Napoli e li convoglia negli impianti Stir. Il presidente della Commissione ha chiesto se la società venga regolarmente pagata dai comuni per il servizio rifiuti; sul punto, il dottor Roveda ha rappresentato alcune difficoltà derivanti dal fatto che non vi è stata corrispondenza tra i quantitativi di conferimento previsti e quelli effettivamente realizzati. In particolare: «in questo momento, la provincia ha stipulato un accordo con Sapna, per cui, sulla base delle previsioni di conferimento di rifiuti e della relativa tariffa, ci viene pagato il compenso per il nostro lavoro. In pratica, compriamo strettamente i costi della gestione dei rifiuti, dallo smaltimento, al trasporto e così via. Siamo in pareggio di bilancio, insomma. (...) In realtà, il disciplinare che è stato sottoscritto con la provincia di Napoli prevedeva certi quantitativi di conferimento di rifiuti e, quindi, anche una certa struttura dei costi. Successivamente, il conferimento dei rifiuti è diminuito rispetto ai quantitativi preventivati e questo ha determinato che, siccome la tariffa era stata appunto determinata sulla base di quei quantitativi, il ricavo si è ridotto, causandoci problemi in questo senso. In più, il mancato trasferimento della frazione secca al termovalorizzatore di Acerra ha
comportato - come dicevo - ulteriori spese per 5,5 milioni di euro. Pertanto, in questo momento abbiamo delle difficoltà e bisognerà ritoccare le cifre».
la frazione secca viene smaltita fino alla possibilità di conferimento nel termovalorizzatore di Acerra, oppure presso altri impianti, tra i quali il termovalorizzatore di Trieste;
la frazione umida viene inviata presso i siti di discarica fuori regione.
In merito alle procedure seguite per l'individuazione delle imprese contraenti, il dottor Roveda ha precisato che sono state messe in atto le procedure di urgenza per le gravissime criticità registrate nel periodo di riferimento. È stata però di recente bandita una gara pubblica su scala europea per i trasporti su gomma.
La Commissione, nell'esaminare i contratti, ha notato come più volte i trasporti siano affidati ad imprese con sedi distanti dal luogo di prelievo e destinazione dei rifiuti, ovvero siano affidati ad imprese da individuarsi ad opera della parte contraente e, solo successivamente, comunicate alla committente.
Si tratta di un argomento particolarmente sensibile, in quanto il settore dei trasporti risulta essere uno di quelli maggiormente condizionati dalla criminalità organizzata.
Altro argomento affrontato è quello relativo all'individuazione di ulteriori siti in ambito provinciale per lo smaltimento dei rifiuti in ossequio al principio comunitario della «prossimità».
Permane il problema legato alle resistenze locali, sicché i siti non stati ancora individuati dagli organi competenti.
Ciò che emerge nettamente sia dalle dichiarazioni rese dai rappresentanti della Sapna e sia dalla documentazione prodotta è che, ad oggi, le soluzioni al problema dei rifiuti non sono state trovate né risulta che siano state programmate e utilmente avviate attività di pianificazione di medio o lungo periodo. I contratti che di seguito verranno esaminati (ma la Commissione ha richiesto anche la trasmissione degli ulteriori contratti nel frattempo stipulati) rappresentano esattamente il quadro della situazione, costituendo ciascuno di essi una soluzione temporanea e parziale allo smaltimento, e tuttavia si tratta di contratti che sono stati stipulati dalla fine dell'anno 2010 fino a tutto l'anno 2011.
Le soluzioni «temporanee» si sono protratte per oltre un anno.
È importante esaminare i contratti della Sapna che hanno spiegato i loro effetti all'interno della regione Puglia.
Par. 2) Contratto n.00-034-2011, stipulato in data 01/02/2011 tra la Sapna e il consorzio CITE con sede in Salerno;
Par. 3) Contratto n. 591/2011 stipulato in data 07/09/2011 tra la Sapna e il consorzio CITE, definito «Appendice n. 1 al contratto 034/2011»;
Par. 4) Contratto n. 808/2011 stipulato in data 15 novembre 2011 tra la Sapna e il consorzio CITE, definito «Appendice n. 2 al contratto n. 034/2011».
I rapporti tra la regione Campania e la regione Puglia sono oggetto di particolare attenzione da parte della Commissione, in quanto le caratteristiche territoriali e geografiche della regione Puglia la rendono particolarmente esposta alle infiltrazioni della criminalità organizzata campana e delle regioni vicine rispetto al traffico illecito di rifiuti.
Numerose indagini svolte in diverse procure della Repubblica hanno dimostrato come la Puglia, in qualche modo, rappresenti oggi uno dei siti di destinazione privilegiati dei rifiuti prodotti nelle varie regioni d'Italia ed oggetto di traffici illeciti.
Sono stati quindi acquisiti ed esaminati i contratti stipulati tra la società SAPNA Spa e le società che hanno conferito i rifiuti in discariche pugliesi.
L'attenzione è determinata anche dal fatto che i contraenti sono stati individuati attraverso il ricorso alla procedura d'urgenza prevista dall'articolo 57, comma 2, lettera b) del decreto legislativo n. 163 del 2006 in considerazione della particolare fase di criticità nella gestione e smaltimento dei rifiuti (così come peraltro accaduto anche riguardo agli altri contraenti).
Uno dei contratti di trasporto e smaltimento è stato stipulato dalla Sapna con l'Ati costituita dalle società siciliane D'Angelo Vincenzo Srl e Profineco Spa che si sono quindi occupate del trasporto e dello smaltimento di 10.000 tonnellate di rifiuti provenienti dagli stir della provincia di Napoli.
Con riferimento al predetto contratto del 20 maggio 2011 si impongono alcune considerazioni:
per effettuare il prelievo, il trasporto e lo smaltimento di rifiuti campani presso la discarica Italcave è stata scelta un'impresa siciliana;
dal prospetto riepilogativo risulta che sono state smaltite presso la discarica Italcave di Taranto 10.000 tonnellate di rifiuti cod. 19.12.12. al prezzo di 160 euro a tonnellata onnicomprensivo, fisso e invariabile, senza specificazione delle voci di dettaglio;
nel contratto è riconosciuta all'impresa la facoltà di individuare, previa comunicazione al committente, ulteriori siti di trattamento e smaltimento dei rifiuti autorizzati in territorio nazionale e/o comunitario. Non è chiaro se questa facoltà sia stata esercitata ed in che termini;
nella parte del contratto relativa alle modalità di svolgimento del servizio, viene precisato che il trasporto avverrà con mezzi propri dell'Ati e/o, per conto dell'impresa stessa, da altre ditte di trasportatori muniti di tutti i requisiti di legge (i cui dati dovranno essere comunicati alla committente). Non è chiaro se siano state indicate ulteriori ditte di trasporto dall'impresa contraente. Se così fosse quali criteri sono stati adottati? Come sono state computate le spese di trasporto e come sono stati pagati i trasportatori?;
i pagamenti vengono effettuati su conto intestato all'impresa; l'operatore abilitato dall'Ati ad operare suo conto è D'Angelo Vincenzo;
D'Angelo Vincenzo di recente è stato attinto da una misura cautelare in carcere nell'ambito dell'indagine cosiddetta «Gold Plastic», procedimento n. 3039/2011 R.G.N.R. procura della Repubblica presso il tribunale di Lecce. In particolare, nei suoi confronti è stato contestato il reato di traffico illecito di rifiuti ex articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006 per avere, in concorso con altri, e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, ceduto ed esportato, attraverso il porto di Palermo ed a mezzo di un container, complessivi 39.860 chilogrammi di rifiuti speciali costituiti da gomma e pneumatici fuori uso inviati in Corea ad operazioni di recupero energetico R1 presso un cementificio coreano, in violazione degli articoli 2, punto 35, lettera e), nonché 38, comma 6, del regolamento CE n. 1013/2006 in materia di spedizioni transfrontaliere di rifiuti destinati al recupero. Il tutto attraverso la falsa indicazione, nella documentazione doganale e di trasporto, di un fittizio impianto di recupero denominato Jwasan (Corea del Sud) per un illecito giro d'affari di euro di cui euro 1.514,68 costituente ingiusto profitto derivante dal mancato accollo dei costi dovuti ordinariamente per il recupero dei rifiuti presso siti italiani all'uopo autorizzati;
sono stati inoltre contestati i connessi reati di falso in atto pubblico;
si tratta dell'unico contratto di trasporto e smaltimento, tra quelli prodotti dalla Sapna, stipulato con l'Ati Profineco-D'Angelo in relazione allo smaltimento di rifiuti in Puglia (negli altri casi la Sapna si è avvalsa del consorzio Cite);
una parte dei rifiuti viene smaltita presso la discarica Italcave di Taranto, mentre altra parte destinata al recupero viene smaltita in provincia di Avellino.
Nel contratto n. 808 (stipulato con affidamento diretto) è previsto inoltre che il consorzio Cite possa essere incaricato di prelevare i rifiuti presso i siti di stoccaggio provvisori autorizzati con ordinanze contingibili ed urgenti del presidente della provincia di Napoli e del sindaco di Napoli.
Appare opportuno esaminare i singoli contratti acquisiti in copia in modo da potere poi elaborare una valutazione di sintesi degli stessi. Per ciascun contratto vengono indicate:
le parti contraenti;
il procedimento seguito;
l'oggetto del contratto;
le modalità di esecuzione;
corrispettivo;
possibilità di subappalto
(smaltimento e trasporto di 10.000 tonnellate di rifiuti)
Stipulato tra la Sapna e la società D'Angelo Vincenzo Srl, con sede in Alcamo (Trapani), mandataria dell'Ati costituita dalla D'Angelo Vincenzo Srl e la Profineco Spa, con sede in Palermo. Destinazione Italcave, discarica sita in provincia di Taranto.
Si tratta di un contratto avente ad oggetto il trasporto e lo smaltimento di 10.000 tonnellate di rifiuti, destinati, per la parte recuperabile, presso la piattaforma di lavorazione e separazione a recupero «Dentice Pantaleone» e, successivamente, per la frazione non recuperabile, alla discarica autorizzata Italcave sita in Taranto.
si è attivata la procedura d'urgenza, ai sensi dell'articolo, 57, comma 2, lettera b), del decreto legislativo n. 163 del 2006 in considerazione dell'attuale fase di criticità della gestione e dello smaltimento dei rifiuti nella provincia di Napoli «e, in particolare, dell'urgenza di smaltire la frazione secca tritovagliata prodotta dagli impianti STIR di Giugliano e Tufino non smaltibile presso l'impianto di termovalorizzazione di Acerra in quanto risultante eccedente le quantità ordinarie a causa della ridotta funzionalità da tre a due linee di combustione del predetto impianto».
La scelta dell'Ati suindicata quale contraente è stata effettuata a seguito di un avviso pubblico di manifestazione di interesse emesso dalla Sapna il 17 novembre 2010, per procedere all'individuazione di «Operatori economici disponibili a fornire di solo trasporto, trasporto e conferimento, trattamento e/o recupero e/o smaltimento in ambito nazionale di frazione umida stoccata presso gli impianti Stir di Giugliano e Tufino».
Il rapporto si è svolto secondo le modalità di seguito indicate, sulla base del richiamo del comma 2 dell'articolo 11 del dpr 3 giugno 1998, n. 252 (che consente alle amministrazioni, in casi di urgenza, di procedere anche in assenza delle informazioni del prefetto, salvo la successiva eventuale risoluzione del contratto in caso di informative di segno negativo):
«in fase di trattativa le parti sottoscrivevano la lettera d'intenti prot. SAPNA/2011/759 del 22 aprile 2011 per il conferimento presso la ditta «Dentice Pantaleone» impianto di Montefredane (Avellino), Via Nazionale n. 124 di rifiuto identificato come frazione secca tritovagliata CER 19.12.12 proveniente dagli impianti Stir di Tufino e Giugliano, per il trattamento a recupero e successivo smaltimento della parte non recuperabile presso la discarica Italcave di Taranto per quantità iniziali di circa 1.500 tonnellate, con riserva di sottoscrizione di formale atto negoziale;
il committente, non avendo a disposizione tempi tecnici adeguati per l'espletamento di apposita procedura concorsuale destinata ad individuare un nuovo soggetto cui affidare il servizio oggetto del citato contratto di appalto ha chiesto all'Ati la disponibilità della medesima a prorogarne la durata fino all'esaurimento delle quantità incrementali previste, ricevendone piena conferma;
successivamente con prot. SAPNA/2011/841 del 6 maggio 2011, viste le ulteriori inderogabili necessità, le parti sottoscrivevano una integrazione alla precedente lettera d'intenti per il conferimento di ulteriori 2.000 tonnellate;
le parti hanno raggiunto intese di reciproca soddisfazione;
il comma 2 dell'articolo 11 del dpr 3 giugno 1998, n. 252, stabilisce, nei casi di urgenza, che le amministrazioni, anche immediatamente dopo la richiesta procedano anche in assenza delle informazioni del prefetto, salvo condizione risolutiva dell'atto negoziale».
esecuzione del servizio di prelievo, trasporto, conferimento, recupero della parte recuperabile e smaltimento della parte non recuperabile di circa 10.000 tonnellate di rifiuto codice CER 19.12.12.
a) il carico dei rifiuti presso gli impianti Stir sui mezzi di trasporto messi a disposizione dall'impresa avverrà ad onere e spese della committente;
b) la frequenza di carico e/o smaltimento sarà definita di volta in volta dal committente secondo propria programmazione e non dovrà essere inferiore alle 300 ton/giorno e sarà effettuata a mezzo di trasporto su gomma per il tramite di mezzi propri dell'Ati e/o, per conto dell'impresa stessa, da altre ditte di trasportatori muniti di tutti i requisiti di legge, ed i cui dati saranno preventivamente comunicati alla committente a partire dall'impianto Stir di produzione fino alla
piattaforma di lavorazione e separazione a recupero «Dentice Pantaleone» ubicata in Montefredane (Avellino) in Via Nazionale, 124 e successivamente, per la frazione non recuperabile, alla discarica autorizzata Italcave sita in Taranto;
d) resta salva la facoltà per l'impresa, previa comunicazione alla committente, di individuare altri siti di trattamento e smaltimento del rifiuto autorizzati in territorio nazionale e/o comunitario.
fino all'esaurimento della quantità complessiva di 10.000 tonnellate
160 euro a tonnellata, per un totale di 1.600.000 euro
Del contratto fanno parte integrante due lettere d'intenti ( lettera d'intenti prot. SAPNA/2011/759 del 22 maggio 2011; lettera d'intenti prot. SAPNA/2011/841 del 6 maggio 2011), ma non sono state trasmesse alla Commissione né sono state allegate al contratto.
Dal prospetto riepilogativo risulta che sono state smaltite presso la discarica Italcave di Taranto 10.000 tonnellate di rifiuti cod. 19.12.12. al prezzo di 160 euro a tonnellata onnicomprensivo, fisso e invariabile, senza specificazione di voci di dettaglio.
Si rileva come la società con cui è stato stipulato il contratto operi in Sicilia, mentre i siti di destinazione dei rifiuti sono individuati in Campania e Puglia. Non si comprende la ragione della scelta della predetta impresa per l'esecuzione del servizio.
Nulla è specificato con riferimento al subappalto.
(trasporto e conferimento di 25.000 tonnellate di rifiuti).
si è attivata la procedura d'urgenza. Il contratto è stato stipulato in attesa delle comunicazioni prefettizie in materia di informativa antimafia.
Quanto agli accordi tra la regione Puglia e la regione Campania, vi è un protocollo d'intesa ratificato con delibera della Giunta 898 del 14 dicembre 2010.
La committente, con manifestazione d'interesse a pubblica evidenza del 17 novembre 2010 ha proceduto all'individuazione di operatori economici disponibili a fornire il predetto servizio.
Il consorzio, in possesso di tutti i requisiti, ha manifestato il suo interesse ed ha dichiarato di voler svolgere il servizio per il tramite dei consorziati:
a) Ve.Ca. Sud Autotrasporti Srl - Via Libertà, 354 - Cap 81024 - Maddaloni (Ce);
b) Vernieri Ilario Ditta Individuale - Via Valle, 32 - Cap 84080 - Pellezzano (Sa);
c) Europetroli Srl - Via Esperia (già Via Verga), 8 - Cap 84090 - Battipaglia (Sa);
d) Di Palma Giosuè Ditta Individuale - Via Convento, 46 - Cap 84029 - Sicignano Degli Alburni (Sa);
e) Parente Trasporti di Parente Claudio & C. s.a.s. - Vico Benevento, 1 - Cap 81030 - Casapesenna (Ce);
f) Ecoservice di Petruzzo Michele Angelo & C. s.a.s. - Via Petacchi, 1 - Cap 54033 - c/o Studio Lucchini Boccadifuoco (Ms);
trasporto e conferimento e trattamento e/o recupero e smaltimento di frazione umida tritovagliata di rifiuti codice CER 19.12.12.
a) il carico dei rifiuti presso gli impianti STIR sui mezzi di trasporto messi a disposizione dall'impresa avverrà ad onere e spese della committente;
b) la frequenza di smaltimento sarà almeno di 250 ton/giorno e sarà effettuata a mezzo di trasporto su gomma per il tramite di mezzi propri dell'Ati e/o, per conto dell'impresa stessa, da altre ditte di trasportatori muniti di tutti i requisiti di legge, ed i cui dati saranno preventivamente comunicati alla committente;
c) lo smaltimento verrà effettuato dall'impresa secondo piani di smaltimento predisposti in coordinamento con la committente ogni settimana per la settimana successiva e nei quali la committente indicherà gli impianti STIR dove l'impresa dovrà effettuare il prelievo;
d) in considerazione dell'offerta del consorzio il rifiuto sarà smaltito presso la discarica Italcave autorizzata dalla regione Puglia; resta salva la facoltà per l'impresa, previa comunicazione alla committente, di individuare altri siti di trattamento e smaltimento del rifiuto autorizzati in territorio nazionale e/o comunitario;
e) il servizio dovrà essere effettuato dall'impresa tutti i giorni della settimana esclusa la domenica.
La durata del contratto non è fissata con riferimento ad una data, ma con riferimento all'esaurimento della quantità di rifiuti da smaltire.
(smaltimento di 5.000 tonnellate di rifiuti codice CER 19.12.12. e 1.000 tonnellate di rifiuti codice CER 19.05.01).
Procedimento seguito:
Procedura d'urgenza. Si dà atto nelle premesse al contratto che:
la procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara avviene ai sensi dell'articolo 57, comma 2, lettera b), decreto legislativo n. 163 del 2006, facendosi riferimento alla fase di «criticità della gestione e dello smaltimento di rifiuti che sta vivendo la provincia di Napoli e, in particolare, dell'urgenza di smaltire la frazione umida tritovagliata già stoccata presso gli impianti Stir esistenti nella provincia di Napoli»;
a seguito degli esiti della manifestazione d'interesse del 6 maggio 2011 tra il committente e il consorzio sono corse le lettere commerciali, prot. SAPNA/2011/1434 del 1o settembre 2011 per il trasporto e smaltimento presso la discarica Italcave Spa di Taranto per 50.000 tonnellate, non vincolanti per la committenza, di frazione umida tritovagliata avente codice CER 19.12.12, proveniente dagli impianti Stir di Tufino e Giugliano e prot. SAPNA/2011/1451 per il trasporto e smaltimento presso la discarica Italcave Spa di Taranto per 10.000 tonnellate, non vincolanti per la committenza, di frazione umida tritovagliata biostabilizzata avente codice CER 19.05.01 proveniente dall'impianto STIR di Tufino;
in data 1o febbraio 2011 il committente sottoscriveva con il consorzio il contratto n. 00-034-2011 per l'esecuzione del servizio di trasporto, conferimento, trattamento e/o recupero, smaltimento in ambito nazionale, di frazione umida tritovagliata codice CER 19.12.12 proveniente dagli impianti Stir di Giugliano e Tufino ubicati nella provincia di Napoli» di importo complessivo presunto di euro 3.700.000;
il predetto contratto, all'articolo 3-«Durata del contratto», fissava la durata del rapporto contrattuale fino all'esaurimento delle complessive 25.000 tonnellate contrattuali, fatta salva la facoltà del committente di rinnovare il servizio secondo necessità previa accettazione del consorzio medesimo;
il consorzio, su invito del committente a rinegoziare al ribasso il prezzo offerto con la manifestazione d'interesse del 6 maggio 2011, con nota n. 034 del 1o settembre 2011 ha indicato il prezzo di euro 148/tonnellata per il trasporto e lo smaltimento della frazione umida
tritovagliata CER 19.12.12, e di euro 154/tonnellata per il trasporto e lo smaltimento della frazione umida tritovagliata biotrattata CER 19.05.01.
trasporto e smaltimento presso la discarica Italcave Spa, sita in Statte, di 5.000 ton di rifiuti codice CER 19.12.12;
1.000 ton di rifiuti codice CER 19.05.01.
Importo complessivo: 894.000 euro;
148 euro a ton per il cod. CER 19.12.12;
154 euro a ton per il cod. CER 19.05.01.
fino all'esaurimento delle quantità commissionate.
Ammesso il subappalto, ai sensi dell'articolo 118 del decreto legislativo n. 163 del 2006 (cosiddetto codice dei contratti).
(trasporto e smaltimento di 5.000 tonnellate di rifiuti codice CER 19.12.12).
Procedura d'urgenza. Si dà atto nelle premesse al contratto che permangono le condizioni di estrema urgenza, non compatibili con i termini imposti per l'espletamento di una procedura concorsuale. In particolare:
la procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara avviene ai sensi dell'articolo 57, comma 2, lettera b), decreto legislativo n. 163 del 2006, facendosi riferimento alla fase di «criticità della gestione e dello smaltimento di rifiuti che sta vivendo la provincia di Napoli e, in particolare, dell'urgenza di smaltire la frazione umida tritovagliata già stoccata presso gli impianti Stir esistenti nella provincia di Napoli»;
si fa inoltre riferimento alla ridotta capacità ricettiva del termovalorizzatore di Acerra ed alla soppressione di alcune cave, tra cui la Cava Vitiello, sita nel comune di Terzigno, per effetto della legge 24 gennaio 2011, n. 1;
per far fronte a tale situazione di emergenza, tanto il presidente della provincia di Napoli, quanto il presidente della regione Campania, considerata la situazione di grave criticità nel settore, hanno fatto ricorso al potere di ordinanza, extra ordinem, stante l'urgenza e l'opportunità di procedere con interventi straordinari.
in data 1o febbraio 2011 il committente sottoscriveva con il consorzio il contratto n. 00-034-2011 per l'esecuzione del servizio di trasporto, conferimento, trattamento e/o recupero, smaltimento in ambito nazionale, di frazione umida tritovagliata codice CER 19.12.12 proveniente dagli impianti Stir di Giugliano e Tufino ubicati nella provincia di Napoli di importo complessivo presunto di euro 3.700.000;
esauritosi il predetto contratto, il committente stipulava con il consorzio l'«Appendice n. 01 al contratto 00-034- 2011» per ulteriori 5.000 tonnellate di rifiuto CER 19.12.12 frazione organica tritovagliata e CER 19.05.01 frazione organica tritovagliata trattata, da trasportare e smaltire presso la discarica Italcave Spa, sita nella regione Puglia, via per Statte, Taranto;
il consorzio, su invito del committente a rinegoziare al ribasso il prezzo offerto con la manifestazione d'interesse del 6 maggio 2011, con nota n. 034 del 1o settembre 2011 ha indicato il prezzo di euro 148/tonnellata per il trasporto e lo smaltimento della frazione umida tritovagliata CER 19.12.12, e di euro 154/tonnellata per il trasporto e lo smaltimento della frazione umida tritovagliata biotrattata CER 19.05.01.
trasporto e smaltimento presso la discarica Italcave Spa, via per Statte, 74123 - Taranto - di 5.000 tonnellate di frazioni tritovagliate - Codice CER 19.12.12 (frazione umida tritovagliata proveniente da selezione e trattamento dei rifiuti urbani).
Nell'oggetto del contratto è inoltre prevista un'opzione: a seguito dell'ordinanza contingibile ed urgente del presidente della provincia di Napoli n. 646 del 12 ottobre 2011, concernente l'avvio all'evacuazione dei rifiuti stoccati presso il sito Italambiente Srl di Acerra, località Pantano, la Sapna si riserva di affidare al consorzio CITE, in caso di omologa positiva su campionamenti del rifiuto preventivamente inviati per la verifica di compatibilità, l'attività di trasporto e smaltimento di tali rifiuti presso la discarica Italcave di Taranto.
Non si conoscono eventuali altri termini dell'opzione, in quanto il documento consegnato alla Commissione è privo della pagina successiva.
148 euro a tonnellata, onnicomprensivo di trasporto, conferimento, smaltimento e destino del rifiuto e ogni altro onere connesso, per un importo complessivo, opzione esclusa, di 740.0000 euro.
Nel caso di esercizio dell'opzione da parte della Sapna Spa, saranno ulteriormente corrisposti euro 518.000 per il trasporto e lo smaltimento di 3.500 tonnellate di rifiuto CER 19.12.12 provenienti dall'impianto di stoccaggio temporaneo di Italambiente Srl, ubicato in Acerra (NA), località Pantano.
Ammesso il subappalto, ai sensi dell'articolo 118 del decreto legislativo n. 163 del 2006 (cosiddetto codice dei contratti).
Le considerazioni di sintesi cui sopra si faceva riferimento non possono prescindere da quanto si è avuto modo di constatare nel corso della complessiva indagine territoriale sulla Puglia.
Indubbiamente va apprezzato lo sforzo della regione di mostrare la disponibilità a venire incontro alle gravissime emergenze campane, ma pare curioso che una regione possa esprimere solidarietà verso un'altra quando essa stessa versa in una condizione di emergenza e non riesce ad essere concretamente solidale neanche con se stessa.
Quello che si vuole evidenziare è che la disponibilità ad accettare i rifiuti campani deve comunque essere tale da garantire al massimo la trasparenza delle procedure, la effettività dei conferimenti, la corrispondenza dei rifiuti conferiti rispetto a quelli contrattualmente previsti.
Troppe indagini hanno dimostrato la facilità con cui vengono elusi i controlli attraverso lo schermo della formale regolarità amministrativa delle procedure.
La regione Puglia, come ha precisato il presidente Vendola, ha puntato molto sul piano dei controlli, attraverso protocolli d'intesa stringenti con le forze dell'ordine e questo non può che essere oggetto di apprezzamento, ma si attendono ancora i frutti di questo rinnovato circolo virtuoso.
Il rischio concreto è, dunque, che la criminalità campana si espanda in modo incontrollabile su un territorio che si presta particolarmente (per le ragioni già esposte) alla nascita di discariche abusive e che, unitamente alla criminalità locale, trasformi il territorio pugliese nel luogo di destinazione di rifiuti di vario genere e di varia provenienza, così come in passato è accaduto in maniera massiccia sul territorio campano che ha rischiato di trasformarsi esso stesso in una gigantesca discarica.
Con riferimento al traffico di rifiuti dalla Campania alla Puglia è stata consegnata alla Commissione copia dell'avviso ex articolo 415-bis del codice di procedura penale emesso nel procedimento recante n. 12844/06 R.G.N.R.
Nell'ambito della citata indagine è stato contestato agli indagati (Delle Foglie Silvestro, Cirone Sabina, Lopocarno Giovanni e Nuovo Gaetano) il reato di cui all'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006, nonché i reati di cui agli articoli 256 commi 1 e 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006, 515 del codice penale e 25, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica n. 203 del 1988 e 278, comma 1, decreto legislativo n. 152 del 2006.
In sostanza, il Delle Foglie, in qualità di procuratore della società «Tersan Puglia & Sud Italia Spa» e di amministratore di fatto della stessa, in concorso con Nuovo Gaetano (quale chimico e consulente) e Cirone Sabina (amministratore di diritto della predetta società), avvalendosi delle strutture organizzative della predetta società nonché delle autorizzazioni per l'esercizio dell'impianto di trattamento, riciclo e stoccaggio provvisorio di rifiuti speciali non pericolosi descritti nei codici CER, nonché della comunicazione di inizio attività (ex articoli 31 e 33 del decreto legislativo n. 22 del 1997) per effettuare le operazioni di recupero, effettuavano una sistematica ed illecita gestione di rifiuti, in particolare:
trattavano fanghi aventi provenienza e caratteristiche differenti da quelle contenute nell'autorizzazione;
trattavano sostanze per loro natura non comprese nella delibera di autorizzazione, introducendo anche rifiuti provenienti dalla Campania e non compostabili, inidonei all'origine a produrre compost e neppure trattati correttamente, nonché rifiuti del tutto incompatibili con la produzione di fertilizzanti ed ammendanti organici;
accumulavano presso la sede della società ingenti quantitativi di rifiuti non autorizzati al fine di illecitamente smaltirli, occultando l'ingresso degli stessi mediante la loro registrazione quali «mercatali» ovvero mediante l'attribuzione agli stessi di codici compatibili con la predetta autorizzazione;
introducevano rifiuti in quantitativo superiore a quello giornaliero indicato in autorizzazione;
non compostavano la sostanza in modo conforme a quanto indicato in autorizzazione;
non osservavano le ulteriori prescrizioni dirette ad evitare la diffusione di odori molesti;
esercitavano, di fatto, nell'ambito del predetto impianto, un'attività di smaltimento di rifiuti mai autorizzata, e segnatamente svolgeva l'attività di trattamento biologico che dava origine ad un composto da qualificarsi anch'esso come rifiuto, non realizzando né consentendo la realizzazione di alcuna forma di recupero dei rifiuti trattati;
omettevano di effettuare correttamente le analisi periodiche, alterandone la rappresentazione degli esiti nei casi in cui venivano effettuate.
Diversi procuratori della Repubblica in sede di audizione hanno fornito informazioni sul tema. Il procuratore Seccia ha evidenziato come siano in esercizio nella provincia di Foggia impianti di termodistruzione, soprattutto per rifiuti pesanti, quali quelli tossici e sanitari che, soprattutto nel cerignolano, assicurano anche la gestione di quota parte di quelli calabresi e siciliani. È una situazione che va costantemente monitorata e che richiede la verifica necessaria dei vettori e di coloro i quali portano ed esportano i rifiuti, soprattutto quelli pericolosi, in terra pugliese.
Il dottor Savasta della procura di Trani ha precisato, come sopra già evidenziato, che nei territori di Andria, di Canosa e del foggiano vi sono realtà criminali che hanno collegamenti con la criminalità napoletana. Nell'indagine pendente in materia di rifiuti animali da macellazione, emerge che la maggior parte della produzione di questi rifiuti animali misti a scarti aveva origine in Campania. I rifiuti venivano poi smistati nei due centri di Brindisi e di Trani, dove erano trasformati in farina e grassi animali, poi utilizzati nelle filiere alimentari dei polli.
In sostanza vi è un collegamento tra la criminalità campana e la criminalità locale che, pur non potendo essere sempre qualificata come criminalità di stampo mafioso, è comunque organizzata e strutturata per gestire il traffico di rifiuti.
Il processo si è concluso con sentenze di condanna nei confronti degli imputati, alcuni dei quali condannati in sede di giudizio abbreviato con sentenza emessa dal Gup, dottor Simone Luerti, altri dal tribunale collegiale di Milano (le sentenze risultano essere state sostanzialmente confermate anche all'esito del giudizio in Cassazione).
Come è stato sottolineato nell'incipit della sentenza emessa dal dottor Luerti, le indagini si sono sviluppate a larghissimo raggio, mettendo in luce un vasto traffico illecito di rifiuti, che ha coinvolto
un elevato numero di soggetti, tutti a diverso titolo appartenenti al settore dei servizi ecologici, e soprattutto gravitante intorno alla società, la Lombarda Spacorrente, in Fagnano Olona (VA).
Gli importanti risultati probatori sono stati realizzati grazie ad una serrata attività investigativa che si è avvalsa di strumenti di ricerca della prova, quali le intercettazioni, che hanno consentito agli investigatori di andare oltre il dato meramente formale della documentazione di accompagnamento dei rifiuti.
Si legge nella sentenza che «in via generale, è appena il caso di osservare, prima di entrare nel merito delle imputazioni e delle prove, che l'indagine ha avuto il grande pregio di riuscire a superare lo schermo formale delle autorizzazioni e della documentazione di accompagnamento della circolazione dei rifiuti, mostrando la realtà illegale sottostante. Specialmente grazie alle intercettazioni telefoniche, consentite dalla contestazione del delitto di cui all'articolo 53-bis del decreto legislativo n. 22 del 1997, l'indagine ha ottenuto risultati altrimenti insperati, atteso che la meticolosa disciplina in materia di rifiuti, da un lato, impone una serie di obblighi formali e strumentali alla corretta gestione degli stessi; ma dall'altro consente di costruire un "mondo di carta" che nulla ha a che fare con la corretta e legale circolazione dei materiali di scarto».
Nella sentenza sono descritte con dovizia di particolari le condotte attraverso cui è stato consumato il traffico illecito di rifiuti, che ha assunto dimensioni transregionali e che ha visto coinvolte diverse regioni sia del nord Italia che del sud Italia.
Per quel che concerne la Puglia, oggetto della presente relazione, è particolarmente importante la disamina delle condotte attraverso le quali sono stati illecitamente smaltiti i rifiuti presso la discarica Ecolevante e Vergine.
In sostanza, si assiste ad una triangolazione tra la Campania (proprio nel momento in cui vi era una situazione di emergenza), da dove sono partiti i rifiuti, la Lombardia, dove i rifiuti sono stati fittiziamente sottoposti ad un trattamento idoneo a consentire l'attribuzione del codice CER 19.12.12, e la Puglia, ove i rifiuti sono giunti a destinazione presso la discarica Vergine muniti di documentazione falsa.
Secondo quanto riferito nella sentenza summenzionata, la regione Campania versava in una situazione di emergenza a causa della cronica insufficienza o mancanza di adeguati impianti di recupero, smaltimento o di termovalorizzazione; la situazione era affidata al commissario straordinario per l'emergenza, che si avvaleva della società interamente pubblica «Pomigliano Ambiente» per la gestione degli impianti mobili come quello importantissimo di Giffoni Valle Piana (SA), in cui confluivano tra gli altri i rifiuti urbani della città di Napoli; l'impianto sottoponeva i rifiuti urbani ad un primo trattamento meccanico denominato tritovagliatura e successivamente destinava le frazioni secca e umida ad altri impianti in esecuzione di contratti di appalto, assegnando all'origine il codice identificativo CER 19.12.12, tanto alla frazione umida quanto a quella secca; uno dei contraenti era la società Sineco Srl di Cavallari Pierpaolo, che occupava oggettivamente una posizione strategica nella circolazione dei rifiuti usciti da Giffoni. Successivamente, senza mutamento del
codice CER, i rifiuti meramente transitati dalla Sineco di Castenaso (BO) per mezzo dei camion del vettore Veca Sud di Ventrone, proseguivano il viaggio in direzione de «La Lombarda Servizi Ecologici Srl» della famiglia Accarino e, dopo avere subito non un vero e proprio trattamento né una vera e propria miscelazione, ma semplicemente un «rivestimento» di altro materiale industriale o naturale, venivano destinati ad impianti di compostaggio (procedimento naturale di recupero del materiale organico per destinarlo all'agricoltura e quindi del tutto incompatibile con le frazioni secche dei rifiuti solidi urbani), come la «Tea» di Castelli Giuseppe a Fino Mornasco (CO) o la San Carlo di Pagliano Gino, ovvero in discariche quali la Ecolevante di Grottaglie (TA), la Vergine di Taranto e la Tea di Mantova.
L'artefice di tutte le operazioni era Marco Domizio, da un lato in ottimi rapporti di amicizia con Cavallari Pierpaolo e dall'altro in affari con gli Accarino, e nello stesso tempo dipendente della Ecoltecnica. Domizio è colui che faceva da mediatore tra gli Accarino da un lato e Cavallari (che li conosceva appena) e Ventrone dall'altro. Nel contempo, la sua posizione di dipendente della Ecoltecnica gli consentiva un buon rapporto con Martini Rino, amministratore delegato della società, già ufficiale del Corpo forestale dello Stato, grande esperto in materia ambientale e consapevolmente coinvolto in tutta la vicenda dei rifiuti campani.»
In sostanza, i rifiuti prodotti in Campania e provenienti dall'impianto di tritovagliatura di Giffoni Valle Piana, usciti con codice CER 19.12.12. non avrebbero potuto essere smaltiti legittimamente nelle discariche pugliesi e lombarde, e dunque l'unica possibilità perché venissero smaltiti fuori regione era quella di utilizzare strumenti illeciti.
Altra più recente indagine, che non ha però riguardato i rifiuti campani, è quella condotta dalla procura della Repubblica di Lanciano e poi trasmessa alla procura della Repubblica di Perugia, in conseguenza dell'attribuzione alla direzione distrettuale antimafia della competenza in merito al reato di cui all'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
Si tratta di un'indagine che ha riguardato un traffico illecito di rifiuti confluiti nella discarica «Vergine» (confronta parte seconda della relazione, relativa alla provincia di Taranto).
Le indagini condotte dalla procura della Repubblica di Milano e dalla procura della Repubblica di Lanciano che hanno portato alla contestazione di reati in ordine ai quali sono state emesse sentenze divenute definitive, nel primo caso, e ordinanze cautelari, nel secondo, consentono di formulare alcune osservazioni.
La Puglia è stata coinvolta sia nel traffico di rifiuti provenienti dalla Campania in una delle varie fasi dell'emergenza, e sia in un traffico di rifiuti che ha visto coinvolte altre regioni.
A fronte di ciò nessuna informazione su questo specifico tema è stata fornita dagli organi di controllo locali in merito ad anomalie registrate con riferimento alle discariche sopra indicate (Ecolevante e Vergine), rispetto alla quali vi sono state anche numerose denunce da parte delle popolazioni locali.
Meraviglia, dunque, che in loco non siano state sviluppate indagini, né che siano state segnalate alla Commissione le indagini sopra menzionate, e ciò sia da parte degli organi di controllo sia da parte degli organi investigativi.
Si tratta di un gap conoscitivo delle autorità locali che non può non incidere negativamente sulla programmazione delle attività di controllo e prevenzione, che dovrebbero essere orientate anche in ragione dell'individuazione di zone o settori particolarmente sensibili.
La recente attribuzione della competenza in merito al reato di cui all'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (traffico organizzato illecito di rifiuti) alle procure distrettuali antimafia è il segno del recepimento da parte del legislatore del dato fattuale che caratterizza il traffico di rifiuti, ossia la naturale tendenza a superare i confini regionali e nazionali, sicché gli investigatori necessitano degli strumenti di indagine più incisivi di cui sono dotate le procure distrettuali antimafia.
Il mercato dei rifiuti, con particolare riferimento a quelli destinati al riciclo, è un mercato ormai globalizzato, ma privo di regole omogenee e di adeguati controlli, un mercato che si connota per la presenza di ampie maglie attraverso le quali è molto facile per i trafficanti di rifiuti operare liberamente creando situazioni di disastro ambientale, o comunque situazioni dannose per la salute umana.
La Commissione, proprio per l'importanza del tema, dedicherà un'apposita relazione rispetto a questo tema, pur anticipando in questa sede alcuni passaggi effettuati in merito ai seguenti aspetti:
il carattere transnazionale del traffico illecito dei rifiuti;
l'approfondimento tematico che la Commissione sta svolgendo proprio con riferimento a questo tema;
la mancanza di omogeneità tra le normative vigenti nei diversi paesi, il che crea difficoltà significative per il necessario coordinamento investigativo tra gli organi competenti nei paesi interessati;
la mancanza di un'adeguata rete di controlli;
le indagini in corso in merito al traffico transfrontaliero di rifiuti in Cina, in Romania e nei paesi del Nord Africa (dove avviene il riciclo di rifiuti, prevalentemente materiali plastici e rifiuti elettronici).
Obiettivo della missione era quello, da un lato, di approfondire ruolo e funzioni di organismi europei che operano, a diversi livelli, nel contrasto al crimine transnazionale, compreso il crimine ambientale, dall'altro, di acquisire ulteriori utili elementi conoscitivi in relazione alle indagini specifiche che la Commissione sta svolgendo con riferimento ai temi di seguito precisati:
indagine relativa al presunto affondamento in mare di navi contenenti rifiuti radioattivi o comunque tossici;
illecito smaltimento di rifiuti radioattivi e/o tossici nei paesi del nord Africa;
traffico transfrontaliero di rifiuti, coinvolgente in particolare paesi quali la Cina e la Romania.
È stato inoltre richiesto se nei paesi UE sia contemplato il reato di traffico illecito di rifiuti, se vi siano corpi di polizia specializzati per le indagini relative ai reati ambientali, se siano previste ipotesi di responsabilità a carico delle persone giuridiche, nonché se siano stati aperti in Eurojust casi concernenti reati connessi al traffico illecito di rifiuti.
Nel corso della missione, e in particolare nel corso dell'incontro con i rappresentanti di Eurojust, è stato fornito alla Commissione un documento riepilogativo dei dati raccolti sino ad ora, che si è palesato di particolare interesse ai fini dei lavori di questa Commissione d'inchiesta.
Proprio a seguito delle specifiche domande rivolte dalla Commissione, si è avuto modo di constatare come le informazioni attualmente
in possesso di Europol in merito ai reati ambientali ed al traffico transfrontaliero di rifiuti non siano affatto nutrite, e si è parlato al riguardo di un vero e proprio vuoto informativo.
Tale circostanza rende evidentemente molto scarna la banca dati di cui dispone Europol sul tema in oggetto, e, conseguentemente, rende poco efficace per lo sviluppo delle indagini il coordinamento informativo e lo scambio di dati.
Un altro compito di Eurojust è migliorare la cooperazione fra le autorità competenti degli Stati membri, in particolare agevolando la prestazione dell'assistenza giudiziaria internazionale e l'esecuzione dei mandati d'arresto europei.
Eurojust assiste inoltre le autorità competenti al fine di aumentare l'efficacia delle indagini e dei procedimenti. L'ambito di competenza generale di Eurojust comprende, tra gli altri, anche i crimini ambientali. Ebbene, nonostante tra le competenze di Eurojust siano stati inseriti i crimini ambientali, i casi statistici sono di scarsissima entità numerica, atteso che sono stati aperti dal 2004 solo ventisette casi, sette sono ancora in corso di lavorazione.
Il dato è pienamente comprensibile nella sua entità laddove lo si confronti con il dato generale dei casi aperti ad Eurojust solo nel 2010, pari a millequattrocento.
Peraltro, dei casi presi in considerazione, sette sono stati aperti su questioni generali (general topics) con la formulazione di questionari inviati ai paesi interessati, ed i restanti venti hanno riguardato casi operativi.
In sostanza, sebbene i crimini ambientali siano stati pienamente recepiti a livello degli organismi europei di coordinamento, in quanto si tratta di reati particolarmente offensivi che investono interessi di primaria importanza e che tendenzialmente coinvolgono diversi paesi, tuttavia non risultano, allo stato, coordinamenti investigativi, o dati relativi ad indagini concernenti il traffico transfrontaliero di rifiuti.
Eppure è un dato acquisito quello per cui i crimini ambientali rappresentano un'importante fonte di profitto per le organizzazioni criminali, e peraltro il carattere transnazionale del crimine ambientale risulta in crescita per effetto delle sempre maggiore globalizzazione.
Il 7 aprile 2011 la delegazione italiana ha incontrato presso il porto di Rotterdam, tra gli altri, Mr. Albert Klingenberg, appartenente al Vrom, Servizio di ispezione ambientale, ispettorato del ministero dell'ambiente olandese.
Il 60 per cento dei rifiuti esportati transitano per il porto di Rotterdam. L'esigenza che è stata evidenziata non solo da Klingenberg ma anche dal procuratore olandese presente all'incontro è che ogni Stato effettui adeguati ed approfonditi controlli sui carichi di rifiuti esportati, non essendo pensabile che la polizia e gli organi di controllo olandesi possano sostituirsi a tutti gli organi di controllo dei vari paesi.
Il ministero ha individuato alcune priorità da seguire nell'attività di ispettorato:
trasporto illegale di rifiuti elettronici in Africa;
trasporto illegale di rifiuti plastici in Cina e Hong Kong;
cooperazione con la Cina, l'India, il Ghana, l'Inghilterra, il Belgio, la Germania;
cooperazione a livello europeo (Impel);
la creazione e l'implementazione di una rete di informazioni in relazione al rispetto delle normative ambientali (INECE).
Dalle indagini in corso, che peraltro hanno avuto risalto anche sulla stampa, risulta come in diversi casi il porto di Rotterdam abbia rappresentato la via di transito, di partenza o di arrivo di rifiuti oggetto di illecito traffico e smaltimento.
I problemi principali riguardano il flusso di rifiuti elettronici, che sembrerebbe vengano inviati in Africa, dove però le condizioni di lavoro non garantiscono la salute dei lavoratori (spesso rappresentati da bambini o ragazzi).
Altro problema riguarda il trasporto di rifiuti plastici in Cina, ove vengono «riciclati» in violazione di tutte le regole vigenti. L'Olanda ha rapporti intensi con la Cina e presso il porto di Rotterdam sono movimentate molte merci che provengono o che sono dirette in Cina.
In sostanza, le modalità attraverso cui vengono consumati i traffici illeciti si basano essenzialmente sulla possibilità di far perdere ai rifiuti le loro tracce, facendoli passare di mano in mano, attraverso l'opera di intermediari, e facendo in modo che i rifiuti seguano percorsi collaudati che vanno dall'Italia in Germania, Olanda, Hong Kong, Cina.
Risulta evidente l'importanza di un coordinamento normativo tra i vari paesi, della presenza di polizia specializzata, e della necessità
di un approccio globale al problema, che involge evidentemente gli interessi di organizzazioni criminali radicate nei diversi paesi interessati, che riescono ad avere un controllo capillare del territorio, aspetto questo fondamentale nella gestione dei traffici illeciti transnazionali di rifiuti.
Non è un caso che i paesi destinatari dei rifiuti siano tendenzialmente i paesi del terzo mondo o paesi privi di una legislazione rigorosa in materia, nonché di organi di controllo adeguati.
Nella relazione territoriale concernente la regione Calabria, approvata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, è stato evidenziato come questa regione sia stata utilizzata non come terra di destinazione finale dei rifiuti pericolosi, ma quale punto di transito.
Particolarmente importante si è rivelata l'indagine cosiddetta «Grande Muraglia», concernente l'esportazione di rifiuti provenienti da altre regioni che aveva investito il porto di Gioia Tauro, utilizzato per l'appunto come transito per le spedizioni transfrontaliere di rifiuti.
Il traffico coinvolgeva la Cina, i paesi dell'Africa del sud e i paesi del Medio Oriente.
Le indagini sono state avviate nel 2005 a seguito del sequestro operato dal Noe di due containers nel porto di Gioia Tauro; gli approfondimenti investigativi hanno consentito di accertare che centinaia di containers carichi di plastica non trattata e di rifiuti pericolosi provenienti dai porti di Livorno, Genova, Civitavecchia, Venezia e Bari, arrivavano sulle banchine del porto di Salerno, dove venivano stivati e sottoposti ad una prima lavorazione, che consentiva la perdita apparente delle originarie caratteristiche di rifiuti per divenire materia prima secondaria.
I containers venivano quindi trasportati a Gioia Tauro, dove venivano scaricati e caricati nuovamente su navi più grosse dirette ad Hong Kong. Naturalmente i rifiuti venivano accompagnati da falsi documenti di trasporto e da false dichiarazioni da esibire alle dogane al fine di eludere i controlli.
Nella relazione della Commissione si legge testualmente «da Hong Kong i containers contenenti i rifiuti venivano trasportati via terra e scaricati nel nord della Cina, dove una parte della merce veniva trasformata in materia prima (da riutilizzare nella fabbricazione di giocattoli, piatti e bicchieri) e una parte abbandonata in immense discariche a cielo aperto.
Addirittura - ha riferito il comandante Iacobelli - le indagini dell'Arma hanno consentito di intercettare le e-mail con le foto degli impianti in Cina in una foresta, nella quali si vedeva come questa plastica arrivava, veniva pulita in vasche, liquefatta e resa nuovamente pasta per potere essere imballata e utilizzata sia per la Cina, sia per essere rivenduta in Paesi europei.
Nell'esportazione di tali rifiuti plastici sono coinvolti diversi imprenditori del Lazio della Puglia e della Campania, ma nessun imprenditore calabrese, sicché, nella specie, la Calabria è stata utilizzata solo come porto di trasferimento, mentre due cinesi fungevano da collegamento tra la fabbrica cinese e le aziende locali».
Gli imprenditori italiani che spedivano i rifiuti plastici in Cina, da un lato, erano sprovvisti degli strumenti necessari per lavorare la plastica, ma disponevano solo di compattatori attraverso i quali compattavano il materiale in balle e lo caricavano sui contaniners, dall'altro, avevano contratti di appalto con i comuni per la raccolta di rifiuti plastici, e, quindi, venivano pagati per ritirare il materiale plastico.
In sostanza, gli imprenditori coinvolti ottenevano illecitamente un duplice guadagno.
Altre importanti indagini sono state effettuate dai magistrati pugliesi, indagini che hanno evidenziato come questo fenomeno stia assumendo dimensioni sempre più allarmanti.
La maggior parte dei reati in materia di rifiuti è riconducibile all'attività del porto mercantile di Taranto, con particolare riferimento al traffico transfrontaliero illecito di rifiuti. Nel periodo intercorrente tra il mese di aprile 2008 e il mese di aprile 2009 sono stati sequestrati nell'area portuale complessivamente centotrentuno containers che contenevano un quantitativo di rifiuti diretti all'estero pari a 3200 tonnellate.
Nei successivi quattro mesi si è in oltre proceduto al sequestro di ulteriori quarantatré containers contenenti un quantitativo di rifiuti pari ad oltre una tonnellata.
Ebbene, proprio l'indagine summenzionata avviata attraverso il sequestro di containers presso il porto di Taranto, ha avuto un positivo sviluppo sia in termini dell'ampiezza dell'investigazione, sia in termini del livello di approfondimento rispetto a reati per i quali l'acquisizione della prova si prospetta sin dal principio complessa (tenuto conto del numero di soggetti coinvolti, dei diversi luoghi di partenza e destinazione dei rifiuti, della necessità di effettuare approfondimenti documentali in merito alle false documentazioni doganali, ed infine della difficoltà di effettuare i controlli incrociati presso diversi scali portuali italiani).
Si tratta della più importante indagine segnalata fino ad oggi alla Commissione in materia di traffico transnazionale di rifiuti, nell'ambito della quale è stata emessa anche la misura cautelare reale del sequestro per equivalente finalizzato alla confisca ai sensi dell'articolo 11 della legge n. 146 del 2006.
L'indagine ha riguardato diversi porti italiani e diverse associazioni di cui però, pur essendo state comprese le modalità operative
(secondo quanto prospettato dall'accusa e recepito dal giudice nel provvedimento cautelare personale e reale), non è nota la sede tanto che la competenza si è radicata presso la procura di Taranto (e poi di Lecce) in base al criterio residuale di cui all'articolo 9, comma 2, del codice di procedura penale.
Nell'ordinanza infatti è evidenziato che non è stato possibile individuare un unico ed esclusivo centro operativo ove si è radicata l'organizzazione criminale.
E dunque, ai fini dell'individuazione del giudice territorialmente competente si è dovuto fare riferimento al criterio residuale di cui all'articolo 9 comma 3 del codice di procedura penale (ufficio del pubblico ministero che per primo ha iscritto la notizia di reato nel registro previsto dall'articolo 335 del codice di procedura penale); il reato associativo si è manifestato chiaramente in occasione del primo sequestro del 20 settembre 2009 di dieci containers contenenti rifiuti di materie plastiche, eseguito presso il porto di Taranto nei confronti della società Recuperi Sud, nonchè in occasione del sequestro operato in data 12 ottobre 2009 sempre presso il porto di Taranto.
Ebbene, le complesse indagini in merito al traffico transfrontaliero di rifiuti, di cui la Commissione aveva già avuto notizia nel corso delle missioni effettuate in Puglia, hanno avuto uno sbocco unitario nell'indagine coordinata dalla procura distrettuale antimafia di Lecce.
Il 6 dicembre 2011 è stata infatti eseguita un'ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Lecce, richiesta dalla direzione distrettuale antimafia della procura presso lo stesso tribunale, con la quale sono state applicate misure cautelari personali e reali nei confronti di cinquantaquattro persone indiziate di traffico illecito di rifiuti ed associazione a delinquere ad esso finalizzata. Le indagini hanno riguardato diversi porti italiani; sono partite dal porto di Taranto e si sono poi estese ai porti di Ancona, Catania, Civitavecchia, Genova, Gioia Tauro, La Spezia, Livorno, Napoli, Palermo e Trieste.
Nel corso delle indagini sono stati accertati più episodi di traffico di rifiuti speciali e sono stati complessivamente sequestrati settecentonovantuno containers che trasportavano oltre diciottomila tonnellate di rifiuti speciali.
Secondo la prospettazione accusatoria, recepita dal giudice per le indagini preliminari nell'ordinanza sopra menzionata, sono stati acquisiti gravi indizi di colpevolezza in ordine ad una serie di associazioni a delinquere finalizzate al traffico transfrontaliero dei rifiuti, costituite tra commercianti ed intermediari che hanno sistematicamente fatto uso di atti ideologicamente falsi.
Le indagini sono state avviate nel mese di aprile 2009 dalla Guardia di finanza - 1o Nucleo operativo del gruppo Taranto, unitamente all'ufficio antifrode dell'agenzia delle dogane di Taranto, a seguito dell'ispezione e sequestro di alcuni containers giunti presso il porto di Taranto ed altri scali marittimi nazionali.
Unitamente alle verifiche documentali di numerose altre analoghe spedizioni, sono state avviate le indagini tecniche costituite dalle intercettazioni delle conversazioni telefoniche nonché delle comunicazioni
via fax e via e mail in uso alle aziende oggetto di indagine ed ai diversi soggetti che in esse rivestivano un ruolo significativo, nonché di altri che con costoro risultavano in contatto.
Successivamente l'approfondimento investigativo si è ampliato a tutte le altre spedizioni sospette da porti nazionali, con conseguente sequestro di numerosi altri containers di rifiuti oggetto di spedizioni illegali riconducibili ai soggetti indagati.
È stato quindi possibile disvelare un'illecita attività diretta ad approvvigionare le industrie dei paesi asiatici di rifiuti costituiti da plastica e gomma da destinare al recupero per la produzione di manufatti oppure da destinare al recupero energetico.
Le fonti di prova acquisite nel corso della complessa e articolata attività investigativa sono state, si legge nell'ordinanza applicativa di misure cautelare, supportate da puntuali riscontri documentali e da indagini tecniche che hanno consentito di accertare:
l'esistenza di illecite spedizioni di rifiuti speciali di materie plastiche, gomma e pneumatici fuori uso dal porto di Taranto e da altri scali marittimi nazionali verso i paesi asiatici, quantificandoli in complessivi chilogrammi 33.711.270 a mezzo di n. 1.507 containers per un illecito giro d'affari di euro 5.613.686,07 di cui euro 22.921,72 costituente ingiusto profitto derivante dal mancato accollo dei costi dovuti ordinariamente per il riciclaggio dei rifiuti speciali presso i siti all'uopo autorizzato;
l'esistenza di un'articolata organizzazione criminale, connotata dal carattere transnazionale degli illeciti ascritti ai componenti, basata su un accordo, generale e continuativo, a monte (aziende operanti quali recuperatori di rifiuti) ed a valle (intermediari/commercianti senza detenzione dei rifiuti) della filiera dei rifiuti, volto all'attuazione di un programma delinquenziale, destinato a permanere anche dopo la consumazione dei singoli delitti di «attività organizzate per il traffico illecito dei rifiuti» e «falsità ideologica in atti pubblici», configurando chiaramente il reato di associazione a delinquere di tipo transnazionale di cui all'articolo 416 del codice penale e all'articolo 4 della legge n. 146 del 2006, finalizzato all'illecita spedizione dal porto di Taranto e da altri scali marittimi nazionali di ingenti quantitativi di rifiuti speciali di materie plastiche, gomma e pneumatici fuori uso destinati a non meglio identificati impianti di recupero asiatici;
il ruolo di ciascuno dei componenti della consorteria criminale e svelato il «modus operandi».
Un primo sodalizio criminale ha avuto ad oggetto la spedizioni di ingenti quantitativi di materie plastiche, anche di competenza del consorzio Polieco, dichiarandoli come falsamente destinati a fittizi impianti di recupero alla sede di Hong Kong ma di fatto tutti dirottati in Cina eludendo la mancanza di licenza Aqsiq e della certificazione pre-imbarco Ccic richieste per potere esportare in quest'ultimo Paese. Per perfezionare le illecite spedizioni di rifiuti speciali i soggetti coinvolti hanno presentato in dogana documentazione riportante dati
non corrispondenti al vero in ordine all'attribuzione del codice CER dei rifiuti ed alla destinazione finale degli stessi, consentendo l'esportazione illegale, a mezzo di trecentoquattordici containers, di complessivi chilogrammi 7.042.774 di rifiuti di materie plastiche, di cui chilogrammi 1.438.890 di provenienza agricola, per un illecito giro d'affari di euro 1.312.669,90. Il tutto attraverso la presentazione di centosedici dichiarazioni doganali di esportazione ideologicamente false.
Nell'ambito dell'organizzazione è stato determinante l'apporto dello spedizioniere doganale Santamato Vincenzo, rivelatosi il punto di contatto sul porto di Taranto di Schiavone Nicola e Marco, informandoli puntualmente dell'operato della Guardia di finanza e della dogana, commentando con loro l'esito delle visite doganali sui containers spediti a cura dell'Aermar e le future strategie da adottare. Spettava infatti a Santamato Vincenzo l'ultimo fondamentale compito consistente nel predisporre artatamente la dichiarazione doganale di esportazione con dati falsi in ordine alla descrizione ed ai codici identificativi CER dei rifiuti ed alla destinazione finale degli stessi, con l'intento di superare i controlli doganali.
Le illecite esportazioni di rifiuti sono avvenute attraverso i porti di Taranto, Napoli, Ancona e Catania e il periodo di consumazione è stato contestato «in epoca anteriore e prossima all'aprile 2008 sino ad oggi».
Sulla base degli elementi di prova acquisiti si è accertato, si legge nell'ordinanza, che Schiavone Nicola, Schiavone Marco e Zhang Xiao Wu hanno organizzato, per conto delle aziende fornitrici (Recuperi Sud Srl, Pellicano Verde Spa, Del Prete Srl, Duesse Srl, Recuperi Pugliesi Srl, Lonplast snc e Mattucci Srl) le illecite spedizioni sopra indicate.
Altro sodalizio criminale, in parte coinvolgente gli stessi soggetti, ha avuto ad oggetto l'organizzazione di spedizioni di ingentissimi quantitativi di rifiuti di gomma e pneumatici fuori uso, falsamente dichiarati in dogana come destinati in Malesia e in Corea per operazioni di recupero R3, ma di fatto illecitamente dirottati in Vietnam e Pakistan (paesi verso il quale vige il divieto di esportare rifiuti della specie-Reg CE n. 1418/2007)
L'associazione è risultata essere stata promossa, costituita e organizzata da Schiavone Nicola, Schiavone Marco, Pagnanelli Antonio, Cozzetto Giuseppe e Tang Liang per conto delle imprese Gea Srl, Mattucci Srl, Sycorex Spa, Ferbert, Gatim Srl, Ecopa Srl, Recpneus Srl, Cdc Snc, Rpn Srl e Trans Eco Elbana Srl, attraverso i porti di Taranto, Napoli, Ancona, Palermo, Genova e Livorno.
Anche in questo caso le modalità attuative del disegno criminoso sono passate attraverso la predisposizione e la presentazione in dogana documentazione riportante dati non corrispondenti al vero in ordine alla destinazione finale degli stessi, spediti a mezzo di centododici containers per un quantitativo complessivo di kg 2.805.880, per un illecito giro d'affari di euro 198.628,78 di cui euro 46.464,12 costituenti ingiusto profitto derivante dal mancato accollo dei costi dovuti ordinariamente per il recupero dei rifiuti presso siti italiani all'uopo autorizzati.
Le illecite spedizioni sono state effettuate attraverso i porti di Taranto, Napoli, Ancona, Palermo, Genova e Livorno.
Il sodalizio avente ad oggetto l'organizzazione della spedizione di ingentissimi quantitativi di rifiuti di gomma e pneumatici fuori uso, falsamente dichiarati in dogana come destinati in Corea del Sud presso un fittizio impianto di recupero denominato Jwasan Int. Co. per operazioni di recupero (R3), ma di fatto destinati ad operazioni di recupero energetico (R1) presso un cementificio coreano. Il tutto senza il possesso di titoli abilitativi ed all'insaputa degli organismi di controllo nazionali.
Il traffico dei rifiuti di pneumatici usati è stato organizzato e gestito da Pagnanelli Antonio, Cozzetto Giuseppe, Tang Liang per conto delle imprese fornitrici Gea Srl, Gatim Srl, Nuova Tecnica Tadini Srl, Smacom Srl; Recpneus Srl, D'Angelo Vincenzo, S.T.A. Srl, Alescio Paolo, Eurorec Srl, Rpn. Srl e Sycorex Srl, Trans Eco Elbana, Imprimet e Rubbr Affair Srl
Per perfezionare le spedizioni dei rifiuti speciali in argomento sono stati utilizzati documenti riportanti dati falsi in merito al sito di destinazione ed al regime di trattamento (R3) anziché (R1), spediti a mezzo di trecentosessantacinque containers per un quantitativo complessivo di chilogrammi 8.491.730 per un illecito giro d'affari pari a euro 401.849,12 (di cui 137.924,80, costituente ingiusto profitto derivante dal mancato accollo dei costi dovuti per il recupero dei rifiuti presso siti italiani all'uopo autorizzati
Il motore del sistema illecito è stato rappresentato dalle falsità nelle dichiarazioni doganali di esportazioni presentate presso gli uffici di dogana, compilate secondo le indicazioni fornite dai promotori ed organizzatori dell'associazione tali da indurre in errore i funzionari dell'ufficio delle dogane interessate (per la prima associazione, l'ufficio doganale di Taranto, Napoli, Ancona e Catania; per la seconda associazione, gli uffici di Taranto, Napoli, Genova e Gioia Tauro; per la terza associazione gli uffici doganali di Palermo, Napoli, Gioia Tauro, La Spezia; Livorno, Genova e Catania) i quali formavano, quindi, bollette doganali di esportazione ideologicamente false in quanto riportanti i dati forniti dai singoli partecipi (non veritieri in ordine ai codici CER identificativi dei rifiuti, alla destinazione finale dei rifiuti, all'impianto di recupero di destinazione ed alla tipologia di recupero da eseguire).
Coloro ai quali è stato attribuito il ruolo di organizzatori e promotori dell'associazione a delinquere hanno svolto un'attività che si è articolata secondo metodologie collaudate e che si è rivelata indispensabile per l'organizzazione e il perfezionamento delle illecite esportazioni di rifiuti speciali provenienti da diverse aziende italiane.
Il loro ruolo è infatti consistito nel:
tenere i contatti con i produttori/recuperatori di rifiuti di materie plastiche;
organizzare il percorso terrestre e marittimo che i rifiuti trasportati dovevano seguire per essere esportati all'estero;
prenotare i booking presso le compagnie di navigazione con destinazione Hong Kong, Vietnam, Pakistan, Corea;
seguire l'iter doganale delle esportazioni e delle varie fasi dei controlli e dei sequestri di rifiuti in procinto di essere imbarcati
tentando di accomodare la documentazione presentata per sbloccare i containers;
fornire indicazioni alle aziende esportatrici dei rifiuti sulla compilazione dei documenti di trasporto alle voci «classificazione dei rifiuti» e «impianto di recupero/destinatario finale»;
organizzare una rete di conoscenze sul territorio nazionale atta a favorire l'esportazione dei rifiuti speciali;
controllare che i rifiuti da spedire avessero determinate caratteristiche che mostravano agli acquirenti stranieri, tramite fotografie inviate via e-mail;
perseverare nel business connesso all'illecita spedizione dei rifiuti, malgrado i sequestri dei containers nel porto di Taranto e in altri scali marittimi nazionali, cercando, di volta in volta, posti alternativi meno presidiati.
Ciascuno ha avuto un compito ben preciso, e sebbene i partecipanti del sodalizio operassero in diverse località del territorio nazionale, sono riusciti ad operare in modo sincronico organizzando i viaggi, predisponendo fraudolentemente i documenti doganali/commerciali necessari per le operazioni di esportazioni dall'Italia, procurando i rifiuti da spedire illecitamente all'estero.
Va sottolineato come sia stata contestata la circostanza aggravante di cui all'articolo 4 della legge n. 146 del 2006 in quanto le condotte sono state poste in essere in più Stati. La nozione di reato transnazionale è dettata dall'articolo 3 della legge summenzionata, di ratifica della convenzione Onu sul crimine organizzato transnazionale. Il reato transnazionale viene definito come il reato punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni qualora sia coinvolto un gruppo criminale organizzato nonché:
sia commesso in più di uno Stato;
ovvero sia commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato;
ovvero sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato;
ovvero sia commesso in uno stato ma abbia effetti sostanziali in altro Stato.
Si tratta di una norma che prevede che il giudice ordini la confisca di somme di denaro, beni o altre utilità di cui il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona fisica o giuridica, per un
valore corrispondente al prodotto, profitto o prezzo del reato, e dunque, nella fase delle indagini è stato richiesto il sequestro dei beni degli indagati in funzione della successiva confisca.
Sono stati quindi sequestrati conti correnti, somme di denaro, beni ed altre utilità nella disponibilità di Xang Xiao Wu, Schiavone Marco, Schiavone Nicola, Pagnanelli Antonio, Cozzetto Giuseppe e Tang Liang, promotori ed organizzatori delle associazioni a delinquere oggetto della contestazione, del partecipe Santamano Vincenzo nonché dei macchinari, del compendio aziendale, macchinari e mezzi delle società coinvolte nella vicenda.
Sebbene l'argomento sia stato trattato nel dettaglio nei capitoli dedicati contenuti nella parte prima e seconda della relazione (rispettivamente concernenti il distretto di corte d'appello di Bari e il distretto di corte d'appello di Lecce) appare opportuno delineare in sintesi gli scenari che è stato possibile accertare nei territori oggetto dell'indagine.
E dunque l'attività che sta avviando la procura distrettuale di Bari, in sinergia con le procure del distretto, è quella di ampliare le prospettive investigative, individuando quali siano i settori di interesse della criminalità organizzata, come operi e quanto incida sul corretto funzionamento delle regole del mercato (evidentemente alterate dalla presenza nei vari settori dell'economia di organizzazioni criminali ben strutturate e fino ad oggi, pare, non adeguatamente indagate).
Vi sono una serie di dati che rendono la Puglia particolarmente permeabile alle infiltrazioni della criminalità: da un lato, la collocazione geografica, dall'altro la presenza di importanti realtà industriali e la sussistenza di stretti legami tra la criminalità pugliese e la criminalità organizzata delle regioni vicine (in particolare Campania e Calabria).
Anche i procuratori della Repubblica degli uffici giudiziari rientranti nel distretto di corte d'appello di Bari hanno manifestato la preoccupazione crescente per il fenomeno dell'infiltrazione della criminalità organizzata di stampo mafioso sul territorio pugliese.
Il procuratore della Repubblica di Lucera, Domenico Seccia, in relazione all'area della provincia di Foggia che rientra nel circondario del tribunale di Lucera, ha fornito alla Commissione una lettura del
fenomeno criminale distinguendo un aspetto di criminalità ambientale ordinario, uno di criminalità ambientale in espansione e uno di criminalità legata ai gruppi organizzati di stampo mafioso o ad essi assimilati evidenziando profili di criticità soprattutto nelle fasi delle attività connesse alla gestione del ciclo ambientale dove ci si trova di fronte a carenze normative e gestionali che lasciano spazio a possibili infiltrazioni e controllo da parte della criminalità.
Una di queste fasi, individuate dal dottor Seccia, è il trasporto (è, infatti, soprattutto attraverso i trasporti che si riesce a leggere il percorso dello smaltimento del rifiuto illecito). Si tratta di una fase particolarmente delicata che può essere adeguatamente controllata solo attraverso strumenti di tracciabilità dei flussi dei materiali e di quelli finanziari: «la criminalità organizzata effettua direttamente l'attività di trasporto. È successo nel foggiano con collegamenti legati ai gruppi verticistici della criminalità organizzata mafiosa, mi riferisco al clan Trisciuoglio contrapposto al clan Sinisi e, come sappiamo anche dalla letteratura in argomento, era l'appetito principale dei cosiddetti clan dei casalesi. È, quindi, il trasporto che bisogna prendere di mira». Egli ha inoltre posto l'accento sul carattere transregionale delle movimentazioni dei rifiuti da smaltire illecitamente (problematica questa già evidenziata nei paragrafi precedenti).
Non sono stati forniti dati precisi in merito all'esistenza attuale ed al livello di radicamento di organizzazioni criminali riconducibili alla sacra corona unita.
Il procuratore Laudati ha però evidenziato la distanza che c'è tra «il fatto» e «l'accertamento del fatto», nel senso che realtà criminali devono essere adeguatamente investigate acquisendo idonei elementi di prova che possano disvelare l'esistenza di associazioni strutturate secondo le modalità e le caratteristiche tipiche delle associazioni di stampo mafioso, come previste dall'articolo 416-bis del codice penale.
In sostanza, non tutti i fenomeni esistenti nella realtà sono recepiti a livello giudiziario.
A questo proposito, va certamente apprezzato e valorizzato lo sforzo organizzativo e investigativo profuso dalla procura di Bari sotto la direzione del dottor Laudati, che, in forza delle conoscenze acquisite durante la sua permanenza presso la direzione nazionale antimafia, è riuscito a dare un impulso investigativo alle indagini inserendole in un contesto di ampio respiro. Ciò che è importante comprendere non è tanto come si sia svolto il singolo traffico illecito di rifiuti (infraregionale o transregionale), ma quali siano i meccanismi collaudati che stanno alla base di certi «illeciti equilibri».
Le recentissime indagini della dda di Bari hanno consentito di avere un quadro più chiaro in merito alle infiltrazioni della criminalità di stampo mafioso nel settore dei rifiuti.
La grave fenomenologia che appare dalle risultanze investigative e dai provvedimenti giurisdizionali adottati in materia è quella di un attacco parassitario delle organizzazioni mafiose all'attività di gestione dei rifiuti. La forma che ha assunto la penetrazione delle organizzazioni nel ciclo dei rifiuti è appunto parassitaria in quanto è consistita nella massiccia introduzione nel settore dei rifiuti di
personale privo di qualifica e competenza e perciò inerte, con la conseguenziale paralisi dell'efficienza del servizio, essendovi addetti soggetti allo stesso modo incapaci ed incompetenti.
Il risultato è lo svuotamento dall'interno del servizio, la sua disarticolazione, la sostanziale morte della possibilità di fornire ai consociati un servizio congruo.
A ciò deve poi aggiungersi la consumazione di condotte corruttive che minano alla base ogni possibilità di efficienza di un settore, quale quello della gestione del ciclo dei rifiuti, particolarmente delicato e importante perché attiene alla salvaguardia dell'ambiente e della salute.
Nella sentenza summenzionata è chiarito che la condotta contestata a Rosafio Rocco è di avere commesso il reato di traffico illecito di rifiuti avvalendosi delle condizioni di cui all'articolo 416-bis del codice penale, attraverso la pressoché costante evocazione della figura del suocero, capo riconosciuto della frangia mafiosa appartenente alla sacra corona unita operante in quel territorio, al fine di ottenere, ed ottenendolo, in tal modo ed anche in virtù di rapporti di corruttela e clientelari con le forze dell'ordine e con i gestori degli impianti, l'intimidazione dei suoi concorrenti imponendo così una sorta di monopolio nell'attività di smaltimento dei rifiuti.
L'intimidazione sarebbe dunque valsa ad evitare che gli altri concorrenti portassero all'attenzione delle autorità competenti le attività organizzate di gestione illecita dei rifiuti, poste in essere sia autonomamente che con la complicità dei gestori di alcuni impianti. Tale attività avrebbe consentito di economizzare sui costi di esercizio e, conseguenzialmente, di abbattere quelli da praticare alla clientela realizzando condizioni di reale disparità sul mercato con gli altri imprenditori, ottenendo così la scomparsa della concorrenza e la realizzazione, nella sua zona di azione, di un monopolio dell'attività di smaltimento a favore delle aziende da lui gestite.
Il procedimento summenzionato è di particolare importanza per le seguenti ragioni:
è stato accertato (almeno allo stato del processo) come siano state esercitate pressioni e intimidazioni di stampo mafioso nel settore dei rifiuti;
sono state intensificate le verifiche da parte della competente prefettura in merito alle società che attualmente operano nel settore dei rifiuti, al fine di verificare se vi siano collegamenti diretti o indiretti con soggetti appartenenti o vicini a clan mafiosi.
L'attività della Commissione ha consentito di verificare una sostanziale corrispondenza tra una sorta di naturale «vocazione» del territorio pugliese (per collocazione geografica e caratteristiche geomorfologiche) per un uso in vista di traffici transnazionali dei rifiuti, preceduti da una ricezione infraregionale degli stessi da parte delle organizzazione fortemente radicate nei territori limitrofi ad essa, ed un effettivo sfruttamento illecito del territorio che si presta, per le ragioni sopra sintetizzate (e analiticamente esposte nel corpo della relazione), a tali tipologie di traffici.
La regione appare funzionare come una sorta di «trampolino di lancio» verso le più disparate destinazioni dei rifiuti illecitamente convogliati verso di essa; con riferimento ai traffici transnazionali, il territorio pugliese viene quindi utilizzato quale mero luogo di transito dei rifiuti. Quando esso stesso costituisce il sito di destinazione dei rifiuti, l'azione criminale va sovente ricondotta ad organizzazioni malavitose radicate in altre regioni, e quindi le attività di indagine prendono le mosse prevalentemente presso le sedi giudiziarie territorialmente competenti.
Sebbene vi siano state indagini giudiziarie, anche recenti, nelle quali sono stati accertati condizionamenti della criminalità organizzata locale nel settore dei rifiuti, la regione è anche permeabile all'operatività di organizzazioni criminali radicate in altri territori, che non devono, per così dire, fare i conti con grosse organizzazioni locali.
Il dato che è emerso chiaramente nel corso dell'inchiesta della Commissione è che il fenomeno criminale del traffico illecito dei rifiuti (e, più in generale, dei reati ambientali), proprio perché si articola attraverso diversi punti di riferimento geografici, diverse tipologie di organizzazioni, diversi luoghi di produzione e di destinazione dei rifiuti, sfugge nella sua dimensione complessiva, ma si manifesta per via sintomatica.
L'approccio investigativo deve quindi essere di particolare attenzione rispetto a tutti i fenomeni sintomatici dell'esistenza di più ampie problematiche criminali con un'azione di monitoraggio e di lettura contestualizzata di tutti quei fatti che porterebbero sembrare «microfatti» ma che, letti in un contesto unitario, conducono ad un'attività investigativa di ampio raggio.
Gli approfondimenti relativi al distretto di Bari hanno consentito di individuare alcuni punti nevralgici, specifici del territorio preso in
considerazione, attinenti allo smaltimento illecito dei rifiuti e, più in generale, ai reati ambientali:
la difficoltà delle forze dell'ordine a monitorare un territorio che si caratterizza per la presenza di vaste aree disabitate, ove non viene esercitato quel controllo sociale, spesso prodromico ad un intervento mirato della polizia giudiziaria, che viceversa caratterizza le zone urbanizzate;
la condizione di sotto-organico della procura della Repubblica presso il tribunale di Bari, in quanto il numero dei magistrati non è adeguato alla gravità e pervasività dei fenomeni criminali, anche legati alla criminalità organizzata di stampo mafioso, che si verificano in questo territorio;
la sussistenza di gravi indizi circa la penetrazione della criminalità campana nel territorio pugliese, penetrazione facilitata sia dalle caratteristiche geomorfologiche della regione (presenza di numerose cave abbandonate) sia dalla collocazione geografica, sia ancora dal crescente sviluppo economico che il territorio sta registrando e che attira gli interessi della criminalità organizzata;
l'utilizzo del porto di Bari quale luogo di partenza e di transito per i traffici transfrontalieri di rifiuti effettuati da organizzazioni criminali ampiamente ramificate ed operanti utilizzando diversi porti italiani;
mancati controlli sugli impianti di compostaggio, spesso oggetto di indagini concernenti l'illecito smaltimento di rifiuti falsamente qualificati come compost riutilizzabile in agricoltura;
esistenza di posizioni di «controllo» nel settore dei rifiuti da parte di imprese che hanno, evidentemente, tutto l'interesse a continuare a gestire il settore della raccolta, del trasporto e dello smaltimento dei rifiuti, piuttosto che vedere incrementare la raccolta differenziata (si vedano, al riguardo, le dichiarazioni rese alla Commissione dal sindaco di Bari, dottor Emiliano);
illecito smaltimento dei rifiuti con conseguente contaminazione di vaste aree a seguito dell'utilizzo di cave abbandonate o dismesse;
presenza di una criminalità mafiosa endogena, in particolare nel territorio del foggiano, che è penetrata nel settore dei rifiuti, come dimostrano le recenti indagini svolte dalla procura distrettuale di Bari.
In data 3 aprile 2012 il Gip presso il tribunale di Bari, nella persona del dottor Giovanni Anglana, ha emesso un'ordinanza applicativa di custodia cautelare di particolare interesse per la Commissione per un duplice ordine di motivi:
da un lato, sono stati acquisiti gravi indizi in merito all'esistenza di associazioni a delinquere di stampo mafioso riconducibili alla fattispecie delineata dall'articolo 416-bis del codice penale (sul punto infatti, nel corso delle missioni in Puglia, precedenti alla discovery degli atti dell'indagine, sono state fornite dagli auditi informazioni talora contraddittorie, essendo stata anche messa in dubbio la presenza di una criminalità organizzata di stampo mafioso endogena sul territorio pugliese);
dall'altro, le indagini hanno, allo stato, dimostrato una forte ingerenza ed un forte condizionamento operato dagli indagati nei confronti della società Amica Spa, società a capitale pubblico che si occupa nel comune di Foggia della raccolta dei rifiuti solidi urbani, e di talune cooperative sociali alla stessa collegate. Le attività estorsive sarebbero state commesse con metodo mafioso ed al fine di agevolare le attività delle associazioni mafiose di appartenenza.
Le indagini, nella prospettazione accusatoria, riconoscono l'esistenza di associazioni di tipo mafioso (note come Batterie, formatesi per scissione dall'originaria compagine mafiosa denominata Società Foggiana), attive in territorio dauno, i cui membri si sarebbero resi responsabili, agendo d'intesa tra loro, ovvero in modo sostanzialmente autonomo gli uni dagli altri, di taluni episodi criminosi caratterizzati dal ricorso al metodo mafioso, che si sono verificati all'interno della società Amica Spa e delle cooperative sociali alla stessa collegate, con particolare riferimento alla Centesimus Annus e alla Fiore Service.
In sostanza, vi sarebbe stata una lunga serie di estorsioni ai danni del comune di Foggia, della ditta municipalizzata di raccolta dei rifiuti solidi urbani in città, la «Amica», e della cooperativa «Centesimus Annus», delegata dall'amministrazione comunale alla gestione del verde pubblico e dei parcheggi nel capoluogo dauno.
Le indagini hanno quindi disvelato le infiltrazioni della mafia foggiana nel tessuto amministrativo della città e nelle sue aziende produttive.
La forma che ha assunto la penetrazione delle organizzazioni criminali di stampo mafioso nel ciclo dei rifiuti è da considerarsi parassitaria in quanto è consistita nella massiccia introduzione nel settore dei rifiuti di personale privo di qualifica e competenza e perciò inerte, con la conseguenziale paralisi dell'efficienza del servizio.
Come si può pensare che funzioni un servizio nel quale operano soggetti appartenenti alla criminalità organizzata di stampo mafioso
e che è fortemente condizionato sia dal punto di vista organizzativo che gestionale?
Quanto al distretto di Lecce, diverse imprese sono oggi attenzionate dalla prefettura in quanto direttamente od indirettamente riconducibili a soggetti presumibilmente affiliati o vicini ad associazioni mafiose locali, il che evidenzia l'attualità del pericolo inerente ad una pervasiva ingerenza di organizzazioni criminali nel settore dei rifiuti.
Sebbene con riferimento al distretto di Lecce le informazioni fornite dagli auditi paiano in taluni casi divergenti, soprattutto con riferimento alle infiltrazioni della criminalità organizzata di stampo mafioso (così come già registrato nell'approfondimento relativo al distretto di Bari), tuttavia talune indagini che hanno riguardato sia il traffico transregionale che quello transnazionale dei rifiuti hanno fornito uno spaccato, necessariamente parziale, ma emblematico, della ingerenza di associazioni criminali, locali e non, nel settore dei rifiuti.
La Commissione ha acquisito un provvedimento giudiziario (in particolare la sentenza n. 278 emessa dalla Corte d'appello di Lecce il 21 febbraio 2011) nel quale è stato riconosciuto il reato di traffico illecito di rifiuti aggravato dal metodo mafioso.
La condotta contestata agli imputati è di avere commesso il reato di traffico illecito di rifiuti avvalendosi delle condizioni di cui all'articolo 416-bis del codice penale, attraverso la pressoché costante evocazione della figura di un soggetto, capo riconosciuto della frangia mafiosa appartenente alla «sacra corona unita» operante in quel territorio, che avrebbe consentito alle imprese del gruppo «Rosafio» di intimidire, anche in virtù di rapporti di corruttela e clientelari con le forze dell'ordine e con i gestori degli impianti, le imprese concorrenti imponendo così una sorta di monopolio nell'attività di smaltimento dei rifiuti.
Il dato particolarmente significativo, emerso anche in questa vicenda, è rappresentato dall'inserimento di soggetti riconducibili alla criminalità organizzata nelle imprese del settore. La caratura criminale di alcuni di essi si traduce a volte in una vera e propria ingerenza sulle dinamiche aziendali, specie nella gestione e controllo delle risorse organiche.
Sono infatti in corso, secondo quanto riferito sia dal prefetto che dal questore di Lecce, accertamenti finalizzati a verificare in che misura sussistano interessenze dei clan di stampo mafioso nel controllo del settore dei rifiuti attraverso società apparentemente riferibili ad altri soggetti.
La Puglia, purtroppo, si caratterizza, come si è detto, perché il territorio è oggetto di sfruttamento non solo da parte delle organizzazioni locali, ma anche da parte delle organizzazioni criminali di stampo mafioso operanti in altre regioni.
In questa sede, dunque, quello che interessa al fine di comprendere la situazione realmente esistente sul territorio pugliese non è solo di capire se vi siano organizzazioni endogene che presentino le connotazioni tipiche della criminalità organizzata di stampo mafioso; quello che è importante comprendere è se, nel momento in cui le organizzazioni criminose che operano sul territorio pugliese si interfacciano con la camorra napoletana o con la 'ndrangheta calabrese (o
con altre associazioni che presentino caratteristiche riconducibili all'articolo 416-bis del codice penale), consentano l'introduzione nel territorio pugliese di quelle stesse modalità di sfruttamento e inquinamento del territorio tipiche delle organizzazioni di stampo mafioso (devastazione del territorio, eliminazione della concorrenza, riciclaggio dei proventi illeciti attraverso investimenti nel settore dei rifiuti, sfruttamento delle cave abbandonate o dismesse per farvi convogliare sia rifiuti prodotti in loco, sia rifiuti provenienti da altre regioni).
A questa domanda si deve rispondere affermativamente, e di questo si ha ampia dimostrazione dalle indagini segnalate dai magistrati.
Di questa situazione è perfettamente consapevole il presidente della regione Puglia che ha stipulato, in tale qualità, protocolli d'intesa con le forze di polizia e gli organi di controllo al fine di intensificare le forme di tutela ambientale, sia in via repressiva che in via preventiva.
Nel corso dell'audizione ha dichiarato che «di sicuro la «dittatura delle discariche» che vorrebbe imporsi sul territorio pugliese ci ha reso territori a disposizione sia dei traffici leciti che dei traffici illeciti, pattumiera del mondo e abbiamo provato a mettere un punto e a capovolgere la situazione».
I dati forniti, in particolare, dalla magistratura pugliese, con riferimento alle indagini concernenti il traffico illecito di rifiuti dalla Campania alla Puglia, consentono di elaborare una serie di considerazioni in merito alle infiltrazioni della criminalità organizzata nel ciclo dei rifiuti in Puglia.
Il fenomeno della criminalità organizzata in relazione allo smaltimento dei rifiuti in Puglia risulta evidente dal fatto che in questo territorio vengano trasferiti in modo illecito ed organizzato i rifiuti provenienti dalla regione Campania, ed a mezzo di organizzazioni criminali radicate in quel territorio.
Il fatto che si tratti di associazioni criminali nate in Campania ed ivi operanti non significa che, nel momento in cui operano nel contesto territoriale pugliese, la sola diversa dimensione territoriale del fenomeno abbia rilievo rispetto al fatto che il fenomeno stesso si manifesti come espressione di criminalità organizzata.
Merita poi di essere approfondita la questione se tali associazioni criminali si avvalgano nel territorio pugliese di soggetti genericamente disponibili allo svolgimento di attività illecite e rudimentalmente aggregati in relazione a contingenti azioni illegali, ovvero se anche la sponda dell'organizzazione criminale campana sia a sua volta, ed essa stessa, una vera e propria organizzazione criminale.
Da questo punto di vista, le risultanze dell'azione repressiva nella regione Puglia (secondo quanto dichiarato alla Commissione dal procuratore della Repubblica di Bari, dottor Laudati) non hanno portato ad un accertamento pieno dell'esistenza di organizzazioni criminali strutturate nel senso di un totalizzante controllo del territorio, come avviene invece nelle tre regioni sicuramente permeate dalla presenza radicata di associazioni di stampo mafioso (Calabria, Sicilia e Campania).
Tuttavia il fenomeno è stato ampiamente investigato ed è divenuto tema di importanti procedimenti dai quali è emersa comunque una forte aggregazione tra gli adepti dei sodalizi presi di mira, come sopra già evidenziato.
Tali sodalizi, pur non avendo acquistato sempre una forza tale da potere di per sé funzionare avvalendosi di una forza di intimidazione e di omertà proveniente dal vincolo associativo, tuttavia hanno importato, per così dire, sul territorio, le caratteristiche di tal fatta che qualificano le organizzazioni campane.
Fungendo da base materiale per l'operato delle organizzazioni campane hanno provocato, sia pur in modo indiretto, l'espansione dell'efficacia del metodo mafioso nel ciclo illecito dei rifiuti, per come dimostrato dalla circostanza che fenomeni quali mega-interramenti di rifiuti o esportazioni degli stessi in paesi esteri con strumentazione imponente nel territorio pugliese, necessita di una rete di accordi, di complicità, di connivenze, di controllo del territorio, di controllo del settore dei trasporti, che sono tutti aspetti peculiari delle organizzazioni mafiose.
In sostanza, conclusivamente, la situazione che si è avuto modo di constatare è che, sebbene il fenomeno dell'organizzazione criminale di stampo mafioso sul territorio pugliese non sia stato giudizialmente accertato nelle sue reali dimensioni (lo stesso procuratore Laudati ha fatto riferimento alla distanza, in campo processuale, che esiste tra «il fatto» e «l'accertamento del fatto»), tuttavia vi sono associazioni criminali che fanno da sponda alla camorra, ne consentono l'espansione sul territorio pugliese che, per le sue caratteristiche geomorfologiche, si presta al traffico illecito di rifiuti così come per anni effettuato dalle associazioni camorristiche campane in Campania (attraverso tombamenti o interramenti in cave abbandonate o dismesse, spargimento sui terreni di rifiuti anche pericolosi).
La Commissione ha acquisito informazioni circa la pendenza di indagini attinenti precipuamente ai legami tra la criminalità pugliese e la criminalità organizzata delle regioni vicine.
Con riferimento ai reati ambientali cd. ordinari, i dati forniti dalla magistratura e dalle forze dell'ordine sono più che inquietanti e forniscono lo spaccato di un territorio sistematicamente violentato sia per le numerosissime discariche abusive accertate, sia per le non corretta gestione di quelle «autorizzate».
Vi sono numerose aree in Puglia, per così dire, professionalmente asservite alla ricezione illecita di rifiuti, in particolare le cave dismesse e gli ampi territori disabitati ove risulta particolarmente facile creare discariche abusive anche di notevoli dimensioni.
Ma anche con riferimento alle discariche «autorizzate» la Commissione ha avuto modo di constatare come molte siano periodicamente sequestrate dall'autorità giudiziaria in relazione a violazioni nell'attività di gestione.
Non può non darsi voce al vero e proprio grido di aiuto che talune comunità locali hanno elevato nel corso delle missioni svolte dalla Commissione in Puglia per le inaccettabili condizioni di vita in cui si
trovano a causa della presenza di discariche fortemente maleodoranti, oltre i limiti della normale tollerabilità.
È evidente che, laddove vi fosse una corretta gestione della discarica, sarebbero del tutto ingiustificabile le esalazioni denunciate.
Ci si riferisce in particolare alle esalazioni odorigene che promanano dalla discarica gestita dalla società Vergine Spa e che investono diversi comuni della zona. La discarica Vergine Spa è stata al centro di indagini condotte dalla procura di Milano e dalla procura di Lanciano in merito al traffico illeciti di rifiuti provenienti dal centro e dal nord Italia e smaltiti in detta discarica.
È più che lecito quindi chiedersi se i rifiuti conferiti siano effettivamente quelli per i quali la discarica è stata autorizzata, se la diversa tipologia di rifiuti abbia influito sulle esalazioni odorigine, e in quale misura, se, ancora, tali esalazioni siano nocive per la salute.
Una pediatra del comune di Lizzano (uno dei comuni vicini alla discarica) ha registrato diversi e anomali casi di ipertiroidismo congenito e malattie respiratorie nei bambini al di sotto di cinque anni. La testimonianza della dottoressa deve rappresentare un punto di partenza per studi epidemiologici più approfonditi, in quanto i dati acquisiti da chi opera sul territorio da anni non devono essere sottovalutati e devono, invece, essere ritenuti preziosi per chi intenda realmente comprendere quale sia la situazione sanitaria ed ambientale della zona.
In questo, come in altri casi, è la stessa dignità umana ad essere calpestata dall'indifferenza di coloro che avrebbero il potere e il dovere di intervenire.
Deve segnalarsi che è stato richiesto alla regione di trasmettere eventuali provvedimenti adottati con riferimento alla predetta discarica, ma non si è avuta risposta.
Situazioni a dir poco paradossali riguardano la discarica di Manduriambiente e il termovalorizzatore di Massafra. La discarica gestita dalla società Manduriambiente Spa è munita di una piattaforma per la separazione di rifiuti idonea alla produzione di CDR che, teoricamente, avrebbe dovuto essere smaltito nel termovalorizzatore di Massafra. Il dato particolare, del tutto incredibile, è che il cdr prodotto non è adeguato per il termovalorizzatore di Massafra, sicché, evidentemente, viene destinato altrove. Il tutto, è evidente, incide sensibilmente sui costi di smaltimento che poi vanno a gravare sui cittadini.
Ed ancora, discariche nella fase post mortem, risultano totalmente abbandonate e, cosa ancora più grave, continuano ad essere destinatarie di rifiuti ivi smaltiti illecitamente.
Gli illeciti ambientali ordinari sono numerosi e in taluni casi sono resi possibili da complicità di soggetti che operano all'interno delle pubbliche amministrazioni, laddove dietro una parvenza di regolarità formale si cela una sostanza di illegalità e di totale dispregio per l'ambiente.
Va segnalato che uno dei principali procedimenti (in materia di pubblica amministrazione) avviati dalla procura della Repubblica
presso il tribunale di Bari veda tra gli imputati l'ex assessore regionale alla sanità, Alberto Tedesco, il quale, secondo l'impostazione accusatoria, avrebbe condizionato, in concorso con altri e sulla base di accordi corruttivi, la gara indetta dall'Asl di Bari per il servizio triennale di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti speciali prodotti nelle strutture sanitarie ed amministrative dell'ente. In relazione a tale vicenda sono state emesse misure cautelari personali.
Pur tenendo conto del fatto che il procedimento è ancora in corso, deve rilevarsi come il condizionamento degli appalti pubblici per l'affidamento dei servizi di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti rappresenti la base per l'inefficienza successiva dei servizi medesimi. Il rispetto delle regole nelle procedure d'appalto è funzionale proprio all'individuazione dell'impresa che offre le migliori garanzie di professionalità e competenza.
Nel caso di specie, i fatti appaiono particolarmente gravi per un duplice ordine di motivi: da un lato, poiché risulta imputato l'ex assessore regionale alla sanità (nei cui confronti è stata emessa una misura cautelare personale), e dunque un soggetto con un ruolo istituzionale di rilievo all'interno della regione; dall'altro, perché le condotte contestate hanno riguardato lo smaltimento dei rifiuti ospedalieri prodotti dall'Asl di Bari, quindi di quantitativi considerevoli di rifiuti, molti dei quali da qualificarsi pericolosi.
Occorre, ovviamente, attendere l'esito del processo ma, al tempo stesso, deve darsi atto che gli atti di indagine sono già passati al vaglio del giudice nella fase cautelare.
Pur apprezzando lo sforzo della regione di stipulare accordi e convenzioni con le forze di polizia per intensificare i controlli sul territorio, deve però rilevarsi l'insufficienza di un approccio esclusivamente investigativo rispetto alla tutela dell'ambiente, sia perché, come più volte evidenziato, il territorio pugliese è difficilmente controllabile in modo capillare, sia perché l'origine dell'illegalità si annida anche e soprattutto nella mancata attuazione di un ciclo virtuoso dei rifiuti. È evidente quindi l'importanza per la Commissione di analizzare e valutare quale sia lo stato di attuazione della programmazione regionale.
La Commissione, ancora una volta, ha verificato non solo la sostanziale inutilità ma anche le conseguenze negative del commissariamento ai fini del superamento della situazione di emergenza, che si protrae da anni e che pertanto non può più nemmeno definirsi tale. Nuovamente si è constatata la stretta connessione tra gestione commissariale, mancanza di una politica ambientale e deresponsabilizzazione degli enti locali.
Si tratta di un'emergenza che alimenta se stessa e contro la quale sono state espresse dure parole anche dal presidente della regione, Nichi Vendola, il quale ha sottolineato, in sede di audizione, la necessità del superamento della fase di commissariamento.
Il piano rifiuti della regione Puglia non prevede più la realizzazione dei tre impianti di incenerimento originariamente previsti ed introduce una serie di attività finalizzate al rispetto della direttiva comunitaria n. 2008/98.
La politica adottata dalla regione è quindi quella di eliminare in radice le condizioni che rendono la Puglia permeabile ai traffici illeciti di rifiuti:
intensificando i controlli;
limitando al massimo l'utilizzo delle discariche;
incentivando la raccolta differenziata;
destinando alla termovalorizzazione solo il combustibile derivato dai rifiuti;
realizzando un'impiantistica che privilegi il riciclo e il riutilizzo dei materiali.
Il piano rifiuti e la politica ambientale, dal punto di vista della programmazione, è qualcosa di totalmente diverso, però, rispetto alla concreta attuazione delle misure previste nel piano.
È sufficiente osservare come la raccolta differenziata, passaggio fondamentale per il riciclo dei rifiuti e per la diminuzione dei rifiuti da destinare in discarica, si attesti su livelli bassissimi.
A fronte di manifestazioni di principio del tutto condivisibili, finanche scontate (ossia che le discariche debbano rappresentare la soluzione residuale per i rifiuti non altrimenti smaltibili, che il riciclo sia indispensabile per la riduzione dei quantitativi di rifiuti, che la produzione di compost possa rappresentare una valida soluzione per il riutilizzo della frazione organica), vi è una realtà profondamente diversa, caratterizzata, in sostanza, dall'utilizzo quasi esclusivo delle discariche per lo smaltimento dei rifiuti.
Come possa questo definirsi «ciclo dei rifiuti» non è dato sapere.
La situazione impiantistica è sostanzialmente ferma, anche se il presidente della regione ha sottolineato come la responsabilità sia da ascrivere anche ai numerosi ricorsi amministrativi pendenti che avrebbero «appesantito» le procedure per la messa in esercizio degli impianti. Di certo, però, non può essere questa l'unica causa del mancato avvio di un ciclo virtuoso dei rifiuti.
Si è inoltre registrato una sorta di scollamento tra la regione e gli enti locali nella concreta attuazione della raccolta differenziata.
Gli enti locali denunciano il disinteresse sostanziale della politica regionale, mentre la regione sottolinea come vi sia una resistenza delle comunità locali ad avviare la raccolta differenziata.
Il dato di sintesi è che il piano regionale sul ciclo dei rifiuti, le pur apprezzabili affermazioni di principio in materia ambientale, il perseguimento di obiettivi ambiziosi nell'incrementazione della raccolta differenziata, la limitazione nell'uso delle discariche per lo smaltimento dei rifiuti, sono, allo stato, poco più che slogan.
Va poi affrontata in sede di conclusioni la problematica attinente all'inquinamento derivante dall'insediamento industriale che insiste nella provincia di Taranto.
Nell'indagine in corso presso la procura di Taranto in merito all'inquinamento presumibilmente riconducibile all'attività dell'Ilva, i dati acquisiti nel corso dell'incidente probatorio, sia per ciò che concerne la perizia chimica che per ciò che concerne la perizia sanitaria (pur fortemente contestati dall'Ilva, come sopra evidenziato), sono dati allarmanti dei quali i ministeri interessati dovranno tenere conto.
Il procuratore della Repubblica di Taranto, a fronte dell'enormità dell'inquinamento, accertato, ha sollecitato gli organi istituzionali, a partire dal Ministero dell'ambiente fino ad arrivare al sindaco di Taranto, per denunciare la gravità della situazione (che avrebbe già dovuto essere nota al Ministero in quanto ente istituzionalmente competente per il procedimento di bonifica del SIN di Taranto) al fine di sollecitare interventi a tutela della salute delle popolazioni del posto.
L'inquinamento da diossina di determinate zone era già emerso nel corso di un'indagine che aveva portato all'abbattimento di numerosi capi di bestiame che avevano brucato l'erba in un territorio inquinato, di talché l'inquinante era entrato nella catena alimentare con potenziali effetti dirompenti per la propagazione della diossina.
La reazione all'inquinamento da diossina non può evidentemente limitarsi ad una mera previsione di divieti, ma richiede invece l'esercizio di veri e propri obblighi di azione volti a realizzare la concreta bonifica dei siti inquinati.
Il semplice divieto di fruizione della zona inquinata non è munito di adeguata efficacia, siccome non tiene conto della capacità dell'inquinante di propagarsi dal terreno propriamente inquinato verso le direzioni e gli organismi più disparati.
D'altro canto la previsione di divieti appare in alcuni casi un rimedio puramente illusorio. Basti pensare all'uopo alle perimetrazioni di zone marine inquinate in cui si impone il divieto di pesca che non tiene conto del transito dei pesci da e per quelle zone.
Così anche per quanto riguarda il territorio deve tenersi conto della circostanza che il divieto non si risolve in una militarizzazione delle aree, e perciò ad esso non corrisponde la certezza della sua sicura osservanza.
Il caso relativo all'inquinamento del quartiere Tamburi di Taranto e della zona, più in generale, della città è emblematico di come in Italia il settore delle bonifiche in generale e delle bonifiche dei SIN in particolare, sia un settore assolutamente inefficiente.
Senza entrare nelle singole responsabilità di enti, territoriali e non, non può non rilevarsi come, sostanzialmente, le attività di bonifica non siano state avviate proficuamente in nessuno dei siti di interesse nazionale.
Quando sono state percorse le vie ordinarie ci si è smarriti in un ginepraio di conferenze di servizi, pareri, interlocuzioni sterili tra enti
spesso inutili, fasi propedeutiche e preparatorie che non sono approdate a niente, sicché si può con onestà intellettuale affermare che «è tutto fermo».
Ciò potrebbe essere anche un dato anodino laddove fosse accompagnato da un'inerzia formale e sostanziale; viceversa si riscontra una intensa attività (nella maggior parte anche con ingenti costi sostenuti dalle pubbliche amministrazioni) funzionale alla realizzazione di interessi diversi rispetto alla tutela dell'ambiente.
La situazione peggiora quando viene dichiarato lo stato di emergenza e si procede al commissariamento, terreno fertile per l'infiltrazione della criminalità, e ci si riferisce non solo alla criminalità organizzata, ma alla criminalità di chi, ben sapendosi muovere all'interno di questo settore, riesce a camuffare sotto un'apparente legalità e sotto un'apparente regolarità amministrativa una serie di vere e proprie ruberie o di truffe ai danni delle pubbliche amministrazioni.
Queste affermazioni sono confortate da una serie di dati acquisiti nell'ambito degli approfondimenti che la Commissione ha effettuato con specifico riferimento al settore delle bonifiche su numerose aree (diversi sono anche i procedimenti penali in fase di indagine che riguardano taluni dei siti) e che sono oggetto di una specifica relazione in corso di stesura.
A prescindere dalla questione, che verrà accertata nel processo, in merito alla riconducibilità o meno all'attività industriale dell'Ilva della situazione di grave inquinamento che si registra nella zona, il dato certo è che la situazione è gravissima non solo dal punto di vista ambientale, ma anche da quello sanitario, che necessita dell'intervento di attività di bonifica e di ripristino ambientale e che non è possibile tergiversare oltre, né è oltremodo tollerabile la situazione di sostanziale immobilismo rispetto alla soluzione, o quanto meno, al tamponamento delle problematiche ambientali della zona.
Un immobilismo tanto più preoccupante quanto più celato da una apparente e inconcludente movimentazione di atti, documenti, pareri, analisi, controanalisi.
Il problema esiste ed esiste da diversi anni ed è del tutto ingiustificabile il degrado ambientale nel quale è stato trascinato il territorio.
Ed ancora, non si può sottacere la assurda vicenda relativa al rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nei confronti dell'Ilva, una vicenda emblematica della approssimazione con cui problematiche gravissime vengano affrontate dagli organi di governo.
Dopo una lunga attività di istruttoria, avviata nel 2007, il provvedimento di rilascio dell'Aia da parte del Ministero dell'ambiente è stato emanato il 4 agosto 2011 e pubblicato in gazzetta il 23 agosto 2011. La notifica del gestore è avvenuta con nota del 31 agosto 2011 con la quale l'Ilva chiedeva, tra l'altro, un incontro esplicativo con gli organi di controllo dell'Ispra relativamente alle definizione delle
modalità tecniche per la piena applicazione del piano di monitoraggio e controllo.
Con decreto del 15 marzo 2012, e quindi a distanza di pochi mesi dal rilascio dell'autorizzazione, il Ministero dell'ambiente ha disposto l'avvio del procedimento amministrativo per il complessivo riesame dell'Aia, in ragione dei dati emersi dalla perizia effettuata in sede di incidente probatorio nel corso del procedimento penale pendente presso la procura di Taranto ed avente ad oggetto una serie di reati riconducibili, secondo l'ipotesi accusatoria, all'attività dell'Ilva. È lecito quindi domandarsi cosa sia potuto accadere, in pochi mesi, nella situazione di fatto oggetto degli approfondimenti effettuati, in primo luogo, da parte dei componenti della Commissione Aia e, in secondo luogo, da parte dei periti del tribunale. La risposta è quasi scontata. In realtà non è accaduto nulla di diverso ma sono stati diversamente valutati gli stessi fenomeni.
L'apertura della procedura per il riesame complessivo dell'Aia, e quindi la messa in discussione dell'attività svolta dai competenti soggetti del Ministero dell'ambiente, avrebbe dovuto comportare, secondo banali principi di consequenzialità logica, l'individuazione per il riesame dell'Aia di soggetti diversi rispetto a quelli che avevano già composto la Commissione. Non risulta che ciò sia avvenuto, se non in minima parte. Non è certo compito della Commissione valutare l'idoneità o l'inidoneità dei soggetti ai quali è affidato un incarico di tale delicatezza, che impone, come è evidente, la presenza di professionalità altamente qualificate e di esperienza, ma qualche osservazione è doveroso esprimerla.
Ci si sarebbe aspettati che il Ministero, dopo avere messo in discussione l'Aia, mettesse in discussione i suoi organi. Non appare giustificata l'assenza del Ministero dell'ambiente all'udienza di incidente probatorio, nel corso della quale sono stati esaminati, nel contraddittorio delle parti processuali, i numerosi periti nominati dal Gip di Taranto. In quella sede, il Ministero dell'ambiente, oltre a dare un segnale importante della vicinanza delle istituzioni e del Governo all'attività della magistratura ed, ancor di più, alle popolazioni del luogo, avrebbe potuto acquisire direttamente informazioni di sicuro rilievo ai fini della istruttoria.
Conclusivamente, la situazione ambientale della regione Puglia è critica per ragioni riconducibili ad una serie di fattori quali il mancato avvio di un ciclo dei rifiuti in conformità a quanto previsto nel piano regionale, l'infiltrazione della criminalità organizzata di stampo mafioso, la consumazione di numerosi illeciti, per così dire, comuni in materia ambientale, la ricezione di rifiuti che provengono da altre regioni d'Italia nel contesto di traffici illeciti che vedono coinvolte organizzazioni criminali che operano in Puglia.
È quindi fondamentale che si proceda ad una rigorosa applicazione delle norme, al potenziamento dei sistemi di controllo esterni ed interni, alla formazione di polizia giudiziaria specializzata ed attrezzata per questo tipo di indagini, alla applicazione delle sanzioni penali (le sole che hanno una efficacia specialpreventiva e general
preventiva), alla possibilità per l'autorità giudiziaria di utilizzare tutti gli strumenti investigativi che il codice di procedura penale prevede per la ricerca della prova.
Ma, ancora prima, la strada da seguire è quella, evidentemente, di avviare in modo deciso un corretto ciclo dei rifiuti, condizione questa indispensabile non solo affinché la Puglia possa gestire il settore nel rispetto dei principi comunitari e della legge statale, ma anche affinché possa porsi un freno al dilagare di fenomeni di inquinamento che, alla lunga, sono destinati a trasformare la Puglia intera in una sorta di «discarica» a servizio di tutti coloro che operano lecitamente ed illecitamente.
NOTE:
(1) Il prefetto ha inviato alla Commissione una serie di documenti (doc. n. 495/1 - 495/2 - 495/3 - 519/1 - 519/2) nei quali è stata rappresentata la situazione del ciclo dei rifiuti nella provincia di Bari, il registro delle imprese di Bari che operano nel settore nonché l'elenco degli impianti attivi esistenti nel territorio provinciale.
(2) In tale data il sindaco ha anche prodotto una relazione concernente il ciclo dei rifiuti nella città di Bari (doc. 639/1).
(3) Doc. n. 513/2.
(4) Doc. n. 519/2.
(5) Doc. n. 645/1.
(6) Tale indagine sarà oggetto di specifica trattazione nel paragrafo relativo al traffico transfrontaliero di rifiuti (parte quarta, capitolo tre, par. 3.2).
(7) Doc. n. 924/3.
(8) Doc. n. 643/1.
(9) Doc. n. 658/1.
(10) Doc. n. 637/1.
(11) Doc. n. 638/1.
(12) Doc. n. 963/2.
(13) Doc. n. 553/1.
(14) Doc. n. 553/1.
(15) Doc. n. 641/1.
(16) Doc. n. 515/4.
(17) Doc. n. 646/1.
(18) Doc. n. 472/1.
(19) Doc. n. 1025/2.
(20) Doc. n. 1025/2.
(21) Doc. n. 1025/2.
(22) Doc. n. 472/1.
(23) Doc. n. 472/1.
(24) Doc. n. 552/2.
(25) Doc. n. 645/1.
(26) Doc. n. 542/3.
(27) Doc. n. 527/2.
(28) Doc. n. 527/3.
(29) Doc. n. 367/2.
(30) Doc. n. 367/2.
(31) Doc. n. 580/1.
(32) Doc. n. 895/1.
(34) Doc. n. 939/2.
(34-bis) Il presidente aveva fatto riferimento ad un'ordinanza sindacale con la quale veniva interdetto il gioco ai bambini su un'area vicino all'Ilva.
(35) Doc. n.1159/2.
(35-bis) A mero titolo esemplificativo, si riportano le conclusioni diverse riportate in uno studio realizzato dall'OSHA (Occupational Safety and Health Administration), agenzia federale dello «United States Department of Labor»:
«Health Risks Associated With Occupational Exposure to Beryllium and Its Compounds.
Some workers exposed to beryllium or beryllium compounds may develop beryllium sensitization, chronic beryllium disease (CBD, also sometimes known as berylliosis), lung cancer, or skin disease (Ex. 4-1). Acute beryllium disease, a pneumonitis resulting from high beryllium exposure, is now considered rare (Ex. 4-9).
Inhalation appears to be the primary route of exposure to beryllium. However, dermal contact can result in a beryllium-related skin disease characterized by a rash, or wart-like bumps (Ex. 4-15). Questions have been raised regarding the contribution of dermal exposure, ingestion, and genetic factors to the risk of sensitization and CBD. (e.g., Exs. 4-2 and 4-14).»
(36) Doc. n. 580/1.
(37) Doc. n. 1072/1.
(38) Doc. n. 1130/1.
(39) Doc. n. 1137/2.
(40) Doc. n. 1178/1.
(42) Doc. n. 502/2.
(43) Doc. n. 576/1.
(44) Doc. n. 502/2.
(45) Doc. n. 571/1.
(46) Doc. n. 542/2.
(47) Doc. n. 654/1.
(48) Doc. n. 1047/1.
(49) Doc. n. 939/2.
(50) Doc. n. 678.
(51) Secondo il TAR, dunque, «la Società avrebbe dovuto accogliere i conferimenti di rifiuti esclusivamente nei limiti e con le modalità previste dal Protocollo di intesa. Il TAR Lazio riconosce altresì che il Protocollo consente il conferimento di rifiuti nella misura e nella tipologia indicate prevedendo modalità tecnico-operative idonee a garantire in ciascuna della fasi di prelievo (articolo 4), trasporto (articolo 5) e conferimento dei rifiuti (articolo 6) la esclusione e/o minimizzazione degli impatti sul territorio pugliese e la tutela della salute dei cittadini. Ed è chiaro che sarebbe illogico consentire di superare tali regole ammettendo la possibilità di conferire rifiuti in Puglia a prescindere dal rispetto del citato Protocollo di intesa».