Doc. IV-ter, n. 10-A





Onorevoli Colleghi! La Giunta riferisce su una richiesta di deliberazione pervenuta il 23 luglio 2009 dall'ufficio Gip del tribunale di Taranto, in relazione al procedimento penale n. 11664/04 RGNR e n. 3466/07 R GIP a carico del deputato Carmine Santo Patarino.
La vicenda si inserisce nel quadro di un prolungato contrasto in ambito locale fra il querelante, l'ex senatore Nicola Putignano, e il deputato e consigliere comunale di Castellaneta (Taranto) Carmine Santo Patarino.
Il Putignano, nel ruolo di presidente del cda della società «Nuova Concordia», era impegnato nella realizzazione di un ampio polo turistico nell'area di Castellaneta, lamentando però scarsa collaborazione o veri e propri tentativi dilatori e ostruzionistici rispetto all'opera da parte dell'amministrazione del comune o di suoi specifici rappresentanti, a partire dal Patarino.
In particolare, in una lettera del 10 febbraio 2004, indirizzata al sindaco e ai capigruppo consiliari di Forza Italia e Alleanza Nazionale (quest'ultimo, per l'appunto, Carmine Santo Patarino), il Putignano si esprimeva in questi termini: «non vorremmo che tutto ciò fosse calcolo doloso, perché si teme che con il completamento dei programmi, in larga parte compresi nel noto Contratto sottoscritto con il Governo italiano, si renderanno definitivi molti dei rapporti di lavoro al momento ancora precari e molti così potranno finalmente essere sottratti al ricatto del bisogno, annullando totalmente le ragioni della sopravvivenza politica di personaggi che impropriamente possono, nella attuale situazione, ancora occupare posti in sedi istituzionali per loro sovrastanti».
Nell'aprile 2004, il Patarino presentava denuncia-querela proprio in relazione a quest'ultimo passaggio, ritenendolo rivolto contro la sua persona in quanto unico componente dell'amministrazione comunale di Castellaneta ad appartenere a «un'istituzione sovrastante», ossia la Camera dei deputati.
Nella denuncia-querela Carmine Patarino faceva riferimento al fatto che «il contenuto della missiva [del Putignano era] di natura diffamatoria, calunniosa e con intimidazioni minacciose che, a parere del sottoscritto, vanno interpretate come un volere estorcere provvedimenti amministrativi in suo favore. Evidentemente, l'ex senatore Putignano, pretende di poter ottenere, con minacce, tutto quanto torna utile al Gruppo da lui stesso rappresentato». E ancora: «[l'ex senatore non gradisce] che da parte di amministratori onesti e corretti vi sia rispetto per la legge e per la trasparenza amministrativa, non bene accetta da privati quale è il Gruppo Nuova Concordia abituati da sempre a fare il buono e il cattivo tempo per i loro interessi aziendali». A tali affermazioni ha fatto seguito una denuncia del Putignano, nella quale, a sua volta, l'imprenditore si diceva offeso dei contenuti della querela di Carmine Patarino. Tale denuncia - la seconda in ordine di tempo e sottoscritta, si ripete, da Putignano - ha dato origine all'imputazione del procedimento penale n. 11664/04 RGNR per calunnia (in relazione alla pretesa falsa incolpazione per i reati di estorsione, minaccia e corruzione) e diffamazione.
Questo procedimento quindi ha avuto un risvolto procedurale imprevisto. Dal medesimo fatto storico l'autorità giudiziaria ha ritenuto di far scaturire due diverse imputazioni penali, una per diffamazione, l'altra per calunnia.
Avendo il difensore del Patarino poi eccepito nel giudizio l'insindacabilità per la sola accusa di diffamazione, il giudice ha già condannato il deputato a 16 mesi di reclusione per calunnia (tre anni di pena base ridotti per le attenuanti generiche e il rito abbreviato), mentre ha rimesso alla Camera - respingendo l'eccezione di insindacabilità - la decisione sul capo relativo alla diffamazione. Sicché, al momento, il procedimento pende in due tronconi, essendo sospeso quello di primo grado in attesa della deliberazione della Camera dei deputati ed essendo in corso invece quello d'appello sull'imputazione di calunnia.
La Giunta ha udito comunicazioni del Presidente Castagnetti nella seduta del 23 settembre 2009 e ha poi esaminato il caso nel merito nelle sedute del 14 e 21 ottobre 2009, ascoltando anche il deputato interessato, il quale si è avvalso altresì della facoltà di depositare una memoria, che i componenti hanno potuto valutare (il resoconto delle predette sedute è, per migliore comprensione, allegato alla presente relazione). La riflessione del collegio si è sviluppata su due versanti.
Per un verso, è apparso inconsueto che - per un atto tutto sommato ordinario e prevedibile nei casi di acceso scontro politico e personale tra esponenti molto in vista di una comunità - sia potuta scaturire una pena così pesante per un titolo di reato francamente esagerato.
In sede di relazione, è stato infatti evidenziato che - ai fini della calunnia (articolo 368 del codice penale) - i reati asseritamente attribuiti dal Patarino al Putignano tali effettivamente non erano. Il lessico della polemica politica non è infatti sempre sovrapponibile a quello tecnico-penale. Senza contare che il giudice è incorso in un chiaro errore di diritto quando - agli scopi della trasmissione degli atti alla Camera ai sensi dell'articolo 3, comma 4, della legge n. 140 del 2003 - ha distinto le imputazioni penali anziché considerare il fatto unitario come una «opinione espressa» (come reca l'articolo 68, primo comma, della Costituzione).
Per l'altro verso, è emerso che l'ex senatore Putignano non è un quisque de populo, gratuitamente e proditoriamente svillaneggiato dal potente di turno. Da quel che risulta dai copiosi atti pervenuti alla Giunta (sia consentito per sintesi rinviare al Corriere del Mezzogiorno del 12 giugno 2004, pagina 8), egli è a capo di un affermato gruppo imprenditoriale che - con ingentissimi fondi comunitari - ha realizzato un cospicuo insediamento turistico-ricettivo, che moltissimi cittadini della zona di Castellaneta ritengono di negativo impatto territoriale e ambientale. Nicola Putignano è poi legato ad altri esponenti politici locali e nazionali e ha bene i mezzi per rintuzzare eventuali attacchi.
L'operazione urbanistica e commerciale promossa dal Putignano insiste, dunque, con straordinaria rilevanza sull'area nella quale Patarino è eletto e la Giunta ha trovato naturale che questi si pronunciasse in merito. Si può discutere se la denuncia penale sia stato lo strumento più efficace ma che essa sia direttamente collegata - non tanto per la sua forma (qui ha ragione il giudice di Taranto, che richiama puntualmente la sentenza della Corte costituzionale n. 286 del 2006) ma per la sostanza del suo contenuto - all'attività di Patarino come deputato del collegio nella legislatura 2001-2006 e poi come deputato della circoscrizione entro cui quel territorio è compreso è fuor di dubbio.
In definitiva, la grande maggioranza della Giunta ha ravvisato nella vicenda una reazione del Putignano per via giudiziaria spropositata e quasi intimidatoria nei confronti di chi - a torto o a ragione - si è erto a tutore istituzionale di coloro che temono per le loro attività e per la sostenibilità dello sviluppo della loro terra.
Per questi motivi la Giunta, con una sola astensione, propone all'Assemblea di deliberare nel senso che i fatti oggetto del procedimento concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni, con conseguente comunicazione della deliberazione sia al giudice per l'udienza preliminare di Taranto sia al giudice innanzi al quale pende il giudizio d'appello per calunnia.

Domenico ZINZI, relatore


ALLEGATO

Estratto dai resoconti sommari delle sedute della Giunta per le autorizzazioni del 23 settembre e 14 e 21 ottobre 2009

Mercoledì 23 settembre 2009.

Comunicazioni del Presidente sui lavori della Giunta.

(omissis)

Pierluigi CASTAGNETTI, presidente, comunica che dal tribunale di Taranto è stato inviato l'incartamento relativo a una controversia in sede penale tra il deputato Carmine Patarino e Nicola Putignano. Anche questo caso presenta una complicazione procedurale. Infatti, dal medesimo fatto storico l'autorità giudiziaria ha ritenuto di far scaturire due diverse imputazioni penali, una per diffamazione, l'altra per calunnia. Il giudice ha condannato già il deputato per calunnia, mentre ha rimesso alla Giunta - respingendo l'eccezione di insindacabilità - la decisione sul capo relativo alla diffamazione. Sicché, al momento, il procedimento pende in due tronconi, essendo sospeso quello di primo grado in attesa della nostra deliberazione ed essendo in corso invece quello d'appello sull'imputazione di calunnia. Deve al proposito rammentare che l'articolo 68, primo comma, della Costituzione stabilisce che per le opinioni espresse nell'esercizio delle proprie funzioni i parlamentari non possono essere chiamati a rispondere tout court, a prescindere dalla qualificazione giuridica singola o plurima che ad essi dia l'autorità giudiziaria. Questo principio è stato già stabilito dalla Giunta nella seduta del 27 ottobre 1999, allorquando il Presidente La Russa ebbe ad affermare che la deliberazione della Camera ha per oggetto una valutazione del fatto che viene contestato al parlamentare, indipendentemente dalle conseguenze di ordine procedurale ovvero di qualificazione giuridica che ad esso l'autorità giudiziaria ricolleghi. In questo caso, ci si trova dinanzi a un fatto storico unitario: dichiarazioni rese in una certa sede dall'on. Patarino. Dal punto di vista della competenza parlamentare, indipendentemente dalla circostanza che tali dichiarazioni abbiano ricevuto etichettature penalistiche plurime, quel che conta è la valutazione della Camera in ordine alla riconducibilità complessiva della condotta alle funzioni parlamentari. Altrimenti, si avrebbe il rischio del bis in idem, che si avrebbe deliberando sullo stesso fatto ora sotto il profilo della diffamazione, ora sotto il profilo della calunnia. La discussione sulla questione dell'on. Patarino, sulla quale nomina relatore il vicepresidente Zinzi, dovrà quindi avere un esito relativo a entrambe le contestazioni penali e sarà comunicata sia al giudice di primo grado sia a quello di appello.

(omissis)

(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 9.30.

Mercoledì 14 ottobre 2009.

Domenico ZINZI (UdC), relatore, espone che la vicenda in corso tra il deputato Patarino e l'ex senatore Putignano mai sarebbe dovuta entrare in tribunale, attenendo precipuamente e squisitamente al confronto politico e alla contrapposizione di progetti amministrativi, forse venata da rivalità personali, come sempre accade nella dialettica pubblica. Il Patarino, rispondendo a una delle tante lettere con cui l'ex senatore Putignano aveva inondato gli uffici del comune di Castellaneta, aveva sporto denuncia per diffamazione contro di lui. Nella denuncia gli aveva attribuito una serie di comportamenti secondo lui riprovevoli e - sotto il profilo della lesione del suo onore - penalmente rilevanti. A questa denuncia era seguita una contro-denuncia del Putignano nei riguardi del Patarino. Da questa seconda denuncia scaturiva una domanda di archiviazione del pubblico ministero, in favore del Patarino. Per motivi non ben chiari, il procuratore della Repubblica avocava a sé le indagini e chiedeva invece il rinvio a giudizio del Patarino non solo per diffamazione ma anche per calunnia, giacché - a suo dire - nella sua originaria denuncia (anch'essa per diffamazione) il Patarino aveva accusato il Putignano di «estorcere» delibere comunali a lui favorevoli, «minacciare» chi non la pensasse come lui, di avere abitudini corrotte e quant'altro. Tutte queste espressioni, secondo il procuratore della Repubblica, dovevano essere tecnicamente intese come ascrizioni penali precise, valutabili come calunnie. Data la natura dubbia di simile impostazione, il difensore del Patarino si era determinato a richiedere il giudizio abbreviato, certo di un celere e favorevole esito del giudizio. Inopinatamente il GUP ha accolto la prospettazione dell'accusa condannando il Patarino a ben tre anni di reclusione, ridotti a un anno e quattro mesi per le attenuanti generiche e per il rito prescelto. Si domanda quanti, tra coloro che si sentono diffamati, si dolgono della falsa attribuzione di atti astrattamente illeciti sul piano penale. Sicché tutte le volte in cui in politica ci si dà del ladro o del corrotto e in cui il destinatario dell'invettiva sporge querela dovrebbe temere di dover rispondere per calunnia giacché si è ribellato a un'accusa ingiusta, implicitamente dando del calunniatore al diffamatore. Ci si troverebbe dinnanzi a un evidente cortocircuito. Ancora: quando si rivolge all'avversario politico la critica di usare metodi «minacciosi» o «truffaldini» e la questione finisce con una querela, dovrebbe scattare un procedimento per calunnia parallelo a quello per diffamazione. Gli pare che - ragionevolmente - entrambe le denunce sarebbero dovute essere oggetto di pronta e celere archiviazione. Nel giudizio, il difensore del deputato aveva eccepito l'applicabilità della non sindacabilità giudiziale delle espressioni attribuite al suo assistito ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione. È vero - come rileva il giudicante - che tale eccezione è stata formulata con riferimento all'imputazione di diffamazione: ma è altrettanto vero che l'articolo 68, primo comma, della Costituzione reca testualmente: «I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni». La Costituzione non dice - quindi - che i parlamentari «non possono essere chiamati a rispondere per diffamazione» di quelle opinioni: essa stabilisce che essi non possono essere chiamati a rispondere di quelle opinioni tout court. Va da sé - dunque - che, nel respingere l'eccezione formulata dal difensore, il giudice doveva trasmettere, ai sensi dell'articolo 3, comma 4, della legge n. 140 del 2003, tutto il fascicolo alla Camera dei deputati e non poteva proseguire nel giudizio per calunnia, stante che questa si è sostanziata, secondo il giudice nella stessa condotta che integrerebbe la diffamazione. Espone che, secondo il Patarino, lo si chiama in giudizio per opinioni espresse nell'esercizio delle sue funzioni. È ben vero che l'ambito della controversia si situa in ambito comunale e che spesso il Patarino è chiamato in causa come consigliere comunale di Castellaneta. È però altresì evidente che il suo ruolo di parlamentare è immanente in tutta la vicenda, tanto che nella lettera del 2004 il Putignano addirittura glielo contesta come ruolo immeritato. Propone di sentirlo e poi avanzerà una proposta.

(Viene introdotto il deputato Patarino).

Carmine Santo PATARINO (PdL), nel depositare una memoria scritta, si sofferma diffusamente sui rapporti tra il gruppo Putignano e il territorio di Castellaneta e Castellaneta Marina. Esposto che tali rapporti non sono mai stati idilliaci, in virtù dell'impatto ambientale ed economico degli stabilimenti del Putignano, sottolinea anche che l'amministrazione locale di Castellaneta è creditrice verso il medesimo di cospicue somme a titolo di ICI e tassa sui rifiuti. Egli si è sempre schierato a difesa della collettività, con particolare riguardo ai commercianti di Castellaneta e agli agricoltori del circondario, preoccupati tra l'altro del drenaggio intenso dalle falde dovuto alla presenza dei campi da golf di Putignano. Citati i casi paradossali di giustizia amministrata dal GUP che lo ha condannato, si rimette al giudizio della Giunta.
(Il deputato Patarino si allontana dall'aula).

Pierluigi CASTAGNETTI, Presidente, anche su richiesta del gruppo dell'Italia dei valori, propone un rinvio del seguito dell'esame.

La Giunta concorda.

La seduta termina alle 10.50.

Mercoledì 21 ottobre 2009.

Francesco Paolo SISTO (PdL) conosce e apprezza il giudice che ha emanato il provvedimento a carico del deputato Patarino ma crede che in questo caso egli sia incorso in un «eccesso di cultura». Rilevato che il giudicante si è rifatto alla sentenza della Corte costituzionale n. 286 del 2006 nella quale l'alto consesso ha escluso che la denunzia penale rientri di per sé tra gli atti tipici del mandato parlamentare, osserva non di meno che vale anche la reciproca. Crede infatti che di per sé la denuncia penale non sia esclusa da quel novero: tutto dipende dal contenuto. Gli sembra allora che il contenuto della denuncia del Patarino - ritenuta dall'autorità giudiziaria diffamatoria e calunniosa - sia tutto di carattere politico-parlamentare, dal momento che inerisce a un fatto urbanistico di chiara rilevanza per il territorio di elezione di Carmine Patarino. Crede quindi che la Giunta dovrebbe orientarsi nel senso dell'insindacabilità.

Domenico ZINZI (UdC), relatore, sottolineata la misura chiaramente sproporzionata della condanna inflitta al Patarino, propone che si deliberi per l'insindacabilità.

Marilena SAMPERI (PD) coglie nei ragionamenti di chi l'ha preceduta il persistente tentativo di aggirare il criterio del nesso funzionale stabilito dalla Corte costituzionale. In questo caso sembrerebbe che tale nesso vi sia, dal momento che agli atti prodotti dall'interessato risulterebbe un'interrogazione proprio sull'argomento degli stabilimenti turistici del Putignano. È per questo che voterà per l'insindacabilità.

Federico PALOMBA (IdV), constatato che il contenuto dell'atto di sindacato ispettivo che apparirebbe essere stato presentato è diverso dalle affermazioni contenute nella denunzia oggetto dell'imputazione, dichiara di dissentire dalla proposta del relatore. Quanto alla misura della pena già inflitta, trova l'osservazione sul punto inconferente, giacché nella Giunta non si deve fare il processo al processo.

Francesco Paolo SISTO (PdL), tornando a intervenire, non crede che la ricerca dell'interrogazione parlamentare previamente depositata possa giustificare una verifica aritmetica ai fini dell'insindacabilità. La presenza di un atto tipico della funzione giova al parlamentare ma non esaurisce le possibilità di un giudizio a lui favorevole.

Marilena SAMPERI (PD) rimarca che la giurisprudenza della Corte richiede comunque il nesso funzionale tra atti compiuti intra moenia e atti svolti extra moenia.

Maurizio TURCO (PD) ritiene l'argomento dell'interrogazione parlamentare non decisivo. Questa non può essere un salvacondotto per licenze linguistiche all'esterno della Camera, né la sua assenza può privare il parlamentare della possibilità di una schietta battaglia politica. In questo caso voterà per l'insindacabilità perché gli pare - stando agli atti depositati - che l'interrogazione sia conferente con i temi oggetto del processo penale.

Pierluigi MANTINI (UdC) conosce i luoghi nei quali è stata edificata la pluralità di strutture ricettive oggetto delle critiche e delle preoccupazioni espresse dal Patarino. Si tratta di un insediamento ad altissimo impatto ambientale e territoriale, finanziato molto cospicuamente con fondi comunitari. La comunità locale, a quel che gli risulta, è stata a lungo ed è spaccata tra chi è favorevole a questa forma di sviluppo e chi invece ne teme le ricadute sulla sostenibilità del progetto e sulla tenuta ambientale. In questa chiave, la disputa tra Patarino e Putignano - già senatore e imprenditore accreditato presso la classe politica - assume un connotato politico evidente legato proprio alla rappresentanza territoriale che Patarino esprime in Parlamento. Voterà a favore della proposta del relatore.

Anna ROSSOMANDO (PD) crede che la Giunta debba collocarsi nel novero degli organi paragiurisdizionali, di modo che le sue decisioni devono essere basate su precisi presupposti di fatto e di diritto, come accade nell'applicazione di qualsiasi istituto giuridico. È ben possibile, come sembra auspicare il collega Sisto, una dialettica tra collegi giudicanti, ma l'orientamento della Corte costituzionale assume valore preminente e per discostarsene bisognerebbe avere dati assai indicativi di esigenze che essa non ha sinora contemplato nelle proprie pronunce. Se uno dei presupposti richiesti dalla giurisprudenza costituzionale è la sussistenza di un atto parlamentare tipico che costituisca il nesso con la funzione parlamentare, la Giunta deve quanto meno compiere una preliminare verifica su questo aspetto. Nel caso in questione apparirebbe sussistere questo ancoraggio e quindi voterà a favore della proposta del relatore.

Maurizio PANIZ (PdL) afferma che se la regola generale richiede la presenza di un atto tipico del mandato, tale regola può ben soffrire eccezioni. Rivendica alla Giunta il ruolo di poter leggere e interpretare autonomamente il dettato costituzionale e dissente nettamente dai dettami della Corte. Questa ha progressivamente ristretto l'ambito di applicazione della prerogativa dell'insindacabilità, a suo avviso tradendo la lettera dell'articolo 68 che invece contempla il membro del Parlamento come esercente la sua funzione ventiquattro ore al giorno. Tale posizione è stata espressa nell'Assemblea proprio pochi giorni fa sul caso di Andrea Ronchi e intende ribadirla come linea del PdL. Voterà per l'insindacabilità.

La Giunta, con una sola astensione, approva la proposta del relatore, dandogli mandato di predisporre il documento per l'Assemblea.


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