Doc. IV-quater, n. 3-bis





Onorevoli Colleghi! - A nome dei deputati della Giunta risultati in minoranza nella seduta del 23 luglio 2008, riferisco su una domanda di deliberazione in materia d'insindacabilità avanzata dal senatore Maurizio Gasparri, deputato all'epoca dei fatti, in relazione al procedimento penale n. 42560/06 N-Roma.
Il procedimento trae origine da una querela sporta da Henry John Woodcock, magistrato presso la procura della Repubblica di Potenza, a motivo di alcune frasi attribuite al Gasparri e riportate in un'intervista fatta dal giornalista Mario Ajello e pubblicata sul Messaggero del 17 giugno 2006 col titolo «Gasparri: quel Pm spara a vanvera. L'ex ministro: è un tipo boccaccesco, l'accusa contro di me subito archiviata». L'attuale senatore Gasparri era stato intervistato a proposito di una indagine penale condotta proprio dal dottor Woodcock a seguito della quale erano stati eseguiti poco prima alcuni provvedimenti di custodia cautelare in carcere. In particolare, per come risulta dal capo d'imputazione, il Gasparri avrebbe affermato, tra l'altro, che: «Woodcock spara a vanvera accuse ridicole [...] spara nomi a casaccio [...] è così poco attendibile che il giorno che dovesse arrestare un colpevole lo vedrà finire assolto [...] è un personaggio boccaccesco [...] si narra che a Potenza ci fosse una liaison fra lui e una magistrata donna, adibita ad altra funzione».
Queste frasi sono già state oggetto dell'esame da parte della Giunta per le autorizzazioni nella scorsa legislatura e ritenute esulanti dall'ambito dell'insindacabilità parlamentare. Non essendo però stato concluso dall'Assemblea nella XV legislatura, l'esame del caso torna all'attenzione della Camera nella legislatura attuale.
La vicenda si ricollega a un'indagine vasta e complessa del pubblico ministero Woodcock di Potenza. In questo contesto, l'allora deputato Gasparri fu richiesto di commentare l'arresto di personaggi noti al grande pubblico, tra cui il figlio dell'ultimo sovrano di casa Savoia.
Nel rispondere al cronista, l'allora deputato Gasparri commentò con durezza gli esiti dell'inchiesta, facendo anche riferimento a un episodio passato di cui egli era stato protagonista. Nel 2003, egli era infatti stato destinatario di un'iscrizione al registro di notizie di reato per fatti che poi sono stati ritenuti inidonei a sostenere un giudizio.
Più in dettaglio, risulta che il tribunale dei Ministri di Potenza aveva trasmesso l'incartamento relativo al deputato Gasparri alla procura di Roma per competenza territoriale, così dissentendo dal sostituto procuratore Woodcock in ordine al radicamento della competenza nel capoluogo lucano.
Il pubblico ministero di Roma, dottor Giuseppe Amato, nel dicembre 2003 aveva formulato quindi richiesta di archiviazione al GIP, dottoressa Finiti, la quale, escluso peraltro il carattere ministeriale del reato (e dunque anche la competenza funzionale del tribunale dei Ministri), aveva disposto l'archiviazione nel febbraio 2004.
La maggioranza della Giunta ne ha tratto la conclusione che le affermazioni del senatore Gasparri rappresentano una legittima reazione ad un attacco della sua funzione di parlamentare. Secondo la maggioranza, i temi della giustizia e delle condotte di taluni magistrati sono da sempre elementi che impegnano il dibattito politico e i lavori parlamentari.
Questa sommaria conclusione non può essere condivisa.
Anzitutto, la distanza temporale tra la vicenda che ha riguardato direttamente il senatore Gasparri nel 2003 e le dichiarazioni da lui rese con riferimento alle ordinanze di custodia cautelare emanate nel 2006 in altro procedimento escludono che possa trattarsi di una legittima o scusabile reazione a un fatto personale ritenuto ingiusto.
D'altro canto, se Maurizio Gasparri avesse inteso criticare o addirittura stimolare una censura seria, apprezzabile e istituzionale a carico del dottor Woodcock avrebbe avuto molti strumenti a disposizione, sul piano ufficiale, sia da ministro sia da parlamentare. Le dichiarazioni a stampa, senza contraddittorio e senza verifica fattuale, non sono ammesse nel nostro ordinamento ma sono caratteristiche di una sorta di far west mediatico nel quale vige la legge del più forte e soccombe il diritto.
Venendo più strettamente alla ricerca del nesso tra le funzioni parlamentari e le dichiarazioni contestate in giudizio, non vi sono criteri che tengano.
Non giova al senatore Gasparri la giurisprudenza della Corte costituzionale italiana che esige la previa presentazione di un atto parlamentare tipico che rechi contenuti analoghi a quelli della dichiarazione extra moenia, atto che qui manca del tutto.
Non gli giova la più elastica giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo, che chiede al fine di una corretta applicazione dell'insindacabilità parlamentare (che non contrasti quindi con il diritto ad un equo processo di cui all'articolo 6 CEDU) quanto meno un legame evidente tra l'attività extra moenia e quella intra moenia.
Ma non gli giova neanche la più lata nozione di funzione parlamentare offerta nel documento di riflessione approvato dalla Giunta per le autorizzazioni il 18 aprile 2007 sotto l'apprezzabile impulso e guida del Presidente pro tempore Giovanardi. In quel testo si esclude che possano essere insindacabili dichiarazioni intrinsecamente offensive o addebiti falsi o indimostrati.
Nelle dichiarazioni per cui pende il procedimento - prive di ogni collegamento funzionale con il ruolo ricoperto - appare evidente soltanto un livore personale, condito con l'ambiguo riferimento a un'impropria relazione (non importa qui stabilire se sentimentale o funzionale) con «una magistrata donna adibita» ad altro ufficio.
Si tratta quindi di dichiarazioni («Woodcock spara a vanvera accuse ridicole [...] spara nomi a casaccio [...] è così poco attendibile che il giorno che dovesse arrestare un colpevole lo vedrà finire assolto [...] è un personaggio boccaccesco [...] si narra che a Potenza ci fosse una liaison fra lui e una magistrata donna, adibita ad altra funzione») che la Camera non può consentire extra moenia, così come non le consente intra moenia. Ci si riferisce al proposito al severo vaglio di ammissibilità esercitato dal Presidente della Camera sugli atti di sindacato ispettivo (ai sensi dell'articolo 139-bis del Regolamento); alle numerose occasioni in cui la Presidenza richiama i deputati che non si attengono a canoni linguistici appropriati; e alle numerose richieste di Giurì d'onore che gli stessi deputati avanzano a tutela della loro reputazione e onorabilità.
Per questi motivi invito l'Assemblea a respingere la proposta della Giunta.

Donatella FERRANTI,
relatore per la minoranza.


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